LLa sorry society rappresenta il paradigma della nostra epoca: una società che ha trasformato le scuse in uno strumento sistematico per evitare responsabilità reali.
Dai piccoli torti quotidiani alle grandi tragedie collettive, il “mi dispiace” diventa un alibi che perpetua errori e ingiustizie.
Indice degli argomenti
Dal Tube a YouTube: le scuse tra analogico e digitale
Fino a qualche anno fa si andava a Londra e si prendeva la metropolitana – The Tube – per viaggiare in quel caleidoscopio di emozioni che è stata la capitale britannica per tanti di noi. Ora per scoprire nuovi suoni, idee, culture e colori si va su YouTube. Il tubo cambia, da analogico e underground a digitale e virtuale, ma è sempre simbolo di velocità, di sperimentazione, di incontro e a volte di scontro.
Sì, perché a molti sarà capitato di prendere la metropolitana a Londra e di ricevere innumerevoli spintoni, pestoni sui piedi e borsate nei fianchi. Immancabile, dopo l’offesa più o meno grave, seguiva un fragoroso “Sorry!”. Apparentemente una dimostrazione di buona creanza, di civiltà, almeno le prime volte. Perché, quando la prevaricazione diviene sistematica, le scuse appaiono di maniera, false, una presa in giro, poiché prive di empatia o critica al proprio operato, presente e futuro.
Pure nel piano digitale prendi e dai spinte, leggi veri o presunti pettegolezzi, vedi fotomontaggi più o meno credibili, posti contenuti senza verificarne l’attendibilità e, quando viene fuori la magagna, un bel “Sorry!” – sotto forma di emoticon dolente o di like alla critica – mette tutto a posto. Una po’ di misericordia da usare alla bisogna, un ansiolitico digitale. Ipocrita e di maniera proprio come il “Sorry!” sotterraneo.
La legge di Brandolini e il potere della disinformazione
Nel piano digitale l’effetto è ancor più amplificato. Lo rende bene la legge di Brandolini: un principio secondo cui l’energia necessaria a confutare la disinformazione è molto superiore a quella necessaria a produrla.
In altre parole, Bronner (2013) afferma che per smentire una falsità è necessario presentare argomenti molto solidi, mentre la sciocchezza sfrutta i pregiudizi cognitivi del nostro cervello.
I tre principali sono:
- l’impatto ovvero l’effetto che produce una fake news è maggiore rispetto a qualsiasi smentita o critica seguente;
- l’effetto memoria ovvero la traccia lasciata dalla sciocchezza è molto più profonda delle smentite seguenti e, infine,
- l’effetto annuncio: chi introduce una informazione (falsa) è visto come portatore di cambiamento, di novità, mentre chi lo sconfessa è visto come un guastafeste, un moderato.
Il rituale delle scuse istituzionali dopo ogni tragedia
È un comportamento sempre più comune. Così dopo ogni scortesia, dopo ogni danno, dopo ogni crimine, dopo ogni scandalo, dopo ogni fake news, dopo ogni immagine contraffatta o rubata è un florilegio di “indecente!”, “vergognoso!”, “disgustoso” e mille parole di sdegno morale, di irritazione, di sincera pena.
Questa litania laica – solitamente, tenuta da un rappresentante delle Istituzioni – si ripete pure dopo ogni terremoto guardando le case distrutte; dopo ogni alluvione, quando il fango ricopre tutto; dopo ogni donna uccisa da un uomo; dopo ogni morto sul lavoro; ogni volta che un bambino muore in mare; quando cade un ponte; quando si fanno fuggire le nostre menti migliori perché si continua a sovvenzionare attività tradizionali, quando si muore per la velocità, quando una ragazza fugge all’estero per mettere a frutto i suoi studi, quando si lascia fare al bullo a scuola, quando si diffondono fake news sul web, quando una Paese stermina indisturbato un popolo intero…
De André e la resa sistematica dello Stato
Sulla resa sistematica all’ennesima afflizione, sull’imbarazzo per il nuovo scandalo, sul disagio per la tragedia annunciata, De André (1990) notava: “Prima pagina: venti notizie, ventuno ingiustizie e lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna… Poi getta la spugna con gran dignità”. In una parola: Sorry!
Dispiacersi per qualcosa che sapevamo sarebbe potuto accadere, anzi che era probabile che succedesse e, sicuramente, era evitabile, sono scuse che fanno arrabbiare, irritano, come quelle spinte ripetute sulla metropolitana. Davanti a un evento negativo, con un’aspettativa elevata di realizzazione, ci si deve scusare per non aver evitato l’esito atteso, non dispiacersi dell’accaduto. Invece ci si nasconde dietro la malasorte, l’evento eccezionale, il cigno nero…
Furbizia, indifferenza e radici culturali della sorry society
Questa furbizia insolente, endemica nel nostro Paese, si propagando nel Web. Nasce dal cattivo esempio, dall’assenza di condanna sociale e si diffonde spinta dall’indifferenza (“fatti i fatti tuoi”), dall’omertà (“non ho visto nulla”), dalla certezza dell’impunità (“non ti vede nessuno”), dall’essere in cattiva compagnia (“lo fanno tutti”). Ha radici profonde che risalgono alla vendita delle indulgenze e hanno riempito film e rotocalchi… Il suo terreno di cova è alimentato dall’abuso edilizio diffuso, dalla macchina in doppia fila, dal condizionatore in facciata e da mille piccole sciatterie, trascuratezze, colpe lievi, reati impalpabili, misfatti morali, innocenti evasioni (Mandrone, 2022a).
