società digitale

Niente social ai ragazzi? No a divieti, serve più educazione



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I divieti sui social, come in Australia e Albania, sollevano dubbi sull’efficacia e sulla libertà d’espressione. Un’educazione critica è cruciale per insegnare ai giovani a navigare i rischi digitali e riconoscere contenuti problematici su diverse piattaforme

Pubblicato il 16 gen 2025

Michele Balbinot

ESSE-CI Centro Studi



Ragazzi e social

Per l’Oxford University Press, la “parola dell’anno” del 2024 è brain rot, ossia: “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, spesso considerato il risultato di un’eccessiva esposizione a materiali (ora in particolare contenuti online) ritenuti banali o poco stimolanti […]”. [1]

L'Australia vieta i social media agli under 16, e' il primo paese al mondo

Il termine, che ha assunto popolarità proprio sulle piattaforme digitali – e in particolare TikTok – si riferisce all’effetto della sovraesposizione a contenuti multimediali, che a sua volta genera un maggior consumo degli stessi, favorendo un abuso dei social media che rischia di affliggere non solo le capacità cognitive dei loro utenti – e specialmente giovani e giovanissimi – ma anche la loro salute mentale tout court.

Di qui si spiega l’intensificarsi dello scrutinio, da parte degli Stati, dei rischi che le piattaforme come TikTok e Instagram possono comportare, specialmente nei confronti delle nuove generazioni [2].

L’Australia capofila delle restrizioni all’uso dei social

La prima nazione a muoversi in termini limitativi dell’utilizzo, prima ancora che educativi sull’utilizzo, è stata l’Australia, il cui Parlamento, lo scorso novembre, ha approvato una legge che impedisce ai minori di sedici anni di utilizzare le piattaforme social come Facebook, Instagram, TikTok, Twitter/X, Snapchat e Reddit, prevedendo in capo alle stesse l’onere e la responsabilità di istituire entro un anno questa limitazione all’accesso, pena una multa milionaria [3].

Le modalità attraverso cui si vieterà ai giovanissimi australiani di utilizzare i social network non sono però ancora chiare, ponendosi diverse questioni di tutela della privacy nell’utilizzo di dati biometrici o dei documenti di identità in fase di registrazione alla piattaforma.

TikTok e la sicurezza nazionale: gli Usa verso il ban

D’altra parte, tra i diversi social ce n’è uno che più di tutti resta sotto la lente dei Paesi, occidentali ma non solo. TikTok, la piattaforma basata su un flusso continuo di brevi video e di proprietà della compagnia cinese ByteDance, vede aumentare la sfiducia nei suoi riguardi in seno ai governi di gran parte dell’Unione Europea, del Nord America e dell’Asia meridionale, principalmente per due ragioni.

La prima, e più evidente, non riguarda tanto la salute mentale e cognitiva dei giovani utenti quanto più la presunta sicurezza nazionale. Le ragioni per cui l’applicazione è stata vietata su tutti i dispositivi forniti dalle istituzioni unionali, dai governi federali statunitense e canadese, dalla NATO e da diversi singoli Stati degli USA ed europei (Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito), infatti, hanno a che fare con il trattamento dei dati degli utenti e la possibilità che questi siano immagazzinati su server in Cina, Paese considerato avversario commerciale e che deterrebbe un importante interesse a disporre di dati sensibili di ufficiali stranieri.

La stessa preoccupazione, peraltro, ha mosso a un ulteriore passo gli stessi Stati Uniti, che attraverso il Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act si avviano verso un divieto dell’applicazione esteso a tutto il territorio, a partire dal prossimo 19 gennaio 2025.

Mentre i divieti all’applicazione in diversi Paesi sono stati fondati sul contenuto amorale o antireligioso dei video presenti sulla piattaforma (il riferimento è ad Afghanistan, Somalia e Iran, oltre a quello istituito e poi rimosso in Pakistan), sono ancora pochi i divieti che adducono invece ragioni di benessere individuale degli utenti [4].

Albania: ban per un anno e formazione nelle scuole

Il primo Paese europeo ad introdurre un ban di TikTok generalizzato e fondato sulla possibile pericolosità dei contenuti pubblicati è l’Albania. Dopo l’assassinio di un quattordicenne da parte di un coetaneo, con cui aveva litigato attraverso i social, il primo ministro Rama ha annunciato infatti che bloccherà l’applicazione per almeno un anno, sfruttando tale periodo di tempo per fare formazione nelle scuole sui rischi delle piattaforme [5].

Le criticità delle attuali misure anti-social

Prescindendo dalla questione geopolitica dei dati, però, non si può allo stesso modo spiegare come il divieto di un solo social network, a fronte di tanti altri utilizzabili, possa influire positivamente sullo sviluppo dei giovani e dei giovanissimi utenti delle piattaforme digitali. In questo senso si può leggere l’intervento del Parlamento australiano come l’unico che, in potenza, può avere un effetto, ancorché non si possa ancora sapere se sarà positivo o sufficiente. Parimenti, dai divieti, specialmente se generalizzati, nascono questioni che si estendono naturalmente al di là della salute dei giovani utenti, investendo invece i profili delle libertà di manifestazione del pensiero e di informazione – specie, come nel caso dell’Albania, all’alba di un importante appuntamento elettorale per il rinnovo della camera parlamentare [6] – nonché le diverse opportunità commerciali che i social network favoriscono, sia in termini di sviluppo imprenditoriale dei “creatori di contenuti”, sia come supporto alle aziende esistenti che li utilizzano come medium per farsi pubblicità.

