Negli ultimi anni, l’idea di convivere con robot umanoidi è passata dal dominio della fantascienza a una prospettiva concreta e imminente. Se un tempo l’immaginario collettivo li relegava a film e romanzi, oggi questi dispositivi operano in fabbriche, magazzini e laboratori massimizzando l’efficienza produttiva di migliaia di imprese sparse per il mondo.
Ma a fronte di promesse straordinarie in termini di produttività e assistenza, emerge un interrogativo cruciale: siamo davvero pronti a condividere lo spazio con macchine che camminano, reagiscono e (forse) ci osservano?
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L’evoluzione dei robot umanoidi: la questione degli standard di sicurezza
L’evoluzione dei robot umanoidi come Digit, sviluppato dalla società statunitense Agility Robotics, è emblematica di questo cambiamento. Progettato per sollevare scatole e interagire in ambienti complessi, Digit sta aprendo la strada a un nuovo modo di concepire il lavoro umano nel dedalo delle nuove responsabilità etiche, fisiche e psicologiche che riguardano l’uso dei robot. Ed è proprio qui che entra in gioco la questione degli standard di sicurezza: un’urgenza spesso trascurata, ma destinata a diventare il pilastro della futura convivenza tra uomini e robot.
Dotato di gambe robotiche con una caratteristica flessione all’indietro, Digit rappresenta una promessa per il futuro della logistica automatizzata. Ma nonostante le sue capacità, il robot è ancora soggetto a errori: è diventato “virale” un video di qualche mese fa[1] nel quale Digit perde l’equilibrio, cade su una superficie in cemento e lascia cadere il suo carico. L’episodio ha acceso un faro sui rischi fisici e psicologici legati all’impiego di robot umanoidi a fianco degli esseri umani.
Il problema, peraltro, non è solo tecnologico, ma profondamente umano, dato che nessuno vorrebbe che un robot alto un metro e ottanta e pesante sessantacinque chili cadesse su di sé! Il rischio, inoltre, non si limita alle cadute: un braccio robotico progettato per trasportare contenitori pesanti potrebbe provocare lesioni gravi, anche solo sfiorando una parte sensibile del corpo umano (si pensi a un contatto accidentale con la gola di un operatore).
Gli standard
Non sorprende, quindi, che la stabilità fisica sia considerata la principale criticità dai ricercatori dell’IEEE Humanoid Study Group, un consorzio internazionale impegnato nello sviluppo di nuovi standard di sicurezza per i robot umanoidi. I ricercatori dell’IEEE sono convinti che i robot umanoidi differiscano in modo sostanziale dai robot industriali tradizionali o “mobili”, e che necessitino di una regolamentazione specifica.
Design umanoide e sicurezza negli spazi condivisi
Il motivo per cui i robot come Digit sono progettati con sembianze umane è semplice: devono operare nei nostri spazi. Uffici, magazzini, ospedali e abitazioni sono pensati per gli esseri umani. Ed è per questo che i robot devono poter muoversi liberamente tra noi senza dover essere confinati dietro barriere o gabbie protettive. Ma per farlo in sicurezza, devono “rimanere in piedi”. E questo non è scontato. Agility Robotics sta affrontando questo problema introducendo nuove funzionalità su Digit: al posto di un arresto d’emergenza istantaneo, il robot può decelerare gradualmente, mettendosi in una posizione sicura (es. inginocchiandosi) prima di spegnersi, così da non cadere improvvisamente e rovinosamente a terra.
Standardizzazione e classificazione dei robot umanoidi
Tuttavia, ogni azienda potrebbe affrontare il problema in modo diverso. E qui entra in gioco la standardizzazione delle regole nel campo della robotica. Lo scopo non è limitare la creatività progettuale, ma garantire un livello minimo di sicurezza condiviso tra tutte le imprese del settore robotico. Chiaro è che stabilire standard comuni non è semplice, a partire dalla definizione stessa di “umanoide”. Peraltro, che cosa qualifica un robot come umanoide? Le gambe? Un volto? Due braccia? Partiamo dal concetto che potremmo dover abbandonare il termine umanoide, per concentrarci su classificazioni basate su capacità, comportamento e ambiti d’uso del robot. Lo standard ISO[2] si applica a tutti i robot mobili con stabilità attivamente controllata, inclusi robot con ruote o “quadrupedi” come Spot di Boston Dynamics.