Opacità morale: piccoli torti e gravi ingiustizie sullo stesso piano
La sorry society è opaca, mette insieme lassismo, pressapochismo, sciatteria con reati e oltraggi gravi. Senza percepire la diversa scala morale, ci dispiace allo stesso modo per le inondazioni, i terremoti, i naufragi, il vasetto dello yogurt nell’umido, gli incidenti stradali, per aver parcheggiato sul marciapiede, per i femminicidi, per il traffico di esseri umani, per aver montato male le piastrelle, per i bassi salari, per aver fatto defecare il cane sulle scale di Trinità dei Monti, per i giovani precari, per i cervelli in fuga, per l’evasione fiscale, per aver messo quelle sue fotografie intime sul web. Mettere tutto sullo stesso piano, piccoli e grandi torti, è una strategia per mitigare il giudizio per i danni severi, per fare di tutta l’erba un fascio, per creare empatia e solidarietà, per cui chi ha rubato una bicicletta e chi ha truffato migliaia di anziani sono entrambi simpatiche canaglie.
Ipocrisie collettive e responsabilità negate
Ci dispiace se non abbiamo impedito a quelle persone di ammalarsi a causa delle sostanze tossiche presenti nel loro ambiente di lavoro. Ci dispiace che quei bambini di periferia abbiano abbandonato la scuola precocemente. Ci spiace che abbiano usato quelle bombe a forma di farfalla che abbiamo costruito. È un vero peccato che si siano schiantati a 300 km all’ora con quelle belle auto che abbiamo prodotto. Ci spiace tanto che quei ragazzini a cui abbiamo dato da bere alcolici abbiano fatto una rissa. Ci dispiace che abbiano abusato di quelle ragazzine lasciate per strada. Ma guarda un po’.
Indifferenza colpevole e indulgenza selettiva
Spike Lee (1989) diceva “Do the Right Thing!”. C’è chi – colpevolmente – non fa la cosa giusta con malcelata indifferenza e chi è tanto indulgente con le proprie debolezze quanto intransigente con quelle altrui. Ognuno si giustifica come meglio crede, si assolve e condanna gli altri. Un quadro patologico: tra mancanza di vergogna e comportamenti schizofrenici.
Quando è giusto ribellarsi alle ingiustizie
Poi qualcuno si arrabbia e decide di rispondere al pestone con un altro pestone. Decide di svuotare il cestino dell’indifferenziata davanti all’uscio di chi ha vanificato la raccolta accorta di tutto il quartiere. O decide di arrabbiarsi perché non gli pagano gli straordinari o di menare quella persona che guida ubriaca, o di salpare con una flottiglia …
Dunque, quando ci si può arrabbiare? Quando è giusto reagire alle ingiustizie? C’è una giusta misura della sopportazione oltre la quale è giusto ribellarsi, pretendere condizioni migliori, tutele e comportamenti corretti da una persona nella metro come da un datore di lavoro, da un rappresentante dello Stato come da un automobilista, da un hater come da un molestatore… Insomma, quando e come è giusto far valere le proprie ragioni?! Non si può sempre rispondere “don’t worry!” Accettare le scuse acriticamente procrastina le soluzioni e perpetua l’ingiustizia.
Il sistema sociale come corpo fragile: errori che si ripetono
Molte volte, a posteriori, quando la storia si è sedimentata e si può osservarla analiticamente con la giusta distanza e obiettività, si scorge la causa vera di alcuni orrori proprio nella debolezza del sistema immunitario del corpo sociale. I fascismi del ‘900, i regimi autoritari odierni o tiranni digitali (Mandrone, 2022b) nascono e proliferano per l’assenza di contrasto, per pigrizia, indifferenza, calcolo.
La famosa società civile è, sotto sotto, la causa indiretta di gran parte degli orrori prodotti da piccoli gruppi violenti – in politica come in economia – che non sono stati tempestivamente trattati con le norme corrette: dall’amnesia che ha colto l’antitrust davanti ai monopoli tecnologici globali alla sufficienza con cui comportamenti moralmente inaccettabili (evasori, razzisti, machisti, fascisti) sono stati via via sdoganati e tollerati (derubricandoli da reati a mere caricature) e così via.
Il problema del controllo sociale insufficiente
Ovvero, il problema non è tanto il soggetto patogeno che nasce e sviluppa tossine e produce un comportamento socialmente nocivo, quanto l’incapacità del sistema di controllarlo e ricondurlo nella norma morale e nel perimetro legale vigente.
Le questioni sono sempre lì, latenti nel tempo e nello spazio. Disponiamo di ottimi sistemi di misurazione, di monitoraggi continui, di informazioni sovrabbondanti e tecniche predittive solide, di norme e controlli… eppure, lasciamo che si riproducano ogni volta le medesime dinamiche, i soliti disastri, gli stessi errori e tante vittime. Non impariamo mai la lezione! È la sorry society, mi spiace.
Letteratura
G. Bronner, 2013, La démocratie des crédules, Hors collection, Presses Universitaires de France.
S. Lee, 1989, “Do the Right Thing!”, 40 Acres & a Mule Filmworks.
E. Mandrone, 2022a, “L’evasione non è mai innocente”, lavoce.info
E. Mandrone, 2022b, “Contro i tiranni digitali”, lavoce.info.
F. De André, 1990, “Don Raffaè”, in Le nuvole, Ed. Ricordi Fonit-Cedra.










