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Procedimento amministrativo digitale, tra legalità, IA e garanzie



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La digitalizzazione del procedimento amministrativo trasforma in profondità l’azione pubblica, ridefinendo il rapporto tra amministrazione e cittadini e imponendo un nuovo equilibrio tra efficienza, trasparenza, partecipazione e tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi nel quadro costituzionale

Pubblicato il 9 dic 2025

Armando Pellegrino

Dipendente pubblico Elevata professionalità (EP)



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La progressiva digitalizzazione del procedimento amministrativo, lungi dal potersi considerare un mero intervento di carattere tecnico-organizzativo o una semplice innovazione strumentale volta a velocizzare adempimenti già esistenti, si configura come una trasformazione strutturale e sistemica dell’azione amministrativa, capace di incidere tanto sulla configurazione dogmatica del procedimento quanto sull’assetto delle garanzie partecipative.
Essa determina un necessario ripensamento dell’equilibrio tra esigenze di efficienza e tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, investendo non solo le modalità di formazione e di manifestazione della volontà amministrativa, ma anche la stessa concezione del rapporto tra amministrazione e cittadino.

Tale rapporto, da relazione prevalentemente fisica e documentale, si evolve in una interazione mediata da piattaforme digitali, interfacce telematiche e strumenti di autenticazione elettronica.
L’ordinamento italiano, sin dall’adozione del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, di seguito anche “CAD”), ha inteso conferire al documento informatico e agli strumenti telematici la medesima dignità giuridica dei corrispondenti supporti cartacei, delineando un modello di azione amministrativa coerente con i principi di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza sanciti dall’art. 97 della Costituzione.

Digitalizzazione del procedimento amministrativo ed equilibrio tra efficienza e diritti

Il CAD recepisce l’esigenza di legittimare forme procedimentali integralmente digitali, nelle quali la sequenza di atti e attività, dall’istanza iniziale fino al provvedimento conclusivo, possa svolgersi interamente in modalità elettronica, con valore legale pieno.
In questa prospettiva, la legge n. 241 del 1990, c.d. legge sul procedimento amministrativo, come successivamente modificata, ha progressivamente integrato le tecnologie dell’informazione e della comunicazione quale modalità ordinaria di svolgimento dell’attività amministrativa.

Si pensi, ad esempio, a una delle disposizioni più significative del testo, l’articolo 3-bis, il quale prevede che «le amministrazioni pubbliche, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione», riconoscendo così la normalità dell’uso degli strumenti digitali.
Tale integrazione ha permesso di riconoscere la possibilità per il cittadino di presentare istanze e dichiarazioni per via telematica, di ricevere comunicazioni e notificazioni elettroniche e per l’amministrazione di formare originariamente i documenti in formato digitale, protocollarli e conservarli secondo modalità idonee a garantirne integrità, autenticità, immodificabilità e reperibilità nel tempo, anche attraverso sistemi di conservazione sostitutiva certificati.

La transizione verso un procedimento interamente digitalizzato, tuttavia, non esaurisce la propria rilevanza nella dimensione meramente operativa o nell’ottimizzazione dei tempi procedimentali, ma investe profili di rango costituzionale che impongono una rilettura dell’assetto tradizionale dei rapporti tra semplificazione e garanzie.
La smaterializzazione documentale e l’automazione di fasi istruttorie e decisorie non possono mai tradursi in una compressione o in un depotenziamento dei diritti di partecipazione, di difesa, di tutela e di accesso, i quali trovano il loro fondamento negli artt. 24 e 113 della Costituzione e devono essere assicurati anche in un ambiente interamente digitale.

Da ciò discende la necessità di prevedere, parallelamente all’innovazione tecnologica, adeguati strumenti di accompagnamento giuridico e organizzativo, in grado di assicurare che il ricorso alle tecnologie non determini effetti distorsivi sulla parità di trattamento, sull’effettività del contraddittorio procedimentale e sulla possibilità di controllo, da parte del cittadino e del giudice amministrativo, della legittimità dell’azione pubblica.

