Il nuovo anno si è aperto con la bella notizia della liberazione dalla prigionia in Iran della giornalista Cecilia Sala. Tuttavia, c’è poco da rasserenarsi: dal primo gennaio nel mondo sono stati uccisi sei giornalisti, mentre sono 530 quelli detenuti ai quali si aggiungono 25 persone che lavorano nei media. I giornalisti in ostaggio sono 54, ben 95 quelli scomparsi. Sono dati del barometro di Reporters without borders, che riguardano casi di uccisione o detenzione unicamente per motivi legati all’attività professionale dei giornalisti. Numeri che fotografano la realtà della libertà di stampa che, all’alba del 2025, è ancora travagliata.
Non sono cifre che devono preoccupare solo il settore: è una questione cruciale per la democrazia e ben rappresenta la disomogeneità globale degli equilibri tra diritti, libertà e doveri. La tecnologia ha un impatto importante sulla professione e la possibilità di esercitarla anche in contesti critici, che non sarebbe saggio trascurare.
Partendo da queste considerazioni è interessante vedere che cosa succede nel nostro Paese sul fronte della libertà di stampa e il rapporto tra informazione e innovazione.
Libertà di stampa, la posizione dell’Italia in Europa
Secondo l’indice dell’associazione Reporters without borders, il podio della classifica globale è dominata da Norvegia, Danimarca e Svezia, rispettivamente al primo, secondo e terzo posto. L’Italia nel 2024 si è posizionata al posto numero 46, su un totale di 180, perdendo cinque posizioni rispetto al 2023, quando era posizionata al quarantunesimo posto. La situazione viene etichettata come “problematica”, mentre nel 2023 era “soddisfacente”. I tre Paesi UE con il punteggio più basso in classifica sono Ungheria (67), Malta (73) e Grecia (88).

Questo, spiega l’associazione, nonostante il varo dell’European media freedom act, entrato in vigore il 7 maggio 2024. La norma tutela, tra gli altri aspetti, le fonti anche contro gli spyware, l’indipendenza del pubblico servizio giornalistico, i media dalla rimozione ingiustificata di contenuti da parte delle grandi piattaforme online, l’indipendenza editoriale, la trasparenza e il pluralismo. Nobili obiettivi che nella pratica non sono affatto principi scontati.
A livello globale, come segnala l’analisi al World press freedom index di Reporters without borders, la minaccia principale alla libertà di stampa che affligge tutti i continenti è l’autorità politica: questo emerge in quanto l’indicatore politico tra i cinque utilizzati per la statistica è quello che ha riportato un calo maggiore, con una media mondiale di 7,6 punti percentuali.
La questione del “bavaglio” alla cronaca giudiziaria
Il dibattito sulla libertà di stampa in Italia è particolarmente acceso, da qualche mese ormai, sulle conseguenze del nuovo divieto per i giornalisti di pubblicazione testuale delle ordinanze di custodia cautelare e altre misure cautelari. Dal punto di vista giornalistico, premettendo che la presunzione di innocenza dell’indagato e dell’imputato fino al terzo grado di giudizio va sempre tutelata, è importante per i cittadini capire i motivi che hanno spinto un magistrato a disporre una misura cautelare verso un indagato e non c’è fonte migliore che la parola scritta del magistrato stesso, non filtrata. I cronisti ora devono limitarsi invece a fare un riassunto, senza riportare citazioni dell’atto giudiziario.
Rispondendo a un’interrogazione dell’eurodeputata del M5S Valentina Palmisano, il commissario UE Michael McGrath pochi giorni fa ha commentato: “La direttiva Ue 2016/343 (ndr sull’equo processo) non prescrive limitazioni specifiche per quanto riguarda la pubblicazione da parte della stampa di atti processuali relativi alla fase preprocessuale del procedimento”, specificando che “fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media, la direttiva prevede soltanto che la diffusione di qualsiasi informazione da parte delle autorità pubbliche ai media rispetti la presunzione di innocenza e non crei l’impressione che la persona sia colpevole prima che la sua colpevolezza sia stata provata dalla legge”.