La comunicazione tra robot e esseri umani
Un’altra questione centrale è la comunicazione. Se i robot devono convivere con le persone, è necessario che siano comprensibili per gli esseri umani. Come gli automobilisti segnalano agli altri utenti della strada le loro intenzioni con frecce e luci di stop, anche i robot umanoidi dovrebbero essere in grado di anticipare i movimenti degli esseri umani e comunicare i propri. Digit, ad esempio, ha luci che indicano direzione e stato operativo, ma potrebbe non bastare. In futuro potrebbero servire segnali più chiari e universali per evitare malintesi, soprattutto in ambienti industriali rumorosi o affollati da più robot.
Aspetti psicologici nella sicurezza dei robot umanoidi
C’è poi il fattore psicologico: gli umanoidi ci somigliano e, per questo, tendiamo a proiettare su di loro aspettative umane. Aspettative che potrebbero abbassare la soglia di attenzione alla sicurezza e che potrebbero trarci in inganno, soprattutto se ci si aspetta che il robot possa essere capace di compiere azioni o provare empatia.
Per mitigare questi rischi, i ricercatori dell’IEEE raccomanda che gli standard includano valutazioni di sicurezza emotiva e linee guida per evitare alienazione psicologica, soprattutto nei contesti in cui i robot interagiscono con persone vulnerabili.
Interazione uomo-robot negli ambienti sensibili
L’interazione tra uomo e robot sarà fondamentale se gli umanoidi dovranno uscire dagli ambienti industriali per entrare in ospedali, case di riposo o abitazioni private. Il modo in cui un robot si esprime potrebbe influenzare profondamente l’esperienza umana, specialmente per bambini, anziani o persone con disabilità. Per cui, una comunicazione inefficace del robot con l’essere umano potrebbe portare quest’ultimo all’isolamento, con stress e sentimenti negativi.
Tra le raccomandazioni dei ricercatori dell’IEEE figurano: la possibilità di intervento umano in ogni momento, l’uniformità di segnali visivi e acustici e un design coerente con le reali capacità del robot. Se un robot ha sembianze umane ci si aspetta che sappia conversare e comprendere emozioni. Se invece ripete soltanto una frase del tipo “scansiona il prossimo articolo”, rischia di frustrare gli utenti, come accade con i chioschi self-service che sembrano “personali” ma non lo sono affatto.
Inclusività e standard differenziati per robot umanoidi
Altro punto cruciale: l’inclusività. I robot dovranno essere in grado di comunicare per esempio con persone sorde, cieche, con diversi tempi di risposta o accenti. La varietà dei contesti d’uso richiederà standard differenziati: un robot progettato per un parco giochi ha esigenze diverse rispetto a uno usato in una linea di produzione.
Servono regole generali che permettano al pubblico di capire cosa un robot sta facendo, ovunque si trovi. Non bisogna né si vuole ostacolare l’innovazione, ma è fondamentale assicurarsi che tutti (produttori, regolatori e utenti) sappiano a cosa stanno andando incontro.”[3]
[1] Warehouse Robot Collapses After 20-Hour Work. Old Video Goes Viral. NDTV. https://www.ndtv.com/offbeat/viral-video-warehouse-robot-collapses-after-working-for-20-hours-straight-5428176
[2] Aggiornata la ISO 10218: ecco come cambiano gli standard di sicurezza dei robot. Innovation Post. https://www.innovationpost.it/tecnologie/aggiornata-la-iso-10218-ecco-come-cambiano-gli-standard-di-sicurezza-dei-robot/
[3] Why humanoid robots need their own safety rules. MIT Technology Review. https://www.technologyreview.com/2025/06/11/1118519/humanoids-safety-rules/