Garanzie partecipative e tutela dei dati nel procedimento amministrativo digitale

L’attuazione della digitalizzazione richiede, inoltre, un coordinamento stringente con le disposizioni in materia di protezione dei dati personali, in particolare con il Regolamento (UE) 2016/679 e con il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018.
La gestione elettronica del fascicolo procedimentale, la conservazione a lungo termine dei documenti e l’accessibilità telematica agli atti devono svolgersi nel rispetto dei principi di liceità, correttezza, trasparenza, minimizzazione dei dati e limitazione della finalità.

Il fascicolo informatico, previsto dal CAD come contenitore giuridico e tecnologico dell’intero iter procedimentale, rappresenta il punto di intersezione tra esigenze di efficienza e obblighi di tutela, in quanto la sua corretta implementazione consente la tracciabilità e la verificabilità di ogni attività.
Allo stesso tempo, esso espone a rischi legati alla sicurezza informatica e alla potenziale diffusione non autorizzata di informazioni sensibili, imponendo misure tecniche e organizzative adeguate per prevenire accessi abusivi, perdita di dati o trattamenti non conformi.

Organizzazione amministrativa, interoperabilità e criticità della transizione digitale

L’assetto normativo vigente, rafforzato dalle previsioni del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che ha imposto la gestione integralmente digitale delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti, e dalle misure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, impone alle amministrazioni non soltanto l’adozione di strumenti informatici.
È necessaria una vera e propria riorganizzazione dei processi interni, basata su interoperabilità dei sistemi, standardizzazione delle procedure, unificazione delle banche dati e formazione continua del personale, affinché l’innovazione tecnologica non si riduca a una mera trasposizione elettronica di prassi cartacee.

La digitalizzazione del procedimento amministrativo si colloca così all’incrocio tra diritto sostanziale e diritto processuale amministrativo, poiché incide sia sul modo in cui si forma la volontà amministrativa sia sulle modalità attraverso cui il giudice, il difensore e il cittadino possono accedere agli atti, verificare la regolarità dell’azione e contestarne eventuali vizi.
Ciò comporta anche un’evoluzione degli strumenti di tutela giurisdizionale, che devono adeguarsi a un contesto nel quale l’elemento probatorio è spesso rappresentato da dati e documenti nativi digitali, firmati elettronicamente o conservati in archivi remoti.

In questo scenario, la prova dell’avvenuta comunicazione o della ricezione di un atto passa attraverso log di sistema e marcature temporali, elementi che richiedono competenze tecniche specifiche per essere interpretati e valorizzati processualmente.
Nonostante i rilevanti progressi compiuti, l’effettività di tale processo innovativo risente ancora di criticità strutturali, tra cui la marcata disomogeneità tecnologica tra amministrazioni, il persistere di un divario digitale che ostacola l’uguaglianza sostanziale nell’accesso ai servizi e la mancanza di un’infrastruttura uniforme di interoperabilità a livello nazionale.

La necessità di garantire procedure alternative e soluzioni di emergenza in caso di malfunzionamenti o attacchi informatici rappresenta un ulteriore profilo delicato.
Particolare attenzione deve essere rivolta al rischio di una eccessiva automatizzazione delle fasi procedimentali, la quale, se non accompagnata da un’adeguata istruttoria condotta da personale qualificato, può condurre a decisioni standardizzate, opache o insufficientemente motivate, con conseguente vulnerabilità sotto il profilo della legittimità e della conformità ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento.

In definitiva, la digitalizzazione del procedimento amministrativo, pur costituendo un obiettivo imprescindibile di modernizzazione e di adeguamento dell’azione pubblica agli standard europei di e-government, deve essere governata da un quadro giuridico coerente e da un’attuazione amministrativa consapevole e progressiva.
L’innovazione tecnologica non deve essere fine a sé stessa, ma strumento di realizzazione del principio di buon andamento, di garanzia dell’imparzialità, di rafforzamento della legalità sostanziale e di ampliamento effettivo delle possibilità di accesso e partecipazione del cittadino.

