Le fake news e la disinformazione sono ormai una costante dell’ambiente delle piattaforme e riemergono periodicamente come un fiume carsico.
Di recente, ad esempio, è circolato in rete un deep fake del TG1 che annunciava la morte dell’infettivologo Bassetti. Tutto falso naturalmente ma il filmato dell’omicidio era vero anche se veniva da un altro paese. Lo scopo questa volta era vendere un prodotto.
Nei mesi scorsi, Grok il chatbot messo a punto per X ha introdotto notizie e commenti sulla persecuzione dei bianchi in Sudafrica, riecheggiando temi cari all’estrema destra americana e probabilmente anche al proprietario di Grok Elon Musk. In questo caso l’obiettivo sembra più politico e legato all’influenza dell’opinione pubblica.
Un altro caso recente riguarda una campagna su Tiktok emersa in occasione dell’annuncio dei dazi di Trump quando numerosi video girati in anonime fabbriche cinesi sostenevano che i prodotti di lusso fake erano indistinguibili dagli originali perché erano prodotti anch’essi nei medesimi stabilimenti. Lo scopo in questo caso era di vendere i superfake del lusso.
Indice degli argomenti
L’impatto delle fake news su mercati e democrazia
Del resto la presenza di notizie finte e disinformazione inquina l’ambiente informativo e abbassa la qualità media dell’informazione disponibile. Questo costituisce un problema sia per il funzionamento dei mercati (concorrenza sleale) che per quello del sistema politico dove per votare con cognizione di causa i cittadini devono avere a disposizione informazioni adeguate sull’operato dei governanti. Ecco perché nelle dittature il settore dell’informazione viene messo rapidamente sotto controllo e i giornalisti che sgarrano sono perseguitati discriminati o fatti sparire.
La definizione problematica delle fake news
Le fake news però sono un campo minato sia perché la definizione può essere incerta, sia perché abbiamo spesso informazioni un po’ sommarie sul loro funzionamento e il loro contesto.
Una definizione stretta di fake news riguarda gli articoli che sono intenzionalmente falsi, che siano verificabili e che possano trarre in inganno i lettori. Questa definizione esclude gli errori non intenzionali, la satira, le affermazioni false dei politici, le ricostruzioni fortemente partigiane ma non fattualmente false.
All’inizio le fake news erano fortemente collegate al fenomeno del click-bait cioè siti o pagine con affermazioni inverosimili o palesemente false che attiravano navigatori incuriositi. La pubblicità su ogni pagina vista remunerava ampiamente gli sforzi per cui in alcuni paesi con scarsi controlli erano nate a questo scopo piccole cottage industries.
All’estremo opposto ci sono le operazioni di guerra psicologica per intervenire e influenzare dibattito o elezioni di altri paesi. In mezzo tutta una serie di distorsioni o di vere bugie. Nel dibattito italiano inoltre la brutta abitudine di molti politici che gridano alle fake news ogni vota che un interlocutore dice qualcosa di diverso da quello che vogliono contribuisce a rendere evanescente e confuso questo fenomeno importante.
Teoria economica e qualità dell’informazione
Anche solo definire in modo condiviso il perimetro delle fake news costituisce dunque un problema, sia per l’uso strumentale che talvolta ne viene fatto, sia perché si tratta di un fenomeno ampio che assume significati differenti in ambiti diversi. La teoria economica ci offre alcuni strumenti.
Ad esempio la qualità dell’informazione potrebbe essere esaminata con una combinazione tra differenziazione verticale e orizzontale. La prima è relativa a quei beni che, a parità di prezzo, tutti i consumatori ritengono superiori agli altri beni.
Nel campo dell’informazione a un estremo ci sarebbero le notizie verificate con elevati standard giornalistici, ad esempio confermate da due fonti indipendenti, mentre all’estremo basso avremmo le notizie che riportano informazioni fattualmente false, mentre in mezzo ci sarebbero diversi gradi di qualità.
La differenziazione orizzontale riguarda invece preferenze dei consumatori per prodotti altrimenti equivalenti, come più dolce o meno dolce, oppure automobili di colore diverso.
Nel caso dell’informazione questo potrebbe riguardare il taglio partigiano o ideologico dell’informazione, dove i consumatori vicini a determinate parti politiche potrebbero preferire, e ritenere più credibili, fonti con quell’orientamento, dando quindi luogo al fenomeno delle bolle informative e delle echo chamber.
Emerge un possibile cortocircuito quando gruppi di consumatori preferiscono ricevere informazioni false, purché orientate in modo omogeneo alla loro preferenza ideologica. In questo caso questi consumatori sono disposti a cedere qualità in cambio di varietà. Esiste dunque anche un versante della domanda di fake news che va considerato.
Cosa è possibile fare per limitare il fenomeno e ruolo delle fake news
La prima risposta invoca generalmente qualche forma di regolamentazione e qualche responsabilità delle piattaforme nel riconosce contenuti fuori norma. Ma la regolamentazione è meno semplice di quello che sembra a prima vista.
Secondo molti la risposta principale dovrebbe essere legata alle capacità culturali e a una maggiore familiarità con il funzionamento dei mass media. Questo dovrebbe farci riflettere quando guardiamo con fastidio i risultati di test come l’Invalsi e quando ci dimentichiamo che abbiamo un livello di diplomati di circa il 15% inferiore a quello dei paesi Oecd.
Progressi nella scolarità e nelle competenze linguistiche e comunicative oltre che in tanti altri ambiti sono essenziali anche nelle fake news. Secondo una ricerca pubblicata in febbraio su Nature, lo sviluppo del discernimento della verità dei media e l’individuazione delle notizie false sono correlati allo sviluppo del ragionamento durante l’adolescenza.
Moderazione delle piattaforme: vantaggi e criticità
Interventi di regolamentazione si scontrano sia con il problema della definizione di fake news che con l’alternativa tra interventi diretti delle piattaforme e decisione di un giudice. E’ un tradeoff complicato. Da un lato tutte le volte che blocchiamo un’informazione vorremmo essere sicuri che ci sia una valutazione adeguata della legittimità di questo blocco, perché in fondo c’è sempre il rischio di limitare la libertà di espressione.
Però gli interventi di un giudice richiedono tempi incompatibili con le piattaforme digitali. Anche immaginare che ci sia possibilità di rivalsa eliminando gli account anonimi, o comunque imponendo alle piattaforme di raccogliere i documenti e identità, si scontra con il fatto che la giurisdizione è nazionale mentre le piattaforme sono globali.
Gli interventi diretti delle piattaforme, sotto forma di moderazione, risolvono normalmente il problema della velocità ma pongono il problema di numerosi malfunzionamenti per via delle ovvie semplificazioni. Inoltre si sviluppa un meccanismo di giustizia privata non sempre trasparente, difficile da appellare e poco responsabile per le decisioni che prende.
Il modello della regolamentazione pubblicitaria
Un riferimento possibile potrebbe essere quello della regolamentazione della pubblicità dove negli ultimi decenni ci sono state molte esperienze internazionali e dove si pone un problema in parte analogo: la pubblicità non deve essere falsa, ma non deve neppure essere misleading. In Italia la verifica delle pubblicità è affidata a una sezione dell’ACGM che convive con un sistema di autoregolamentazione come l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.