E ancora, il Procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri, in audizione alla Commissione parlamentare antimafia, come riportato da Il Fatto Quotidiano ha espresso la sua opinione al riguardo: “I cittadini hanno diritto di sapere cosa accade sul loro territorio. I giornalisti che fanno cronaca non riescono più a fare questo mestiere. Era più tranquillizzante che i giornalisti potessero pubblicare un pezzo di ordinanza che fare la sintesi, rischiano di fare errori o scrivere inesattezze”.
AI e giornalismo: il nuovo codice deontologico e l’Assisi Act
I giornalisti italiani stanno “collaborando” con l’intelligenza artificiale. Il 15 settembre 2024 l’Ordine dei giornalisti ha stilato l’Assisi Act, un manifesto per un approccio etico all’AI e all’informazione. L’11 dicembre 2024 è stato invece approvato il nuovo Codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti, in vigore da giugno 2025, che sostituisce il precedente Testo unico. All’interno, il nuovo codice include anche regole sull’impiego dell’intelligenza artificiale nell’attività giornalistica.
All’articolo 19 infatti il nuovo codice recita: “Fermo restando l’uso consapevole delle nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale non può in alcun modo sostituire l’attività giornalistica. Quando si avvale del contributo dell’intelligenza artificiale, la/il giornalista:
a) ne rende esplicito l’utilizzo nella produzione e nella modifica di testi, immagini e sonori, di cui assume comunque la responsabilità e il controllo, specificando il tipo di contributo;
b) verifica fonti e veridicità dei dati e delle informazioni utilizzati.
In nessun caso il ricorso all’intelligenza artificiale può considerarsi esimente in tema di obblighi deontologici”.
Sono fondamentali dunque la trasparenza nel comunicare l’uso dell’AI al lettore ed è doverosa un’approfondita attività di fact checking, per evitare di diffondere informazioni errate o fuorvianti. Il tutto sempre rispettando la deontologia e dunque servendosi con correttezza ed etica professionali dello strumento tecnologico. A tal scopo, la formazione professionale obbligatoria prevista annualmente dall’Ordine per i giornalisti, professionisti e pubblicisti, include corsi specifici di deontologia sull’uso dell’AI, così come formazione più pratica, dal punto di vista tecnico.
Tecnologia e libertà di espressione, lo scenario
Al di là dei nostri confini nazionali, in tutto il mondo l’innovazione porta strumenti utili per la libertà d’espressione e di informazione. Un diritto che in Italia è incluso nella Costituzione, ma che non per questo non va tutelato attivamente, ricordandoci quanto è prezioso il fatto che sia messo nero su bianco e che non dappertutto è così. Una disparità di diritti che si manifesta anche in disuguaglianza di mezzi e di possibilità. Come ricordato da Amnesty international, “il mondo digitale consente a molti più di noi di accedere alle informazioni di cui abbiamo bisogno”, in quanto “l’informazione è potere e Internet ha il potenziale” per dare tale potere a tutte le persone del mondo. Tuttavia, “la libertà di espressione oggi dipende ancora spesso dalla ricchezza, dal privilegio e dalla nostra posizione nella società. Chi è ricco e potente raramente è limitato nell’esprimere le proprie opinioni. Allo stesso modo, chi possiede un computer portatile con banda larga ha un accesso all’informazione molto più ampio di chi deve percorrere chilometri per raggiungere un internet cafè”.
In molte parti del mondo fare informazione conduce in carcere o alla morte. Il controllo sulle comunicazioni in alcuni Paesi viene svolto a livello istituzionale alzando firewall, bloccando siti, impedendo le connessioni. Nelle zone di guerra, poi, il lavoro dei giornalisti è costantemente minacciato anche sul piano dell’incolumità fisica: solo a Gaza, dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi almeno 166 reporter, secondo i dati della Federazione internazionale dei giornalisti.
Non si può dare per scontata la libertà mai, nemmeno nel 2025.