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Smartphone: vero nemico degli adolescenti o capro espiatorio?



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Il dibattito sull’uso dello smartphone in età evolutiva divide studiosi e clinici: tra chi lo considera un rischio per la salute mentale e chi lo interpreta come strumento da accompagnare e integrare nel percorso di crescita dei giovani

Pubblicato il 1 ott 2025

Roberto Pozzetti

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia,



smartphone durante l’infanzia (1) dipendenza da smartphone nomofobia

Il dibattito sull’uso dello smartphone in età evolutiva è oggi al centro di studi psicoanalitici e neuroscientifici che ne indagano rischi e potenzialità. Tra prospettive contrapposte, emerge la necessità di un approccio educativo capace di integrare criticità e opportunità.

Smartphone sì o no? Il ritorno degli apocalittici e degli integrati

Nei primi mesi di quest’anno 2025, sono stati pubblicati diversi libri che vertono intorno alla questione dell’utilizzo dei dispositivi digitali in età evolutiva anche in riferimento alle proposte di normarne l’uso anzitutto nei contesti scolastici.

Le tesi ivi sostenute sono varie, spesso radicalmente opposte, tanto da rievocare la distinzione fra apocalittici e integrati di cui scrisse Umberto Eco.

I volumi sull’argomento sono davvero numerosi, non senza cavalcare l’onda di un certo allarme socio-educativo: sarebbe dunque impossibile compiere una lettura dettagliata di ognuno di essi.

Due recenti pubblicazioni sulla questione a confronto

Due libri ci paiono tuttavia particolarmente significativi in quanto polarizzano appunto la dialettica fra autori apocalittici e autori integrati. Suscitano il nostro interesse pure perché pubblicati da uno dei maggiori psicoanalisti italiani, Franco De Masi, membro dell’International Psychoanalytical Association fondata a suo tempo direttamente da Freud, e da uno fra i più eminenti studiosi di neuroscienze, Vittorio Gallese di Parma, noto soprattutto per i suoi contributi sui neuroni specchio, il quale si avvale della collaborazione di due docenti universitari della sua stessa regione esperti del digitale: Stefano Moriggi e Pier Cesare Rivoltella.

Entrambi i testi si focalizzano sugli oggetti digitali dei quali abbiamo in precedenza scritto nel nostro libro “Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali” (Alpes, Roma) con particolare riferimento allo smartphone, citato esplicitamente nel titolo da Franco De Masi e indirettamente nei vari capitoli da Gallese, Moriggi e Rivoltella. Entrambi i lavori sono ricchi di concetti tratti dalle opere di intellettuali dei quali ci siamo occupati anche noi: spaziano da Freud al Fedro di Platone, riletto alla luce dei contributi del filosofo francese Jacques Derrida circa le criticità del passaggio dall’oralità alla scrittura.

Vengono riportate letture come la società dello spettacolo di Guy Debord, quella circa il simulacro di Jean Baudrillard, la questione del mezzo come messaggio di Marshall McLuhan, la società della trasparenza di Byung Chul-Han, il trovarsi online insieme ma soli della collega statunitense Sherry Turkle, la fenomenologia del selfie di Giovanni Stanghellini. Sembra che vi manchino soltanto l’insegnamento di Jacques Lacan e, se non per qualche breve cenno, l’esperienza della pratica clinica online così diffusa a partire dal lockdown del 2020.

La posizione critica di Franco De Masi

Giunge spontanea la messa a confronto delle due prospettive che paiono in effetti presentare una tesi alla quale si contrappone un’antitesi. De Masi, del quale abbiamo sinceramente apprezzato diversi contributi in passato, assume una posizione molto critica, molto negativa nei confronti dello smartphone; lo si coglie già dal secco titolo della sua pubblicazione: “No smartphone”. L’attitudine clinica di Franco De Masi è evidente e apprezzabile. Non scrive un testo altamente teorico; si basa sulla sua pratica professionale con pazienti giovani e con mamme di soggetti in età evolutiva. Utilizza giustamente il metodo della ricerca single case, volta ad apprendere dalla singolarità di ogni caso clinico.