Rilevano, infine, le varie possibilità, esistenti o sicuramente sviluppabili, di aggiramento dei divieti, specie se di natura prettamente tecnica, che possono rendere di fatto inefficace la legge dello Stato.

Per queste ragioni, ancor prima dei divieti, è necessaria più che mai la formazione all’utilizzo consapevole delle piattaforme digitali, sia per i giovani sia per la “comunità educante” che li circonda – famiglia e insegnanti in primis, ma anche ambienti sportivi e di socializzazione. È necessaria, cioè, un’educazione critica, che possa insegnare a riconoscere i contenuti problematici e i comportamenti a rischio e a saper rispondere alle insidie che tutte le piattaforme, pur in forme e modi diversi, possono nascondere.

Note

* Il presente contributo è stato redatto nell’ambito delle attività del Progetto SAFELY – Social media Awareness For Education and Legal Youth (PI: Prof. Thomas Casadei, https://www.safely.unimore.it) inserito nello Spoke 8 “Risk Management and Governance” della Fondazione SERICS (PE SERICS – PE00000014 – tematica n° 7 “Cybersecurity, nuove tecnologie e tutela dei diritti”).

[1] OUP, ‘Brain rot’ named Oxford Word of the Year 2024, https://corp.oup.com/news/brain-rot-named-oxford-word-of-the-year-2024

[2] Per una recente trattazione, entro una prospettiva educativa di promozione di usi consapevoli, si rinvia a Th. Casadei, Tik Tok: A Legal Perspective on the Digital Environment, Highly Accessed by Minors, all’interno del forum Children and the use of technology: Legal protection and personal rights / Niños y uso de la tecnología: protección jurídica y derechos personales, pubblicato in “Revista de derecho privado”, 1, 2025, pp. 87-116: https://revistas.uexternado.edu.co/index.php/derpri/article/view/10103/17197. Dello stesso autore si veda il contributo introduttivo al fascicolo: Regulation, Awareness, Agency: Beyond the “Risk Paradigm”, Guest Editor’s Introductory Note al Forum Children and the use of technology: Legal protection and personal rights / Niños y uso de la tecnología: protección jurídica y derechos personales, in “Revista de derecho privado”, 1, 2025, pp. 5-18: https://revistas.uexternado.edu.co/index.php/derpri/article/view/10099/17193.
Questi contributi sono stati elaborato nell’ambito del progetto “TikTok e dintorni: buone pratiche per una cittadinanza digitale sicura nell’era dei social network” promosso dal CRID – Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità dell’Università di Modena e Reggio Emilia (www.crid.unimore.it), e segnatamente dall’Officina Informatica DET “Diritto Etica Tecnologie” istituita presso il Centro, nell’ambito delle attività di terza missione e public engagement dell’Ateneo. Il progetto, che si rivolge ai giovani e alla comunità educante nonché alla cittadinanza tutta, consiste nell’indagare gli usi dei social network, e in modo più specifico quello di TikTok, per comprendere quali siano i rischi e i pericoli derivanti da un uso non consapevole di tali strumenti.
Il contributo si è giovato inoltre delle discussioni maturate grazie al progetto “Swipe Like Love – Sguardi di genere su digitale e uso di Tik Tok”. Quest’ultimo, nato nell’ambito delle attività connesse al Protocollo di intesa fra il CRID e OGEPO – Osservatorio Interdipartimentale su Studi di Genere e le Pari Opportunità (Università degli Studi di Salerno) di cui sono referenti il Prof. Thomas Casadei (in rappresentanza del CRID) e la Prof.ssa Valeria Giordano (in rappresentanza di OGEPO), si propone di analizzare criticamente i messaggi veicolati su TikTok, specialmente le c.d. “relazioni tossiche” veicolate da alcuni contenuti che circolano in questa piattaforma.

[3] Associated Press, Australian Parliament bans social media for under-16s with world-first law, https://apnews.com/article/australia-social-media-children-ban-safeguarding-harm-accounts-d0cde2603bdbc7167801da1d00ecd056.

[4] Si registra, in questo senso, il caso del Kirghizistan, che ha bloccato TikTok asserendo possibili danni allo sviluppo dei bambini: Il Kirghizistan ha bloccato TikTok nel paese, sostenendo che danneggi i bambini, “il Post”, 18 aprile, 2024: https://www.ilpost.it/2024/04/18/kirghizistan-bloccato-tiktok/. In precedenza: Il Kirghizistan vuole vietare TikTok, “il Post”, 31 agosto, 2023: https://www.ilpost.it/2023/08/31/kirghizistan-tiktok-divieto-utilizzo/.

[5] BBC, Albania declares one-year TikTok ban over stabbing, https://www.bbc.com/news/articles/c93gxzergk2o.

[6] Ma anche in caso di rivolte popolari o importanti manifestazioni anti-governative, come è accaduto nella Nuova Caledonia francese, in cui il social è stato bloccato durante le rivolte del maggio 2024.

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