il senso dello stop

Meta blocca la pubblicità politica in Europa: una scelta “trumpiana”



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Addio a ogni forma di pubblicità politica, elettorale e sociale su Facebook e Instagram nell’intero territorio dell’Unione Europea a partire da ottobre. La scelta di Meta ricalca il trend che lega big tech e amministrazione Trump nel prendere le distanze dai principi cari all’Europa nella regolamentazione del digitale

Pubblicato il 28 lug 2025

Francesca Niola

Research Fellow Legal manager @ Aisma srl



meta antitrust

Meta ha annunciato la cessazione di ogni forma di pubblicità politica, elettorale e sociale su Facebook e Instagram nell’intero territorio dell’Unione Europea a partire da ottobre.

Perché Meta abbandona la pubblicità politico-sociale in Europa

La decisione interviene in prossimità dell’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla trasparenza della comunicazione politica, che impone vincoli rigorosi sulla tracciabilità dei finanziamenti, sull’identificazione del promotore degli annunci e sull’uso dei dati personali a fini di targeting.

E’ il TTPA, Transparency & Targeting of Political Ads.

Meta giudica tali norme “impraticabili” e afferma di voler evitare «sfide operative e incertezze legali», invocando la libertà di espressione come bene fondamentale messo a rischio dalle nuove disposizioni.

La risposta dell’azienda statunitense, pur presentandosi come un atto di cautela tecnica, rivela una faglia più profonda, al tempo stesso normativa, geopolitica e ideologica.

Una scelta USA (repubblicana) anti UE

Nel cuore di questa decisione risuona l’eco di una concezione della libertà comunicativa maturata in un contesto statunitense — e in particolare repubblicano — che identifica la parola pubblica con una forma assoluta di proprietà, impermeabile a ogni vincolo di trasparenza. La frattura tra l’architettura giuridica europea, fondata sull’equilibrio tra libertà informativa e correttezza del processo democratico, e la postura delle grandi piattaforme globali, orientate a difendere spazi regolativi minimi e margini operativi massimi, assume qui un carattere strutturale. L’evocazione della libertà di espressione, declinata da Meta come diritto illimitato all’advertising politico, maschera una strategia di contestazione del potere normativo europeo, destinata a trovare ascolto negli ambienti statunitensi che da tempo denunciano l’“interventismo” delle istituzioni comunitarie.

Sotto la superficie di una decisione tecnica si addensa dunque un interrogativo teorico cruciale: l’interruzione della pubblicità politica in Europa tutela davvero la libertà di espressione oppure costituisce il gesto deliberato con cui una corporation globale si sottrae agli obblighi di trasparenza democratica? La retorica dei diritti, impugnata da Meta, traduce la resistenza all’autorità regolatrice in linguaggio della legittimazione, e muta il diritto-dovere alla tracciabilità dell’informazione politica in una presunta censura. In gioco non vi è soltanto il rapporto tra pubblicità e politica, ma la definizione stessa dello spazio pubblico digitale: mercato aperto o ambiente costituzionale?

Meta afferma che la pubblicità politica costituisce parte integrante della politica moderna. Attraverso questa dichiarazione, la piattaforma istituisce un’equivalenza tra funzione promozionale e libertà espressiva, assegnando al messaggio sponsorizzato uno statuto quasi costituzionale. La pubblicità digitale, anziché apparato commerciale, acquisisce così la dignità di veicolo democratico, dotato di valore pubblico. La sovrapposizione tra diritto fondamentale e strumento di profilazione introduce una torsione semantica destinata a incidere sulla struttura stessa della sfera pubblica. L’infrastruttura algoritmica si presenta come spazio di partecipazione politica, privo di mediazioni istituzionali, retto da logiche proprietarie e accessibile secondo criteri economici.

La distinzione formulata da Meta tra espressione individuale e annuncio sponsorizzato orienta il discorso su un piano tecnico, ma produce una selezione materiale: il contenuto organico resta subordinato all’economia dell’attenzione, mentre la comunicazione a pagamento ottiene visibilità assicurata, accesso mirato, rilevanza automatizzata. L’apparato promozionale diventa motore primario del discorso politico, poiché assicura circolazione efficace, diffusione selettiva, capacità predittiva. Il principio di parità comunicativa subisce così una trasformazione silenziosa, fondata sulla disuguaglianza nell’accesso agli strumenti tecnologici di influenza.

