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Digitale, Spagna batte Italia: il modello da seguire (e come applicarlo)



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La Spagna guida la crescita europea grazie a politiche digitali efficaci. Il modello del Kit Digital mostra come sostenere PMI e professionisti, un esempio da cui l’Italia può trarre ispirazione per colmare il divario tecnologico

Pubblicato il 3 nov 2025

Giulia Pastorella

Deputata della Repubblica italiana, vicepresidente di Azione e Consigliera comunale a Milano



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In un’Unione Europea che stenta a crescere, i dati della Spagna, il cui PIL è cresciuto del +3,2% nel 2024, sono quasi un unicum, e spiccano tra le performance di chi registra percentuali vicine allo zero, come l’Italia, e chi addirittura decresce, come la Germania. Un fattore che a mio parere ha influenzato il successo iberico è stato la capacità della Spagna di cogliere a pieno le opportunità di digitalizzazione offerto dai fondi PNRR, costruendo politiche mirate ed efficaci.

Politiche e strategie che hanno favorito la crescita

C’è un grafico che parla da solo: nell’indice DESI, la Spagna è passata dal 14° posto nel 2017 al 7° nel 2022; l’Italia dal 25° al 18°. In entrambi i casi c’è stato progresso, ma la traiettoria spagnola è ben più netta.

Inoltre, se scomponiamo il DESI e guardiamo la quota di PMI (10–249 addetti) con almeno un livello base di intensità digitale (DII v4), fino a pochi anni fa la Spagna era dietro l’Italia, mentre oggi supera il belpaese di 4 punti percentuali, facendo meglio anche della media UE (DESI 2025, dati 2024).

Ma quali sono le politiche che hanno permesso di raggiungere questi risultati? Come vedremo, non si tratta solo di policy “digital” in senso stretto, ma di un insieme di misure fiscali, di semplificazione e di abilitazione che in Spagna hanno reso conveniente e facile innovare.

Il kit digital e il successo delle PMI spagnole

Ritengo utile partire dal dato più impressionante della scalata spagnola, ovvero la crescente digitalizzazione delle piccole e medie imprese. Si tratta di un aspetto interessante per l’Italia perché, lo sappiamo, nel nostro Paese le PMI sono oltre 200 mila e valgono quasi metà dell’export nazionale.

Cos’ha fatto dunque la Spagna? Nell’autunno 2021 il premier Pedro Sánchez ha lanciato il Kit Digital, un meccanismo lineare destinato alle PMI, finanziato con fondi PNRR e gestito da Red.es (l’ente governativo, dipendente dal Ministerio para la Transformación Digital y de la Función Pública incaricato di sviluppare la digitalizzazione del Paese). Si tratta di un sistema di auto-valutazione rapido, che prevede l’erogazione di voucher dimensionati in base al numero di occupati (12.000 euro per le imprese con 10–49 addetti; 6.000 per quelle con 3–9 addetti; 2.000 per le restanti) e aperto anche professionisti, con cui acquistare prodotti destinati alla digitalizzazione da un catalogo di soluzioni prequalificate fornite da una rete di agenti digitalizzatori abilitati. Il voucher può essere utilizzato come uno sconto da applicare direttamente in fattura e non serve presentare alcun progetto costruito ad hoc; a valutare la conformità interviene Red.es, attraverso verifiche automatiche dei contratti, il monitoraggio delle performance delle soluzioni ex post e controlli a campione.

Procedure semplici, soluzioni chiare e basate sui bisogni reali delle PMI e tempi rapidi di adozione hanno determinato un successo immediato della misura, che tra il 2021 e il 2024 è stata utilizzata da 676 mila tra imprese e professionisti, con una spesa totale di poco superiore ai 3 miliardi di euro (circa 4.400 €/cad).

Il ritardo italiano e le sue cause

Anche se in Italia di voucher per le PMI si discute da anni, non siamo mai arrivati a un programma operativo paragonabile, basti pensare che le risorse avanzate dal cosiddetto Voucher connettività faticano ancora ad essere reindirizzati in una misura altrettanto semplice. E non è solo una questione amministrativa, ma un vero e proprio tema di politica industriale.

I Governi italiani, infatti, nel tempo hanno messo a disposizione strumenti destinati prevalentemente al finanziamento di investimenti “hardware” di imprese strutturate, come il piano Industria 4.0 e i suoi eredi. Schemi poco adatti ai professionisti e alle microimprese, dove le esigenze sono spesso più semplici e “immateriali”.

Per migliorare la produttività e le performance dei piccoli, infatti, spesso basta l’adozione di software gestionali e CRM, di e-commerce e software di fatturazione elettronica evoluta, oppure di sistemi di cybersicurezza di base. Niente che abbia a che vedere con beni materiali e complesse implementazioni custom.

Ecco perché anche da noi servirebbe una “piattaforma” che semplifichi la domanda, pre-qualifichi l’offerta e acceleri l’uso di soluzioni pronte, come proposto nel Kit Digital spagnolo.

Nazionalismo tecnologico e limiti dell’approccio italiano

Facendo un passo indietro e tornando a guardare la situazione da una prospettiva più ampia, è utile sottolineare come il dibattito italiano sull’innovazione tenda spesso a impantanarsi su aspetti secondari, come l’autarchia delle soluzioni tecnologiche.

