TECNOLOGIA E SOCIETà

Libertà d’espressione, perché è la grande malata. Anche online



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Casi eclatanti di licenziamenti, allontanamenti e danni reputazionali per aver espresso le proprie opinioni online portano a chiedersi quali siano le condizioni di salute della libertà d’espressione in una società dove sembra stia prevalendo la legge del più forte rispetto a un approccio democratico. Vediamo la situazione considerando Usa e Italia

Pubblicato il 22 set 2025

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



social (1); libertà d'espressione

L’uso che oggi si fa di Internet e dei mezzi di comunicazione ha reso l’Occidente nudo di fronte alla sua ipocrisia. E il rispetto della libertà d’espressione è stato l’ultimo velo a cadere. Prendendo come esempi gli Usa e l’Italia, i più recenti ed espliciti episodi sono la cancellazione dello show di Jimmy Kimmel dopo che il comico aveva fatto una battuta sulla strumentalizzazione da parte dei Maga dell’omicidio dell’influencer Charlie Kirk, o il licenziamento della giornalista del Washington Post Karen Attiah per aver criticato le idee dello stesso content creator, il silenzio del Governo italiano sulle sanzioni Usa imposte alla cittadina italiana e relatrice speciale Onu Francesca Albanese dopo il report sulle relazioni tra aziende e Israele, l’annuncio del comico Enzo Iacchetti che ha spiegato di star perdendo lavoro dopo il suo intervento televisivo sul genocidio in Palestina. Insomma, non si può far finta che il 2025 non sia “l’anno che qualcuno ricorderà come quello in cui son cadute molte maschere, in cui si è vista la nuda esibizione della forza. Chi è più forte vince, vale per Gaza e vale per la cacciata di persone senza motivo“, commenta Juan Carlos De Martin, professore di informatica al Politecnico di Torino, dove co-dirige anche il centro Nexa su Internet e società.

Ormai non c’è più alcuna inibizione: “Questo aumento del livello di barbarismo è sconcertante. Temo che stiamo vivendo uno snodo della storia, stanno cadendo i veli perché il gioco sta diventando molto grande”, analizza il professore. E quindi per l’Occidente che si è sempre fregiato del titolo di culla della democrazia e del pensiero illuministico, vendendosi come esportatore dell’unico metodo corretto per fare società come se si potessero scordare certi passati importanti di dittature e colonialismo, è tempo di scendere dal piedistallo e fare un esame di coscienza.

Libertà d’espressione, il rischio dell’autocensura

E’ importante innanzitutto chiedersi quanto ci si senta sicuri, in questo momento storico, al pensiero di scrivere una propria opinione online senza subire ripercussioni lavorative, politiche, sociali e reputazionali. Perché la distopia, prima che sotto la suola dello stivale di un dittatore, si concretizza nel personale, nella paura che porta ad autolimitare l’esercizio di un proprio diritto. Negli ultimi mesi siamo stati risucchiati in un vortice che ha portato alla caduta di ogni inibizione, spingendoci alla presa di coscienza di ciò che è sempre stato chiaro: la libertà d’espressione è qualcosa di fragile e scivoloso, che può rompersi e scappare di mano.

Sta emergendo però, ed è particolarmente evidente sui social network, “un problema di autocensura, non solo di censura. Qualcuno inizia a temere di non potersi esprimere liberamente perché potrebbe avere ripercussioni: e questo fattore non è misurabile, non sempre si denuncia la propria autocensura perché è anche un po’ fonte di vergogna – commenta De Martin -. In alcuni Paesi, le persone hanno perso il lavoro per essersi espresse su Gaza, ad esempio”. In Italia ad esempio c’è l’annoso e incomprensibile imbarazzo riguardo all’antifascismo che, sebbene sia uno dei valori chiave della nostra Costituzione, è una parola che qualcuno fatica a pronunciare. E ci si domanda ancora il perché dell’identificazione formale della fornaia di Ascoli Piceno che per la Liberazione aveva affisso sulla sua attività lo striscione inoffensivo “25 aprile buono come il pane, bello come l’antifascismo”: “L’identificazione senza motivo non andrebbe fatta, è un piccolo atto intimidatorio, che genera un clima di timore e porta le persone a non esporsi”. A livello internazionale è eclatante, oltre al già citato caso di Francesca Albanese, “il precedente dei funzionari della Corte penale internazionale dell’Aia, colpiti da misure come il blocco della posta elettronica“, ricorda il professor De Martin.

E sarebbe ingenuo ritenere che il mezzo di comunicazione per eccellenza di oggi, internet, sia un’agorà in cui è sempre possibile dire cosa si pensa liberamente. Il web è anche un mezzo di controllo: “Il fatto che strumenti usati da miliardi di persone per dire quello che pensano siano in realtà nelle mani di pochissimi oligarchi, dà a questi il potere di dare forma al dibattito pubblico. Di attaccare, allontanare, sospendere post, mettere warning”, spiega De Martin. Per esempio, l’acquisto di Tiktok negli Usa, per evitare il ban, che è probabile avverrà da parte di un consorzio composto da miliardari con una propria agenda politica, “lascia immaginare che ci saranno conseguenze. TikTok per certi aspetti era più libero rispetto ad altre piattaforme”, anticipa De Martin.

