La Corte d’Appello di Messina, con Sentenza del 4 dicembre 2024, ha condannato a sei mesi e venti giorni di reclusione per il reato di cui all’art. 615 ter c.p. – Accesso abusivo a sistema informatico un uomo che, dopo avere sottratto il dispositivo della moglie, vi accedeva (eludendo la protezione impostata) per scaricare alcune conversazioni Whatsapp che la signora aveva intrattenuto con un altro uomo.
Il marito ha pensato poi di consegnare al proprio avvocato gli screenshot delle chat al fine di predisporre adeguata linea difensiva nel corso di un burrascoso giudizio di separazione personale. Una volta depositati i suddetti documenti nel corso del giudizio civile, la moglie proponeva querela ed il marito, incriminato, è stato condannato. La Sentenza in esame impone una seria riflessione in ordine a due aspetti importanti: il diritto alla riservatezza fra coniugi ed i limiti del diritto alla difesa.
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Chat spiate su Whatsapp, il caso
La difesa dell’imputato, con articolato ricorso per Cassazione, lamentava la intempestività della querela, sostenendo che la moglie, già nel 2020, era a conoscenza che il marito avesse fotografato con il proprio cellulare solo alcune conversazioni, per poi inviarle via e-mail ai propri genitori, mentre la Corte territoriale aveva collocato la condotta nel 2023.
Oltretutto, la difesa del marito evidenziava che lo stesso aveva appreso solo le conversazioni fra la moglie ed un collega di lavoro e non anche il log delle conversazioni, non potendosi, per tale motivo configurare il reato de quo.
L’ulteriore motivo di doglianza evidenziava che la Corte d’Appello aveva ritenuto solo in via presuntiva che i telefoni su cui era stato attuato il presunto accesso fossero protetti da password, non essendoci in atti alcuna prova tecnica relativa a tale circostanza, il che escluderebbe la condotta tipica, non trattandosi di sistema protetto da sistemi di sicurezza.
La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con Sentenza sez. V Penale n.19421 del 02/04/2025 (dep. 23/05/2025) ha ritenuto non pertinenti i motivi addotti dalla difesa del marito.
In ordine alla intempestività della querela, ha dichiarato inammissibile il relativo motivo in quanto ha ritenuto credibile la versione dalla moglie secondo cui, solo a seguito del deposito delle memorie con i richiamati allegati in sede civile, la stessa si avvedeva che il marito aveva estrapolato le conversazioni con il collega, proponendo tempestiva integrazione di una querela per molestie del 2022; in ogni caso, l’imputato non aveva provato, mediante allegazione, di avere inviato nel 2020 ai propri genitori gli screenshot oggetto di indagine.
Riteneva inammissibile anche il motivo relativo alla presunta mancata prova della presenza di password sui cellulari, in quanto la S.C., richiamando la propria funzione, così precisava: “In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre”.
La privacy fra coniugi
Ma l’aspetto più interessante riguarda il delineamento nei confini relativi alla privacy fra coniugi. Difatti, gli ermellini, dopo aver descritto l’iter legislativo del 1993 che ha introdotto il reato di accesso abusivo a sistema informatico, ha censurato pesantemente la condotta del marito in quanto «sostanziatasi in una arbitraria invasione della sfera di riservatezza della moglie attraverso l’intrusione in un sistema applicativo ben suscettibile di essere ricondotto nell’alveo della tutela apprestata dall’art. 615 ter cod. pen. in quanto sistema informatico.».
Il bene giuridico tutelato consiste “nella difesa del domicilio informatico sotto il profilo dello ius excludendi alios, anche in relazione alle modalità che regolano l’accesso dei soggetti eventualmente abilitati” tenendo conto che il reato si configura sia in caso di accesso, che di permanenza oltre i limiti imposti dall’avente diritto, ovvero nel momento in cui si pongono in essere atti ontologicamente diversi rispetto all’autorizzazione concessa.
La tutela privacy delle caselle email
La Corte, valorizzando la granitica giurisprudenza in tema di tutela della casella email, ha così detto: “Deve ritenersi che anche (Whatsapp) possa essere considerato un sistema informatico, essendo un’applicazione software progettata per gestire la comunicazione tra utenti attraverso messaggi, chiamate e videochiamate, utilizzando reti di computer per trasmettere i dati, combinando hardware, software e reti per offrire il suo servizio”. probabilmente precisando qualcosa che per gli informatici appare scontata, ma che era necessaria per tutelare anche tali tipologie di sistemi di comunicazione.
La Corte ha, infine, ritenuto che la censura in ordine alla mancata prova della presenza di password sui dispositivi fosse meramente assertiva e tendente ad accreditare una ricostruzione alternativa priva di supporto.
L’analisi della sentenza
In ordine al rispetto della privacy tra coniugi, gli ermellini ribadiscono un sacrosanto principio, ovvero che non esiste alcuna zona franca rispetto al diritto alla riservatezza, che va tutelato in ogni sua espressione come atto finalizzato al raggiungimento della piena dignità della persona a mente dell’art. 2 Costituzione.
Infine, i giudici hanno, intrinsecamente, fissato importanti paletti rispetto al diritto di difendersi in giudizio, che non può mai ledere e mortificare la dignità umana e i diritti fondamentali già citati.
_ Bibliografia
Corte di Cassazione, sez. V Penale, Sentenza n.19421 del 02/04/2025 (dep. 23/05/2025)