non solo neuralink

Cervelli aumentati, come useremo il pensiero per interagire con le macchine: progressi e nodi etici

Nei prossimi anni, sarà possibile interagire coi nostri computer e smartphone attraverso il pensiero. Ma oltre ai necessari sviluppi tecnologici, prima di allora ci sarà da sciogliere numerosi nodi etici

Pubblicato il 27 Mag 2022

Enrico Santus

Senior Data Scientist a Bayer, esperto di AI nella Salute

sn-brain

Sebbene l’idea del cyborg – ovvero la perfetta fusione tra uomo e macchina – sia tutt’altro che inedita (si pensi a sportivi che, come Pistorius, possono oggi partecipare a competizioni olimpioniche), la possibilità di usare il proprio pensiero per interagire con le macchine è stata a lungo posticipata ad un futuro remoto.

Da qualche anno, invece, questa possibilità è tornata di moda, verosimilmente in seguito al lancio nel 2016 di Neuralink. La società di Elon Musk, a dire il vero, non ha ancora ottenuto alcun risultato concreto, ma le cose potrebbero cambiare nei prossimi mesi.

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Cosa fa Neuralink

Neuralink, con sede a San Francisco, ha l’obiettivo di sviluppare un’interfaccia mentale tra uomo e macchina. Niente di nuovo, se si pensa che da anni, nei laboratori di BrainGate, a Menlo Park, in California, neuroscienziati e ingegneri elettronici impiantano dispositivi nella corteccia cerebrale di pazienti paralizzati per captare comandi mentali utili a riacquisire funzioni tipicamente motorie, come ad esempio muovere oggetti con bracci meccanici, comunicare attraverso tastiere virtuali o pilotare aerei nel simulatore.

Ciò che cambia con Neuralink è la finalità. Se BrainGate è interessata a restituire funzioni perse ai pazienti paralizzati, la società di Musk vuole sfruttare i trial clinici con questi pazienti per imparare a sviluppare un prodotto da commercializzare al grande pubblico.

Ed è evidente che con tale finalità debba cambiare anche l’attitudine. Musk e colleghi non sembrano infatti particolarmente preoccupati delle attuali limitazioni chirurgiche e tecnologiche. I limiti, per i pionieri di Neuralink, sono qui per essere superati. E così il team della società di San Francisco ha già creato il design di una sedia in cui le operazioni di impianto potrebbero essere svolte in circa 30 minuti. Non ci è dato sapere se tale sedia ridurrà mai il rischio di seri effetti collaterali che queste operazioni oggi comportano, stimato al 3-5% – il che è relativamente basso per pazienti con alte deficienze, ma troppo alto per pazienti sani.

Le sfide

Con una tale attitudine nascono pertanto anche le sfide. Il team di Neuralink si è infatti già impegnato a superare il record di scrittura mentale di Dennis DeGray, un paziente di 64 anni, tetraplegico a seguito di una caduta mentre portava fuori la spazzatura. Grazie al lavoro fatto con BrainGate, Dennis può oggi digitare mentalmente fino a 18 parole al minuto, battendo il suo precedente record di 8 parole. Questo è stato reso possibile dallo sviluppo di interfacce man mano sempre più efficienti.

Al di là delle promesse, però, Neuralink non ha ancora consegnato alcun risultato concreto. Nell’aprile 2021, in una presentazione tutta teatrale, la società di Musk ha esibito un macaco di nome Pager che giocava a Pong con la mente. Ne sono seguiti entusiastici like sui social media e qualche denuncia dalle associazioni animaliste. Niente clamore scientifico, invece, visto che Matthew Nagle, il primo essere umano a usare un’interfaccia cervello-macchina, aveva già giocato allo stesso gioco nel 2005.

Qualcosa sta per cambiare

Le cose potrebbero tuttavia iniziare a cambiare nei prossimi mesi. La società ha appena lanciato il primo annuncio di lavoro per un Clinical Trial Director, il che fa pensare si stia preparando ad impiantare il primo chip in un essere umano. Dalle informazioni disponibili, il chip avrebbe la grandezza di un tappo di bottiglia, al cui interno risiederebbero sia i processori che un dispositivo di comunicazione wireless. Grazie alle dimensioni ridotte, il dispositivo rimarrebbe infatti a filo col cranio del paziente e potrebbe essere ricoperto di pelle e capelli, limitando completamente l’impatto estetico, a favore di una più semplice diffusione del dispositivo.

La tecnologia però ha ancora bisogno di ampi sviluppi. Per raggiungere una perfetta interfaccia uomo-macchina, il dispositivo dovrebbe essere in grado di leggere simultaneamente milioni di neuroni. Ad oggi, l’impianto usato da DeGray contiene un centinaio di elettrodi, ciascuno che ascolta un neurone. L’impianto N1 di Neuralink impiantato al macaco Pager captava invece 1,024 neuroni. Decisamente ancora troppo pochi.

Impianti cerebrali, non c’è solo Neuralink

Ovviamente, Neuralink non è la sola società che lavora nel settore. Gli investimenti sono tanti e continuano a crescere di anno in anno. È sufficiente googlare per scoprire che enti come la DARPA (Defence Advancements Research Projects Agency) stanno investendo decine, quando non centinaia, di milioni di dollari in impianti cerebrali a scopi terapeutici (per esempio, la cura della cecità e della sordità) o commerciali (per esempio, per postare pensieri su Facebook). E se si cerca bene, si scopre che gli impianti neurali potrebbero già essere obsoleti. Brain Scientific ha infatti recentemente ideato dei tatuaggi al grafene – un nuovo materiale derivato dal carbonio, spesso quanto un atomo ma con la stessa resistenza del diamante e la stessa flessibilità della plastica – che permetterebbero di leggere l’attività dei neuroni in tempo reale, semplificando così il monitoraggio di tutte le attività cerebrali, nonché della stessa saluti degli individui.

Sebbene molti di questi progetti siano destinati a fallire prima vedere la luce (per esempio, Facebook ha già rimandato i suoi investimenti), il fermento è notevole. Considerato il trend, è plausibile che nell’arco della nostra vita vedremo persone che grazie a questi dispositivi potranno giocare e comunicare mentalmente, soddisfare la propria curiosità nel web e creare foto, video o suoni direttamente col pensiero.

I nodi etici da sciogliere

Rimangono tuttavia numerosi nodi etici da sciogliere, per non parlare quelli legati alla cyber security. Se è vero che già chi usa le nuove tecnologie ha ampi vantaggi sugli altri, questi impianti potrebbero ulteriormente accrescere la competitività dei soggetti “aumentati” nella società, creando ineguaglianze incolmabili. In questo senso, bisognerà anche capire quale ruolo avranno medici e chirurghi, visto che l’impianto di questi dispositivi non sarebbe più destinato alla riparazione di funzioni o alla cura di malattie, ma piuttosto all’amento delle capacità dell’individuo. Dal lato sicurezza, poi, quali garanzie esistono che questi dispositivi oltre a permetterci di controllare le macchine non possano permettere ad altri (o addirittura alle macchine stesse) di controllare noi?

I regolatori sembrano in ampio ritardo rispetto all’attenzione che il settore sta suscitando. Presto dovranno però prendere atto dei rischi legati a queste tecnologie e sviluppare codici atti ad anticipare e controllare le possibili conseguenze. Fino ad allora, se è vero che i primi esseri umani aumentati sono appena dietro l’orizzonte, è bene che l’opinione pubblica inizi a pronunciarsi.

* Tutte le opinioni espresse negli articoli sono personali e non rappresentano in alcun modo nessuna delle istituzioni o organizzazioni a cui l’autore è affiliato.

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