L’appello alla libertà di espressione, inserito in questo quadro, svolge una funzione operativa: neutralizza l’intervento regolativo e rafforza la preminenza dell’infrastruttura privata nel governo dell’opinione pubblica. L’inserzione pubblicitaria assume natura di dichiarazione politica. La piattaforma, priva di obblighi pubblici, esercita potere selettivo mediante dispositivi computazionali non accessibili, non verificabili, non soggetti a garanzie costituzionali. Il principio di trasparenza, fondamento dell’ordinamento europeo, produce interferenza sistemica con l’equilibrio interno della macchina algoritmica. L’obbligo di tracciabilità destabilizza il nesso tra anonimato dell’infrastruttura e precisione della persuasione.

Il TTPA, regolamento europeo sulla trasparenza della pubblicità politica

Il regolamento europeo sulla trasparenza della pubblicità politica disciplina ogni forma di comunicazione a pagamento riferita a temi elettorali, sociali o istituzionali. Ogni annuncio deve riportare il nome del finanziatore, l’importo speso, i criteri di profilazione utilizzati e l’intervallo temporale della diffusione. L’accessibilità del messaggio diventa obbligo giuridico, non concessione volontaria. Il legislatore europeo subordina la legittimità dell’advertising politico a un vincolo di visibilità pubblica, con archivi centralizzati, consultabili, standardizzati.

La struttura normativa protegge la coerenza del processo democratico. La regolazione della comunicazione digitale risponde a tre esigenze: prevenzione della manipolazione informativa, controllo delle ingerenze transnazionali, eguaglianza nella formazione dell’opinione elettorale. Ogni contenuto rilevante per il dibattito politico riceve attenzione specifica, poiché incide sul nesso tra consenso e sovranità. Il messaggio elettorale, per produrre effetti leciti, richiede una filiazione trasparente, una tracciabilità tecnica, un’autorialità certa.

Big tech, Trump contro i principi europei

Meta contesta la compatibilità tra questi obblighi e l’architettura delle proprie piattaforme. L’argomento tecnico assolve di fatto una funzione ideologica: sposta l’asse dalla regolazione pubblica alla funzionalità privata. L’opacità, presentata come condizione naturale del sistema, riceve protezione attraverso la retorica della complessità. Ogni vincolo di tracciabilità altera l’equilibrio del modello algoritmico, fondato sull’asimmetria tra mittente e destinatario.

L’adesione ideologica di parte dell’industria tecnologica statunitense al paradigma repubblicano della deregulation digitale produce effetti visibili nella postura assunta da Meta nei confronti dell’ordinamento europeo. La libertà di espressione, intesa come prerogativa illimitata del soggetto comunicante, assume un valore assiologico assoluto, immune da interferenze pubbliche e da ogni criterio redistributivo. Tale concezione si radica nella cultura costituzionale statunitense, e in particolare nella giurisprudenza più sensibile al principio di neutralità rispetto ai contenuti, secondo un’interpretazione che attribuisce al mercato la funzione di unico arbitro del pluralismo.

L’azione compiuta da Meta produce un duplice effetto comunicativo: da un lato, trasmette alle istituzioni europee un segnale di opposizione alla progressiva normazione della sfera digitale; dall’altro, rafforza il legame politico-culturale con l’ambiente istituzionale statunitense favorevole a un modello di libertà incondizionata del discorso online. La piattaforma si posiziona come attore transatlantico dotato di agenda propria, capace di selezionare i propri interlocutori sovrani e di articolare alleanze funzionali ai propri assetti regolativi. Ogni dichiarazione sul piano europeo riflette una precisa strategia di posizionamento nel confronto geopolitico tra modelli normativi divergenti.

Gli effetti dell’addio di Meta alla pubblicità politica e sociale in Europa

La scelta di sospendere la pubblicità politica in Europa produce un effetto materiale non marginale: trasferisce sull’Unione il costo simbolico e operativo della decisione, mentre mantiene integra l’infrastruttura tecnica predisposta per altri contesti giurisdizionali. Tale dinamica attribuisce alla minaccia del ritiro la qualità di strumento regolativo alternativo, utilizzato per influenzare l’orientamento normativo dei legislatori nazionali e sovranazionali. La piattaforma, pur priva di legittimazione elettorale, assume la funzione di soggetto negoziale dotato di leva sistemica, fondando la propria forza sull’interdipendenza economica e sull’assenza di concorrenza infrastrutturale.

In questo assetto, la sovranità normativa europea riceve una pressione esterna che non proviene da Stati, ma da dispositivi globali in grado di condizionare il contenuto e la portata delle regole pubbliche. L’autonomia del legislatore incontra un vincolo implicito: l’accettazione o il rifiuto, da parte dei soggetti regolati, di conformarsi a un ordine giuridico dotato di finalità democratiche. La minaccia di disconnessione produce un rischio strutturale: l’assoggettamento della sovranità costituzionale a parametri tecnico-commerciali, decisi in sedi extraterritoriali, secondo logiche estranee alla funzione normativa dell’ordinamento europeo.

Attenzione.

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