La Commissione Europea presenterà la proposta di regolamentazione il 20 gennaio 2026, con l’intenzione di superare il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche e l’obiettivo di ridimensionare un quadro tacciato di eccessiva competizione tra gli operatori e che, a causa di questo, mancherebbe strutturalmente di investimenti.
Secondo Bruxelles, la medicina per questo malanno sarebbe l’oligopolio.
Indice degli argomenti
Una narrazione che prepara il terreno al digital networks act
Nel dibattito che accompagna l’arrivo del Digital Networks Act (o più comunemente “DNA”), previsto per il 20 gennaio, sta emergendo una narrazione che rischia di orientare in modo distorto il futuro delle telecomunicazioni in Europa.
Dietro un apparente linguaggio neutrale, molti studi e analisi presentano come inevitabile e addirittura auspicabile la trasformazione delle Telco in TechCo: un’evoluzione presentata come modernizzazione ma che, di fatto, finisce per legittimare modelli di business verticali, integrati e con capacità finanziaria pressoché illimitata.
Il messaggio implicito è chiaro: nel mercato europeo ci sarebbe spazio solo per grandi soggetti multi-nazionali (o “pan-europei”) con data center, rete fissa e mobile, cloud e capacità di sviluppo di intelligenza artificiale.
Tutto ciò che non rientra in questo perimetro rischia di essere marginalizzato, in primis i piccoli e medi operatori alternativi che da trent’anni hanno reso competitivo il mercato delle telecomunicazioni europeo.
Armonizzazione e semplificazione: quando il “dna” diventa un regolamento su misura
Nonostante venga presentato come un intervento per potenziare la connettività europea, il Digital Networks Act sembra configurarsi come un tentativo di re-ingegnerizzare il mercato a favore degli operatori dominanti (incumbent).
Si parla molto di armonizzazione, semplificazione, mercato unico.
Parole ormai divenute mantra per giustificare qualsiasi riforma europea, ma che, se scollegate dalla tutela della concorrenza effettiva, possono trasformarsi in pericolosi strumenti per minare il pluralismo infrastrutturale.
In particolare, l’idea di un Regolamento europeo che accorpi tutto (EECC, regolamento Open Internet, BEREC, gestione dello spettro) punterebbe a un effetto preciso: marginalizzare le Autorità nazionali, come AGCOM, e silenziare la voce e le esigenze degli operatori locali.
Per questo, AIIP ha denunciato da tempo i rischi di questa impostazione, anche attraverso l’iniziativa StopDNA.eu, sostenuta da una vasta rete di operatori indipendenti italiani ed europei.
Prodotti wholesale pan-europei nel digital networks act: la simmetria che punisce chi investe
Tra le proposte più dannose che potrebbero vedere la luce vi è senza dubbio l’introduzione di prodotti di accesso wholesale pan-europei, simmetrici, predefiniti.
Apparentemente una buona intenzione.
In pratica, un favore diretto a tutti quei player che operano fuori dall’Italia e che possono beneficiare di leve fiscali e/o finanziarie non comparabili con quelle degli operatori infrastrutturati italiani.
Chi investe realmente in reti FTTH, con modelli flessibili e adattati ai contesti locali, sarebbe costretto a sottostare a condizioni dettate da Bruxelles per chi dispone già di posizioni dominanti e filiere completamente integrate.
La simmetria normativa in un mercato strutturalmente asimmetrico significherebbe la fine della competizione.
Anche il BEREC, nel contributo ufficiale alla call for evidence, ha espresso forti perplessità, sottolineando che:
Le tre perplessità del BEREC sui prodotti pan-europei
- l’introduzione di prodotti wholesale pan-europei obbligatori rischia di compromettere l’efficacia della regolazione nazionale, che deve essere adattabile alle condizioni locali
- non esiste una domanda sufficiente per tali prodotti a livello europeo da giustificarne l’imposizione generalizzata
- un approccio uniforme è incompatibile con le diverse realtà competitive, tecnologiche e territoriali dei mercati europei
Il regolatore europeo ha inoltre ribadito che i prodotti wholesale devono derivare da esigenze reali di mercato e non da imposizioni politiche dall’alto.
Qualunque iniziativa in questo senso deve essere basata su analisi ex-ante, condotta dalle Autorità nazionali di regolamentazione, e non centralizzata a livello UE.