Egli stesso riconosce che l’abuso del mezzo informatico si dimostra sovente preceduto da difficoltà psicopatologiche del ragazzo e che la dipendenza dai dispositivi digitali si sviluppa molto più di frequente in bambini e adolescenti francamente già vulnerabili se non palesemente problematici. I casi clinici che descrive in modo dettagliato si caratterizzano per pregresse fobie scolari, per importanti fragilità evidenti da tempo oppure per posizioni soggettive riconducibili a delle psicosi abbastanza conclamate oppure ancora al caso di un teenager che aveva in precedenza ricevuto la diagnosi di disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento. In queste situazioni, lo smartphone assume dunque tutte le caratteristiche di un oggetto difensivo da una sofferenza sovente radicata, profonda, intensa. Risulta senza dubbio condivisibile la preoccupazione dinanzi all’utilizzo per più ore al giorno degli schermi in età prescolare; riferendosi ai teenager, invece, anziché essere l’uso dello smartphone a determinare queste problematiche, si tratta di casi di soggetti sofferenti da tempo che cercano nello schermo e nella tastiera degli strumenti intorno ai quali imperniare un proprio tentativo di guarigione e di instaurare o recuperare dei legami sociali in apparenza padroneggiabili a distanza.

Oltre la tecnofobia: la visione equilibrata di Gallese, Moriggi e Rivoltella

La prospettiva di ricerca di “Oltre la tecnofobia” propone un excursus sul digitale che va dalle neuroscienze ai contesti educativi. Gli autori ci suggeriscono di astenerci sia da un’ingenua ed entusiastica tecnofilia sia da una sterile e anacronistica tecnofobia. In accordo con molti altri studiosi, evidenziano quanto si stiano ormai sfumando le demarcazioni fra la realtà fisica e la sua rappresentazione digitale. La loro proposta è quella di incrementare la preparazione dei giovani cittadini circa le informazioni che circolano in rete, anzitutto per preservarli dalle fake news. Rifacendosi a tesi del filosofo Walter Benjamin, sottolineano come il cambiamento della percezione sensoriale prodotto dal radicarsi in ogni dove dei dispositivi digitali incide profondamente sull’esistenza umana. Modifica in modo significativo l’esperienza, la sensibilità e le relazioni interpersonali. La struttura sociale nella quale si nasce, si cresce, si vive e si interagisce impatta in effetti con un marcato influenzamento sullo sviluppo e sull’esistenza di ciascun individuo.

La domanda sull’essenza dell’essere umano

La questione del giusto confine fra un sano uso e un problematico abuso degli oggetti digitali permea entrambe le pubblicazioni citate ma in “Oltre la tecnofobia” viene problematizzata in modo arguto. Quando si può stabilire che un soggetto in età evolutiva sta prendendo la deriva dell’abuso? Quando inizia un abuso? Come stabilire qual è il momento giusto nella vita dei propri figli per dotarli di uno smartphone? Sono domande che circolano diffusamente e che ci vengono non di rado indirizzate nelle discussioni e nelle conferenze. Lo si voglia o no, un’altra domanda che risuona sistematicamente in tutti i dibattiti e i convegni sul digitale e sull’Intelligenza Artificiale generativa è quella incistata intorno ai costi e ai benefici di un device per l’essere umano, sui rischi da un lato contro le risorse e le opportunità dall’altro per le giovani generazioni: gli stessi autori la riassumono nell’annosa questione circa l’essenza umana che rischierebbe di venire erosa e sminuita dall’imperante ricorso ai dispositivi digitali. Sorge a questo punto nel libro un interrogativo più radicale e inquietante, mediato da alcune riflessioni di Massimo Cacciari: chi sei tu, uomo? Cos’è in effetti l’uomo? Approcciare la questione da tale inedito punto di vista sovverte in larga misura la dicotomia fra una non ben precisata essenza del soggetto umano e la presunta pericolosità degli oggetti digitali. Non sappiamo mai definire in modo ultimativo cosa sia l’umanità né cosa sia essere sé stessi. L’essere umano non ha del resto una vera e propria identità: è sempre diviso. Questo è uno dei principali insegnamenti della psicoanalisi; basti ricordare la divisione freudiana dell’apparato psichico fra le istanze di Es, Super-Io e Io là dove oltretutto quest’ultimo si divide a sua volta fra parti consce e parti inconsce dell’Io. Qual è l’essenza umana? Qual è il vero Io? L’Io conscio o l’Io inconscio?

