Negli ultimi due decenni, l’intelligenza artificiale (IA) ha compiuto un salto qualitativo che ha trasformato radicalmente il rapporto tra l’essere umano e la tecnologia.
Da semplice strumento di automazione, l’IA si è evoluta in un complesso ecosistema di algoritmi capaci di apprendere, adattarsi e prendere decisioni in sostanziale autonomia.
La sua invasività ha investito ogni ambito dell’esistenza: dalla sanità alla finanza, dall’educazione alla giustizia, fino a penetrare nella sfera più intima delle relazioni sociali e affettive. Questa profonda trasformazione solleva interrogativi cruciali investendo vari ambiti: sociale, etico e politico.
Il dibattito contemporaneo sull’IA si polarizza spesso tra apocalittici e integrati (Eco, 1964): da un lato, chi teme la detronizzazione dell’essere umano e la sua conseguente perdita di controllo sulla macchina; dall’altro, chi esalta le potenzialità emancipatorie e inclusive di queste tecnologie.
Tuttavia, un approccio scientifico richiede una riflessione equilibrata, capace di cogliere sia le opportunità sia i rischi connessi all’adozione massiva dell’IA. In tal senso, la sociologia può offrire una lente interpretativa preziosa per analizzare le trasformazioni sociali in atto, senza estremizzazioni, ossia senza cadere né nell’ottimismo fideistico e ingenuo né nel tecnopessimismo ideologico.
Indice degli argomenti
Quadro teorico e prospettive sull’IA
L’intelligenza artificiale, in quanto prodotto tecnologico e culturale, non può essere compresa pienamente senza un’adeguata cornice teorica. La sociologia della tecnologia, in particolare, offre strumenti utili per analizzare il modo in cui l’IA non sia soltanto un artefatto tecnico, ma un complesso fenomeno sociale, plasmato da valori, ideologie, interessi economici e dinamiche di potere (Feenberg, 1999). Una prima prospettiva utile, in questo senso, è quella della Social Construction of Technology (SCOT), secondo cui la tecnologia non è un’entità neutra né deterministica, ma il risultato di negoziazioni sociali tra attori diversi (Bijker, Hughes, Pinch, 1987). Questo approccio suggerisce che lo sviluppo dell’IA rispecchi le priorità delle élite tecnoscientifiche e delle grandi imprese digitali, spesso a discapito delle esigenze collettive. Ad esempio, i modelli linguistici avanzati sono addestrati su dati raccolti da piattaforme dominate da pochi soggetti privati, introducendo bias che riflettono e stabilizzano visioni del mondo dominanti (Noble, 2018).
Un secondo filone teorico è rappresentato dalla teoria dei sistemi autopoietici di Niklas Luhmann, secondo cui la società si articola in sistemi funzionali (diritto, economia, scienza, politica) che operano secondo codici propri e chiusi. L’intelligenza artificiale, in tale ottica, agisce come un catalizzatore dell’autonomia dei sistemi, ma può anche generare distorsioni se il codice tecnologico invade ambiti eterogenei, come la giustizia o la sanità, in cui l’umano ha un ruolo insostituibile (Luhmann, 1995).
Infine, l’approccio della sorveglianza algoritmica e della governamentalità digitale, sviluppato da autori come Shoshana Zuboff (2019), Frank Pasquale (2015) e Evgeny Morozov (2013), mette in luce i rischi di un nuovo paradigma di controllo sociale fondato sulla raccolta, l’analisi e la monetizzazione dei dati comportamentali. L’IA, in questa prospettiva, diviene un dispositivo biopolitico e geopolitico che orienta scelte, comportamenti e desideri, riducendo lo spazio dell’autodeterminazione.
Tali approcci teorici convergono nel riconoscere la necessità di una sociologia critica dell’intelligenza artificiale, capace di interrogare non solo su cosa l’IA può e potrà fare, ma per chi, come e con quali conseguenze sociali, in gioco non è solo l’efficienza dei processi, ma la qualità della convivenza umana nel mondo digitale.