Tramite un approccio integrato, capace di coniugare tecnologia, diritto e organizzazione, si potrà assicurare che la transizione digitale rappresenti non una mera modernizzazione formale, ma un autentico salto di qualità nella capacità della pubblica amministrazione di agire in modo efficiente, trasparente e orientato alla tutela piena dei diritti fondamentali.

Intelligenza artificiale e procedimento amministrativo: oltre la mera digitalizzazione

L’introduzione dell’intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo segna un’evoluzione qualitativamente distinta e di portata ben più ampia rispetto alla mera digitalizzazione, in quanto non si limita a trasporre in ambiente informatico attività e procedimenti già strutturati in modalità tradizionale.
Essa introduce strumenti capaci di incidere direttamente e in profondità sulle modalità di formazione, elaborazione ed esternazione della volontà amministrativa, sollevando questioni giuridiche, istituzionali e costituzionali che toccano i principi fondanti del diritto amministrativo e, più in generale, dello Stato di diritto.

Potenzialità e limiti dei sistemi di intelligenza artificiale

Il ricorso a sistemi di intelligenza artificiale – nella duplice accezione di algoritmi deterministici, in grado di restituire output basati su regole predefinite, e di modelli di apprendimento automatico (machine learning), capaci di modificare progressivamente i propri criteri decisionali sulla base dei dati di input – apre scenari inediti.
Tali strumenti incidono sulla gestione dell’istruttoria procedimentale, sulla valutazione dei fatti rilevanti e sulla predisposizione di soluzioni decisorie, consentendo trattamenti massivi di informazioni, analisi predittive e automazione di fasi prima rigidamente presidiate dall’intervento umano.

Queste potenzialità, idonee a incrementare la celerità, l’efficienza e l’uniformità delle decisioni amministrative, devono però confrontarsi con una serie di vincoli derivanti dal principio di legalità sostanziale, dal diritto alla trasparenza e dall’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi previsto dall’art. 3 della legge n. 241/1990.
È necessario, inoltre, garantire, anche in un contesto altamente tecnologico, il pieno esercizio del diritto di difesa e della partecipazione procedimentale, in ossequio agli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione.

Trasparenza, motivazione e opacità algoritmica

Il ricorso a processi decisionali automatizzati solleva, in particolare, la questione dell’opacità algoritmica, ossia la difficoltà – se non, in taluni casi, l’impossibilità – per il cittadino e persino per la stessa amministrazione di ricostruire ex post la logica sottesa a una determinata decisione generata dal sistema.
Ciò è particolarmente vero quando si tratti di modelli non lineari, autoapprendenti e ad elevata complessità nella gestione dei dati.

Questa opacità non costituisce un mero problema tecnico, ma incide direttamente sul principio di trasparenza amministrativa, sul diritto alla conoscenza delle ragioni poste a fondamento dell’atto e sulla possibilità per il giudice amministrativo di esercitare un controllo pieno e sostanziale di legittimità.
In assenza di strumenti adeguati di audit algoritmico, di documentazione delle fasi di elaborazione e di tracciamento delle decisioni, il rischio è quello di un arretramento delle garanzie democratiche e della stessa giustiziabilità dell’azione amministrativa.

Il quadro normativo europeo tra GDPR e AI Act

Il quadro normativo, sia nazionale che sovranazionale, ha iniziato a confrontarsi con queste problematiche.
Il Regolamento (UE) 2016/679 in materia di protezione dei dati personali disciplina le decisioni basate unicamente su trattamenti automatizzati, garantendo all’interessato il diritto a ottenere l’intervento umano, a esprimere la propria opinione e a contestare la decisione.

Il legislatore europeo, con il Regolamento sull’intelligenza artificiale (AI Act), ha previsto specifici obblighi di trasparenza, documentazione e supervisione per i sistemi di IA qualificati come ad alto rischio, categoria che, nella maggior parte dei casi, comprende gli strumenti utilizzati in procedimenti amministrativi suscettibili di incidere in maniera significativa su diritti e interessi legittimi.
In tale prospettiva, l’utilizzo dell’IA nei procedimenti amministrativi deve essere accompagnato da garanzie procedimentali rafforzate, che comprendano la tracciabilità di ogni operazione, la conservazione e verificabilità dei dati di input e di output, la possibilità di audit indipendenti e la chiara attribuzione della responsabilità all’organo umano titolare del potere decisionale.