Adolescenza, psicopatologia e accompagnamento educativo

Si dice che gli adolescenti di oggi siano immersi in condizioni di difficoltà, spesso con frasi retoriche e paternalistiche poco supportate da dati probanti. Una chiave di lettura, sostenuta da Jonathan Haidt, asserisce che le giovani generazioni di questi anni sarebbero maggiormente angosciate di quelle precedenti a causa dell’effetto nocivo di una perenne disponibilità degli smartphone. Haidt ne scrive nel suo saggio, tradotto in italiano lo scorso anno con il titolo “La generazione ansiosa; esso risulta addirittura ai primi posti delle classifiche di vendita nella categoria saggistica. Haidt, per suffragare la propria affermazione, riporta una serie di ricerche che non attestano però risultati decisivi. A proposito di dati, i tre autori italiani si appoggiano sull’ampio lavoro di ricerca compiuto da Candice Odgers, studiosa di origine canadese ma che insegna in università negli Stati Uniti, secondo la quale le prove della presunta correlazione fra disturbi d’ansia e utilizzo dello smartphone sarebbero davvero tenui o addirittura inesistenti. Altri fattori socialmente rilevanti potrebbero in effetti contribuire a innescare un’angoscia esistenziale molto intensa nelle giovani generazioni: il crescente precariato lavorativo che implica un sentimento di precarietà circa il proprio futuro abitativo e affettivo, la competitività spasmodica tipica del nostro mondo, l’esigenza sociale di essere sempre performanti, la spinta a una sorta di auto-promozione che tiene in una condizione di tensione e di frequente allerta. L’angoscia è infatti un segnale di pericolo con la peculiarità di uno stato di attesa o di preparazione dinanzi a un evento: Freud lo aveva a suo tempo puntualizzato.

Ai fini di una disamina più completa di questi argomenti, sarebbe del resto ingiusto tralasciare come gli ingenti investimenti pubblici volti a favorire la transizione digitale avvengono anche a scapito di quelli per la sanità. Si riducono dunque le opportunità di prevenzione della sofferenza psichica indirizzate verso soggetti in età evolutiva, sia in ambito scolastico sia in contesti extrascolastici, con effetti di crescente esposizione all’angoscia e al dolore psichico.

Come abbiamo più volte sostenuto, un oggetto digitale quale lo smartphone, in certe stagioni e soprattutto in giovane età, può assumere il valore di un oggetto pulsionale. Acquisisce un valore analogo a quello del seno e dello sguardo, degli oggetti intorno ai quali si organizzano la pulsione erotica e il desiderio. L’oggetto digitale orienta la vita del soggetto che anela a possederlo, volendolo fare proprio e lo considera indispensabile sino a giungere talora a una vera e propria dipendenza.

L’operazione maggiormente indicata ai genitori e agli adulti non consiste dunque in una linea di proibizionismo, che renderebbe semmai ancor più desiderabili tali oggetti; si tratta piuttosto di compiere un’operazione di accompagnamento all’uso dei dispositivi digitali in età evolutiva, fornendo indicazioni e suggerimenti su come gestirne le risorse e i rischi.

Oltre il divieto, verso un uso creativo del digitale

Allo stato attuale delle ricerche, mentre i pareri dei clinici e gli studi convergono verso la nocività degli schermi nella prima infanzia, non vi sono invece elementi che vadano a comprovare in modo convincente le tesi apocalittiche circa la disponibilità dei “device” digitali e soprattutto dello smartphone in età adolescenziale. Le situazioni di dipendenza dagli oggetti digitali che si incontrano dopo la pubertà sono spesso conseguenza di forme di sofferenza e di problematiche psicopatologiche pregresse rispetto alle quali il ricorso continuo allo smartphone sembra funzionare soprattutto come un tentativo di stabilizzazione. Si tratta allora di passare dalla posizione di meri fruitori passivi di contenuti multimediali a una posizione più creativa nella quale progettare in modo inventivo nuove pratiche digitali.

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