Lo abbiamo visto durante la stesura della legge IA, con l’inserimento di obblighi o indicazioni preferenziali per localizzare dei dati della pubblica amministrazione sul territorio nazionale, o i tentativi di restringere gli acquisti in base alla nazionalità del fornitore, durante la revisione del Codice degli Appalti.

Al netto delle buone intenzioni di tutela della sicurezza nazionale, questo non è – a mio avviso – il percorso da fare se si vuole veramente accelerare l’innovazione, in quanto rischia di alzare barriere senza aumentare la sicurezza, rinunciando a soluzioni mature solo perché non “made in Italy”.

La strada scelta dalla Spagna, invece, va in direzione opposta. Attraverso un approccio più tecnico e verificabile, che fa leva su standard e certificazioni, spinge il sistema verso soluzioni rodate e velocemente implementabili. Per esempio, per semplificare l’adozione da parte della Pubblica Amministrazione delle misure di sicurezza previste dalla direttiva NIS2, il CCN spagnolo (Centro Criptológico Nacional) ha creato il CPSTIC, un catalogo ufficiale di prodotti e servizi TIC “qualificati” per usi pubblici e contesti critici.

L’inclusione delle soluzioni nel catalogo non è una vetrina commerciale, ma l’esito di un percorso di valutazione da parte del CCN attraverso laboratori indipendenti accreditati (ITSEF) che include verifiche di conformità all’ENS (lo schema nazionale di sicurezza), presenza di documentazione operativa e legale adeguata, e percorsi specifici per software on‑prem e cloud (metodologie LINCE e guide CCN‑STIC, inclusa la tassonomia 140).

In pratica: se una soluzione rispetta i requisiti di sicurezza e supera i test, entra nel catalogo come prodotto sicuro e certificato, che può essere acquistato dalla Pubblica Amministrazione spagnola, indipendentemente dalla nazionalità di provenienza; in caso contrario è semplicemente fuori dai giochi.

Il catalogo CPSTIC e la lezione per l’Italia

In Italia l’ACN sta lavorando a un impianto nazionale simile – ed è una buona notizia – ma mi chiedo se non sarebbe semplicemente più facile fare un copia-incolla. Il modello CPSTIC è già operativo e potrebbe essere “tradotto” rapidamente nel nostro contesto NIS2, dando una bussola certa e immediata a Pubblica Amministrazione e imprese che operano in filiere essenziali. Il punto è replicarne la logica: criteri chiari di certificazione per le soluzioni che richiedono l’accreditamento e un catalogo pubblico facilmente consultabile e aggiornato.

Tre azioni per un piano digitale italiano

First things first: la prima cosa da fare – a mio avviso – sarebbe la creazione di un Digital kit per l’Italia sul modello spagnolo, per coprire il buco che oggi lasciano scoperto gli incentivi agli investimenti “capex‑heavy”. Un voucher a scaglioni per micro e piccole imprese e professionisti, focalizzato su software e servizi (gestionali, vendite online, pagamenti, CRM, difesa di base, fatturazione, firma, backup, AI “pronta all’uso” per produttività).

La governance della misura dovrebbe essere sul modello spagnolo, quindi leggera e subito fruibile per le imprese, con un lavoro di accreditamento dei fornitori, una piattaforma nazionale, un catalogo di soluzioni prequalificate, e controlli a campione e sulle milestone di adozione.

La seconda misura dovrebbe essere un adattamento di Industria 4.0, reintrodotta con l’ultima legge di Bilancio, alle esigenze delle piccole e medie imprese italiane: più spazio a software, integrazione OT‑IT, cloud, cybersecurity, analytics e AI applicata ai processi; criteri misurabili di risultato (use case, ROI stimato, KPI di produttività); credito d’imposta più semplice da usare per chi ha poca struttura amministrativa. Industria 4.0 si è rivelata molto utile nel tempo, e senz’altro migliore di Transizione 5.0, ma è necessario intervenire aggiornando l’allegato B che è stato stilato 10 anni fa, tecnologicamente parlando quasi un’era geologica.

Infine, propongo di istituire un catalogo italiano per la cybersicurezza della Pubblica Amministrazione, sotto il coordinamento ACN, che faciliti l’adozione delle misure necessarie alla compliance della direttiva NIS2. Sul modello spagnolo, una lista di fornitori e soluzioni qualificate destinate a Pubblica Amministrazione e operatori essenziali, con percorsi di valutazione proporzionati (on‑prem/cloud) e interoperabilità con certificazioni europee (EUCC) e ISO 27001. È il modo più rapido per conciliare sicurezza e apertura del mercato: meno slogan sulla nazionalità, più soluzioni veramente sicure attraverso verifiche tecniche e trasparenti.

Questo cambio di passo aiuterebbe anche a “navigare” le complessità geopolitiche: non si rinuncia a sovranità tecnologica se si acquista in base a requisiti, anzi la si rafforza, perché si alza l’asticella e si favorisce chi investe davvero in qualità e sicurezza (italiano, europeo o alleato che sia). E per le imprese, soprattutto micro e piccole, significa avere una porta d’accesso chiara e veloce a ciò che serve davvero per competere.

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