Il principio di non esclusività della decisione algoritmica

In materia di intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo, assume rilievo il principio di non esclusività della decisione algoritmica, secondo cui le decisioni che incidono in modo significativo su diritti o interessi legittimi non possono essere adottate unicamente da sistemi automatizzati.
È necessario prevedere sempre un intervento umano effettivo, capace di valutare criticamente l’output dell’algoritmo e assumere la responsabilità finale dell’atto.

È infatti evidente che, pur potendo costituire un formidabile strumento di supporto alle decisioni, l’intelligenza artificiale non può sostituire integralmente il momento valutativo umano, soprattutto nei procedimenti complessi o connotati da ampia discrezionalità amministrativa, pena la violazione del principio di imparzialità e il rischio di deresponsabilizzazione dell’amministrazione.
Ne deriva la necessità di sviluppare un modello di integrazione responsabile dell’IA nel procedimento amministrativo, fondato su un quadro giuridico chiaro e coerente, su protocolli di trasparenza algoritmica, su obblighi di motivazione comprensibile anche per output generati da sistemi complessi e su meccanismi di accountability.

Tali meccanismi devono assicurare, anche nell’ambiente tecnologico più avanzato, la centralità del diritto, la tutela delle posizioni giuridiche soggettive e l’effettività del controllo democratico e giurisdizionale.
In questo quadro complesso, un’impostazione di questo tipo può evitare che l’innovazione tecnologica si traduca in un arretramento delle garanzie sostanziali, facendo invece dell’intelligenza artificiale un mezzo di rafforzamento della legalità e di miglioramento qualitativo dell’azione amministrativa, in linea con i principi dello Stato di diritto e con le esigenze di un’amministrazione moderna ed efficiente.

Verso un procedimento amministrativo digitale e responsabile

La digitalizzazione e l’intelligenza artificiale nel procedimento amministrativo rappresentano, in ultima analisi, un banco di prova della capacità dell’ordinamento di governare il cambiamento senza snaturare sé stesso.
L’innovazione tecnologica può costituire il volano di una pubblica amministrazione più efficiente, trasparente e vicina ai cittadini, ma solo a condizione che resti ancorata ai principi di legalità, imparzialità e buon andamento e che il processo decisionale mantenga un nucleo di valutazione umana capace di assumersi la responsabilità dell’atto.

L’algoritmo, pur nella sua potenza analitica, non può sostituire il giudizio, così come la velocità dell’elaborazione non può prevalere sulla garanzia del contraddittorio e sulla possibilità di controllo.
Se il diritto saprà incanalare la tecnica entro regole chiare, garantendo tracciabilità, comprensibilità e responsabilità, allora la transizione digitale e l’adozione dell’IA non saranno un rischio per la democrazia amministrativa, ma il segno di una sua maturazione.

Non vi sarà un arretramento delle garanzie, ma il loro rafforzamento attraverso strumenti nuovi, in un’amministrazione che saprà essere al contempo moderna e giuridicamente fedele alla propria missione.
Ciò richiede, oggi più di ieri, che il diritto amministrativo continui a dialogare con le altre discipline – come è nella sua tradizione – ma con una rinnovata intensità e consapevolezza, aprendo un confronto costante con l’informatica giuridica, l’etica delle tecnologie e le scienze dell’organizzazione.

La sfida odierna non è solo disciplinare, ma culturale: si tratta di costruire un lessico comune tra diritto e intelligenza artificiale, capace di tradurre l’innovazione tecnologica nei canoni del buon andamento, della trasparenza e della tutela effettiva dei diritti, così da fare della tecnologia non un fine, ma un mezzo per una pubblica amministrazione più giusta ed efficiente.

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