I rischi dell’intelligenza artificiale: controllo, disuguaglianze, sorveglianza
Lo sviluppo e la diffusione dell’intelligenza artificiale pongono in luce numerosi rischi che coinvolgono non solo il singolo individuo, ma le società contemporanee. Questi pericoli non derivano soltanto da malfunzionamenti tecnici, ma da logiche sistemiche di potere e controllo che si innervano nel tessuto sociale, economico e politico.
Uno dei pericoli più evidenti, come spiegato, è la crescente sorveglianza esercitata attraverso sistemi algoritmici capaci di raccogliere, analizzare e prevedere il comportamento umano. Il cosiddetto surveillance capitalism descritto dalla Zuboff (2019) identifica un modello economico basato sull’estrazione sistematica di dati personali, trasformati in offerte mirate e prodotti veri e propri destinati alla vendita. L’utente, spesso inconsapevole, diviene oggetto di un monitoraggio continuo che inficia la sua autonomia decisionale. Tecnologie come il riconoscimento facciale, l’analisi biometrica, i sistemi predittivi nei contesti di polizia e giustizia (predictive policing), costituiscono strumenti che, pur promettendo efficienza e sicurezza, rischiano di introdurre dinamiche di controllo sociale autoritario (Pasquale, 2015). La Cina, con il suo sistema di social credit score[1], rappresenta un caso emblematico di come l’IA possa essere impiegata per classificare e penalizzare i comportamenti dei cittadini (Qiang, 2019).
L’intelligenza artificiale riflette e amplifica le disuguaglianze strutturali presenti nei dati su cui si alfabetizza. Diversi studi hanno dimostrato che gli algoritmi possono risultare razzisti, sessisti o classisti, poiché apprendono da dati storici viziati da discriminazioni. L’utilizzo dell’IA in processi decisionali come assunzioni, concessione di prestiti, diagnosi mediche o accesso ai servizi sociali può dunque perpetuare ingiustizie sistemiche e anacronistiche.
La sociologa Virginia Eubanks ha documentato come negli Stati Uniti i sistemi automatizzati abbiano discriminato sistematicamente le fasce più vulnerabili della popolazione, negando accesso a servizi essenziali (Eubanks, 2018). In questo modo, la neutralità tecnologica si rivela un mito pericoloso che maschera nuove forme di esclusione sociale.
La prepotente automazione innescata dall’IA minaccia numerosi settori occupazionali, in particolare quelli a bassa qualificazione. Secondo stime del World Economic Forum (2020), entro la fine del 2025 circa 85 milioni di posti di lavoro saranno automatizzati, a fronte della creazione di 97 milioni di nuovi ruoli, principalmente in ambiti digitali. Tuttavia, questo bilancio apparentemente positivo cela profonde trasformazioni: la maggior parte dei nuovi impieghi richiederà competenze altamente specializzate, modificando completamente la segmentazione della forza lavoro.
La precarizzazione del lavoro, l’aumento del gig work[2] e l’intensificazione del controllo algoritmico nelle piattaforme digitali (es. Amazon, Uber) contribuiscono a trasformare il lavoratore in un nodo controllato in tempo reale da sistemi intelligenti (Casilli, 2020). L’IA non sostituisce soltanto l’uomo, ma ne ridefinisce lo statuto ontologico nel sistema produttivo, spesso riducendolo a semplice appendice della macchina.
Un ulteriore rischio è l’opacità algoritmica, ovvero l’impossibilità, per utenti e spesso anche per gli sviluppatori stessi, di comprendere il funzionamento interno dei sistemi di IA, specialmente quelli basati su deep learning. Ciò genera una nuova forma di irresponsabilità diffusa: se una decisione presa da un algoritmo risulta discriminatoria, chi ne è il responsabile? Il programmatore? L’azienda? L’utente? Il sistema stesso? Questa indeterminatezza giuridica ed etica rappresenta una sfida critica per la democrazia, che si fonda sulla trasparenza e sulla possibilità di ricorso. Frank Pasquale (2015) parla, a tal proposito, di “società della scatola nera”, dove poteri decisionali cruciali sono sottratti al controllo pubblico.