Internet come mezzo di sorveglianza e controllo

In “Misunderstanding media”, Brian Winston traccia la tendenza storica alla “legge della soppressione del potenziale radicale” dei mezzi di comunicazione: “Quando i mezzi si affermano, inizialmente c’è un momento di euforia, di libertà, pensiamo per esempio agli albori della radio quando ci si dedicavano anche molti hobbisti che trasmettevano – racconta De Martin -. Ma quando il medium inizia davvero a essere usato per cercare di cambiare le cose, interviene la politica per stabilire le regole. Io che ho fatto parte della prima parte di entusiasti di internet, pensavamo fosse un mezzo di libertà ma persone come per esempio Stefano Rodotà ci avvertivano sull’importanza di difendere certe libertà e regolarle. E ormai, da anni è passata quella fase di entusiasmo un po’ ingenuo”.

Una differenza fondamentale tra internet e gli altri media, “è che internet è bidirezionale e trasparente. Si è diffuso anche perché è uno strumento di sorveglianza molto efficace. Internet permette infatti anche di seguire i movimenti e le comunicazioni delle persone. La tendenza che abbiamo preso è di rafforzare l’aspetto di sorveglianza per fini commerciali – spiega De Martin -, con la tracciabilità e la profilazione degli utenti, da cui le aziende estraggono informazioni”, quindi “Internet continuerà a essere spinta e, addirittura, imposta. Pensiamo allo smartphone per esempio, che è diventato obbligatorio: è come se fosse stato imposto. Uno strumento utile, ma anche una macchina di sorveglianza”. Servono quindi, ricordando Stefano Rodotà, “paletti molto chiari”, aggiunge il professore.

Proteste e leggi, come si fa la libertà d’espressione

Il 22 settembre 2025 in Italia si sono svolti scioperi e manifestazioni in ogni parte del Paese, per chiedere lo stop al genocidio a Gaza e una presa di posizione netta del Governo. Ci si è, ovviamente, organizzati anche online. Internet è un elemento costante nelle proteste in tutto il mondo, sia come oggetto che come soggetto della protesta: è il caso delle recenti manifestazioni in Nepal da parte dei ragazzi in seguito al blocco del precedente Governo di alcune piattaforme di social media. E se per quanto avviene in strada non mancano le reazioni, come nel caso dell’esercito Usa schierato contro le manifestazioni in California a giugno o la carica della polizia contro gli studenti in corteo a Pisa a febbraio, anche ai tavoli istituzionali tutelare diritti e libertà somiglia a ingaggiare una disputa a braccio di ferro.

Regolamenti Ue e tassazione big tech

Normative come il Gdpr, il Digital services act e la proposta di una web tax comune in tutta Ue non vanno sempre giù alle big tech d’Oltreoceano: “A livello Ue tutto è più esplicito e brutale – commenta De Martin -. Certo in venticinque anni siamo di fatto diventati una colonia digitale degli Usa”, ma adesso le rivendicazioni sono “solo più esplicite, perché quello che veniva detto magari a porte chiuse sulla necessità di tutelare le big tech, ora viene espresso apertamente e non ci sono veli, la volontà di dominio è esplicita“. Dunque è “importante lavorare sulla sovranità tout court europea e in particolare quella digitale. Qualche progetto concreto c’è, vedremo”, aggiunge il professore.

Libertà d’espressione: gli attacchi alla stampa e il pericolo dell’autoritarismo

Il senatore Usa Bernie Sanders in un discorso affidato ai suoi canali social ha denunciato le minacce alla libertà d’espressione negli Usa. Ha citato il presidente Donald Trump, che aveva paventato come dovrebbero probabilmente essere tolte le autorizzazioni ai media critici nei suoi confronti, e al suo indirizzo ha spiegato “questa non è libertà, è autoritarismo”, sottolineando che le persone e i media “hanno il diritto di criticare il presidente” ricordando inoltre che il Federal communication commisioner celebrando l’allontanamento di Kimmel ha annunciato “di non aver ancora finito”. Sanders ha ricordato che Trump ha fatto causa all’Abc, alla Cbs, ha tagliato i fondi a Pbs e Npr e ha intentato una causa da 15 miliardi al New York Times, sottolineando anche l’allontanamento dalla tv del conduttore Stephen Colbert prima ancora di Kimmel: “La libertà di stampa e il primo emendamento (cioè la libertà d’espressione, ndr) sono ciò che ci distingue dalle dittature da quattro soldi“, ha aggiunto il senatore, sottolineando che la libertà consiste nella possibilità di “esprimere il proprio punto di vista senza interferenze del governo”. La rilevanza del tema in Italia è invece sottolineata dall’articolo 21 della nostra Costituzione, che tutela appunto la libertà di espressione, dando diritto a chiunque di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo.

Del resto, spiega il professor De Martin, “la libertà d’espressione è sottolineata dai pensatori dall’Ottocento in avanti come presupposto per esercitare tutte le altre. L’indebolimento di questa libertà avrà quindi delle conseguenze”. E infatti “il rischio c’è sempre di un totalitarismo: la democrazia va sempre difesa, in teoria lo sappiamo che è sempre fragile. Gli Usa in passato hanno avuto il maccartismo per esempio, lo stiamo rivedendo per certi aspetti. In Europa abbiamo avuto periodi storici bui”. Il ruolo del digitale è fondamentale, perché “a partire dallo smartphone può rappresentare anche un mezzo di soppressione senza precedenti. Negli anni Trenta gli apparati di sicurezza degli autoritarismi dovevano agire alla vecchia maniera, raccogliere informazioni con le spie in modo complicato e costoso. Internet invece fornisce uno strumento capillare di sorveglianza, oggi ulteriormente potenziato dall’AI. Se Luigi XIV poteva stupirsi se scoppiava una rivolta, ora non è così”. Insomma, è importante tenere alta l’attenzione, prendersi cura delle proprie libertà ed esercitare i diritti, per custodire la democrazia. Perché parafrasando Virgilio è molto facile discendere nel baratro, la vera fatica è uscirne.

Bibliografia

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