Le opportunità dell’intelligenza artificiale: salute, educazione, inclusione, sostenibilità
Nonostante i rischi documentati, è necessario riconoscere che l’intelligenza artificiale rappresenta anche una risorsa trasformativa capace di generare profondi benefici sociali, a condizione che venga sviluppata ed impiegata secondo criteri etici, democratici e inclusivi fondati sulla responsabilità e il buon senso. In questa sezione, si esplorano alcune delle principali aree in cui l’IA sta offrendo opportunità significative per l’uomo e per la società.
Nel campo della salute, l’IA si sta affermando come uno strumento di enorme potenziale. Sistemi di machine learning sono impiegati per l’analisi di immagini mediche, la diagnosi precoce di patologie complesse e la gestione personalizzata dei trattamenti. Studi recenti hanno mostrato come alcuni algoritmi siano in grado di diagnosticare tumori con un’accuratezza superiore a quella di medici esperti (Topol, 2019).
Inoltre, l’IA può favorire la telemedicina e l’accesso alle cure in contesti isolati o svantaggiati, neutralizzando le barriere geografiche e sociali all’assistenza sanitaria. In questo senso, la tecnologia può contribuire a una maggiore equità nell’accesso ai servizi fondamentali, se integrata in politiche pubbliche mirate.
Nel settore educativo, l’IA permette lo sviluppo di ambienti di apprendimento adattivi, in grado di rispondere alle esigenze specifiche e soggettive di ciascun discente. Sistemi intelligenti possono monitorare i progressi, individuare le lacune e proporre percorsi personalizzati, migliorando l’efficacia dell’insegnamento (Luckin et al., 2016). In contesti di marginalità sociale, la diffusione di tecnologie intelligenti può contribuire a democratizzare l’accesso alla conoscenza, superando gli ostacoli legati al contesto familiare, economico, culturale o territoriale.
Le piattaforme digitali basate sull’IA possono fungere da ponti educativi tra centro e periferia, tra nord e sud globale. Essa può diventare potente alleato nella promozione dell’inclusione sociale, in particolare per le persone con disabilità. Assistenti vocali, interfacce cervello-computer, traduttori automatici in linguaggio dei segni o sottotitoli automatici consentono a milioni di persone di partecipare più pienamente alla vita sociale, lavorativa e culturale.
Tecnologie come gli exoskeletons[3] o i sistemi di guida automatica per non vedenti rappresentano esempi concreti di come l’intelligenza artificiale possa potenziare le capacità umane, riducendo barriere storiche alla partecipazione (Brynjolfsson, McAfee, 2014).
Anche sul fronte ambientale, l’IA si dimostra un alleato strategico: è impiegata per monitorare fenomeni climatici, ottimizzare le reti energetiche, prevedere disastri naturali e migliorare l’efficienza nei consumi. Sistemi di IA sono utilizzati per l’agricoltura di precisione, la gestione sostenibile delle risorse idriche e il controllo dell’inquinamento urbano (Rolnick et al., 2019).
In questo senso, la tecnologia non è solo una minaccia per l’ambiente, come nel caso del consumo energetico dei modelli di deep learning, ma può essere anche parte della soluzione, se orientata verso obiettivi di carattere ecologico e sociale.
Verso un’intelligenza artificiale umanamente sostenibile: etica, governance, diritti
Il rapporto tra l’uomo e l’intelligenza artificiale non può essere ridotto a una polarizzazione dicotomica tra catastrofismo e tecnofilia. Piuttosto, esso richiede una riflessione sociologica approfondita sui presupposti normativi, giuridici ed etici che devono orientare lo sviluppo di tali tecnologie. È infatti evidente che l’IA non è mai “neutrale”: riflette le intenzionalità e le strutture di potere della società che la produce (Winner, 1986). Uno degli ambiti centrali è lo sviluppo di un’etica dell’intelligenza artificiale. Ciò implica la definizione di criteri trasparenti e condivisi per la progettazione, l’impiego e la valutazione dei sistemi intelligenti. L’AI Ethics Guidelines della Commissione Europea (2019) propone dei requisiti chiave per un’IA affidabile, tra cui trasparenza, responsabilità, sicurezza e inclusione. L’emergere di dilemmi morali, come nel caso delle auto a guida autonoma che devono “scegliere” tra vite umane, richiede la costruzione di un’etica computazionale capace di rispecchiare i valori democratici e il rispetto dei diritti fondamentali (Floridi et al., 2018).
Sul piano politico, occorre una governance dell’intelligenza artificiale che non sia lasciata esclusivamente al mercato o agli Stati autoritari, ma che coinvolga sinergicamente società civile, istituzioni, università e comunità locali. Solo una regolazione partecipata può evitare la concentrazione di potere nelle mani di poche oligarchie transnazionali.
In questa direzione si muovono diverse proposte come l’istituzione di Audit algoritmici, di commissioni etiche indipendenti, o l’introduzione di diritti digitali fondamentali, che garantiscano all’individuo il controllo sui propri dati, l’esplicabilità delle decisioni algoritmiche e la possibilità di opposizione (Crawford, 2021).
L’intelligenza artificiale, quindi, non rappresenta soltanto una sfida tecnologica o normativa, ma una sfida antropologica. Essa costringe l’uomo a interrogarsi su ciò che lo definisce come essere pensante, morale, relazionale. Le macchine intelligenti, nella loro crescente autonomia, ci pongono domande radicali sulla coscienza, la responsabilità, l’empatia, l’intenzionalità; tutti aspetti che, almeno per ora, restano prerogative dell’umano.
Il rischio maggiore non è che le macchine diventino umane, ma che gli uomini si adattino alle macchine, accettando criteri di efficienza, calcolo e predizione come unici parametri del vivere sociale (Han, 2022). Preservare l’umano nell’epoca dell’intelligenza artificiale significa allora recuperare una visione ontologica e integrale dell’individuo, capace di includere emozioni, fragilità, spiritualità e relazioni.
Conclusioni
L’analisi sociologica sull’intelligenza artificiale evidenzia come questo insieme di tecnologie non rappresenti semplicemente un’evoluzione tecnica, ma una vera e propria trasformazione del modo in cui l’uomo concepisce il mondo, sé stesso, il lavoro, le relazioni sociali e la conoscenza. L’IA, infatti, si inserisce all’interno di una cornice più ampia di mutamento sistemico che coinvolge economia, cultura, etica e potere (Floridi, 2021).
Sul piano delle opportunità, l’IA consente una notevole estensione delle capacità umane: dall’assistenza sanitaria personalizzata (Topol, 2019), alla lotta ai cambiamenti climatici (Rolnick et al., 2019), fino al miglioramento dei processi produttivi e decisionali (Brynjolfsson, McAfee, 2014). Inoltre può rendere l’informazione più accessibile, il lavoro meno faticoso e l’organizzazione sociale più efficiente.
Tuttavia, tali benefici devono essere valutati alla luce dei rischi sistemici. L’automazione può aggravare le disuguaglianze socio-economiche (Eubanks, 2018), rafforzare bias e discriminazioni storiche (Noble, 2018), e produrre nuove forme di sorveglianza digitale e alienazione (Zuboff, 2019). Il rischio maggiore non è tanto quello di una “ribellione delle macchine”, ma piuttosto l’opacità intrinseca dei sistemi decisionali e il trasferimento di potere dagli individui agli algoritmi (Pasquale, 2015).
La sfida, quindi, non è solo tecnologica, ma profondamente antropologica e politica. L’uomo deve evitare di delegare all’IA le funzioni più propriamente umane, come il giudizio etico, la responsabilità morale, la relazione empatica, e deve costruire un modello di “intelligenza aumentata” dove il controllo rimanga saldamente antropico (Floridi et al., 2018).
In questo senso, è necessario adottare una governance democratica dell’IA, basata su valori come la trasparenza, la giustizia sociale, l’inclusione e la sostenibilità. Tale governance deve essere multifattoriale: dai framework giuridici europei (es. AI Act) alle scelte etiche degli sviluppatori, fino alla consapevolezza critica dei cittadini. È qui che il contributo delle scienze sociali diventa fondamentale: non per frenare l’innovazione, ma per orientarla e finalizzarla al bene comune.
L’intelligenza artificiale ci obbliga, in definitiva, a ripensare l’umano: non come semplice misura della tecnica, ma come fine stesso del suo sviluppo. Essa, se guidata da una visione etica e relazionale, può diventare uno strumento di emancipazione e non di subordinazione, un’occasione per recuperare il senso profondo dell’uomo in quanto tale della comunità che abita.
Bibliografia
- Bijker, W. E., Hughes, T. P., Pinch, T. (a cura di) (1987). The social construction of technological systems: new directions in the sociology and history of technology. Cambridge (MA): MIT Press.
- Brynjolfsson, E., McAfee, A. (2016). The second machine age: work, progress, and prosperity in a time of brilliant technologies. New York: W. W. Norton & Company.
- Casilli, A. (2020). Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo? Milano: Feltrinelli.
- Crawford, K. (2022). Atlas of AI: power, politics, and the planetary costs of artificial intelligence. New Haven: Yale University Press.
- Eubanks, V. (2018). Automating inequality: how high-tech tools profile, police, and punish the poor. New York: St. Martin’s Press.
- European Commission (2019). Ethics guidelines for trustworthy AI. Brussels: European Commission.
- Feenberg, A. (1999). Questioning technology. London: Routledge.
- Floridi, L., et al. (2018). AI4People—An ethical framework for a good AI society: opportunities, risks, principles, and recommendations. Minds and machines, 28(4), 689–707.
- Han, B. C. (2024). L’espulsione dell’altro: società, percezione, comunicazione. Milano: Nottetempo.
- Luckin, R., Holmes, W., Griffiths, M., Forcier, L. B. (2016). Intelligence unleashed: an argument for AI in education. London: Pearson.
- Luhmann, N. (1996). Social systems. Stanford: Stanford University Press.
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- Noble, S. U. (2018). Algorithms of oppression: how search engines reinforce racism. New York: NYU Press.
- Pasquale, F. (2015). The black box society: the secret algorithms that control money and information. Cambridge (MA): Harvard University Press.
- Qiang, X. (2019). The road to digital unfreedom: president Xi’s surveillance state. Journal of Democracy, 30(1), 53–67.
- Rolnick, D. et al. (2019). Tackling climate change with machine learning. arXiv preprint, arXiv:1906.05433.
- Topol, E. (2019). Deep medicine: how artificial intelligence can make healthcare human again. New York: Basic Books.
- Winner, L. (1988). The whale and the reactor: a search for limits in an age of high technology. Chicago: University of Chicago Press.
- Zuboff, S. (2019). The age of surveillance capitalism: the fight for a human future at the new frontier of power. New York: PublicAffairs.
[1] Il sistema di credito sociale (SCS) è un sistema di valutazione nazionale concepito dal governo cinese che consente di tracciare e valutare l’affidabilità di aziende, individui e istituzioni governative.
[2] Il lavoro “gig” (o “gig work”) si riferisce a un modello economico dove i lavori freelance o a tempo determinato predominano rispetto ai tradizionali impieghi a tempo pieno
[3] Gli esoscheletri sono strutture indossabili che supportano e assistono il movimento umano, o aumentano le capacità del corpo umano