In altre parole, chi costruisce reti fisiche, spesso con enormi sforzi economici e industriali, rischia di vedersi espropriato della libertà di definire le proprie offerte, tariffe e condizioni, a vantaggio di un modello uniforme, utile quasi esclusivamente ai già grandi operatori pan-europei.
Spettro e rame: due capitoli chiave del digital networks act
Altre due proposte chiave del Digital Networks Act potrebbero essere: rinnovo automatico delle licenze d’uso dello spettro e switch-off del rame a data vincolante, imposto dall’alto.
Entrambe rappresentano una distorsione del mercato.
Il rinnovo delle licenze, se automatico e senza asta, rappresenta un aiuto di Stato mascherato e un danno erariale per lo Stato.
La proroga delle frequenze mobili 5G in scadenza nel 2029, se concessa a titolo gratuito, sarebbe una rendita di posizione regalata a pochi soggetti, escludendo ogni possibile competizione da parte di nuovi entranti, siano essi PMI, consorzi locali o, per assurdo, altri operatori verticalmente integrati tanto auspicati da Bruxelles.
Il perimetro “minimo” indicato per discutere di rinnovi facilitati
Solo la destinazione dell’intero spettro a 6 GHz a favore del Wi-Fi, la liberalizzazione completa della banda per reti private 5G, e una offerta wholesale obbligatoria, completa, trasparente e verificabile da parte di chi ottenesse il rinnovo dello spettro a condizioni vantaggiose, potrebbe costituire un perimetro ragionevole per avviare una discussione su eventuali meccanismi di rinnovo facilitato dei diritti di utilizzo dello spettro a beneficio della piccola élite di operatori che effettivamente eserciscono reti mobili 5G a livello europeo.
Quanto allo switch-off del rame, AIIP è favorevole allo switch-off graduale della rete in rame, ma esclusivamente attraverso l’incentivazione della domanda tramite voucher.
Con le attuali problematiche di manodopera, difficoltà di reperimento materiali e tempi tecnici per la realizzazione degli impianti fisici, solo un percorso graduale come quello supportato dai voucher può garantire una migrazione realmente effettuabile, una transizione non discriminatoria e una gestione di precisione nel passaggio tra le tecnologie.
È quindi necessario uscire dalla logica degli investimenti a orizzonte temporale breve tipica del PNRR.
Sarebbe distorsivo imporre uno switch-off centralizzato per forzare la dismissione del rame di un operatore a vantaggio della fibra di un altro.
L’Italia non è una monocultura infrastrutturale, ma un ecosistema complesso e competitivo di reti fisiche diverse, spesso sovrapposte, costruite con logiche industriali e territoriali autonome.
E che funziona.
Ogni forzatura rischia di distruggere questo pluralismo.
Stati membri in allerta sul digital networks act: direttiva, concorrenza e competenze
La comunità degli operatori indipendenti europei si è espressa in modo inequivocabile.
AIIP, EuroISPA, ECTA e l’intera rete di soggetti che hanno promosso l’iniziativa StopDNA hanno indicato con forza che il patrimonio regolatorio europeo costruito con le liberalizzazioni degli anni 2000 è stato l’unico vero successo dell’UE in termini di competitività, prezzi bassi, qualità elevata e democrazia economica.
Questo patrimonio va difeso, non smantellato.
Il Digital Networks Act, nato come pretesto per introdurre una forma di “web tax” mascherata contro i colossi OTT – il cosiddetto “fair share” –, è diventato rapidamente, passando per canali opachi e mai realmente trasparenti (tra il piano Letta, il dossier Draghi e suggestioni delle Telco), un manifesto dell’oligarchia delle telecomunicazioni.
Ci troviamo di fronte a una proposta normativa che segna una inversione a 180 gradi rispetto ai principi fondanti dell’Unione Europea: apertura del mercato, neutralità tecnologica, concorrenza come motore di progresso.
Il DNA, così com’è stato plasmato, si sta trasformando in un ricettacolo di rivendicazioni da parte degli operatori mobili storici, volti a cristallizzare rendite di posizione nello spettro radio, impedire l’ingresso di nuovi attori nel 5G privato e nell’IoT, limitare la diffusione del Wi-Fi avanzato (banda 6GHz) e presentare il servizio radiomobile come unica alternativa wireless, screditando tutto ciò che non rientra nei modelli dominanti.
Nelle ultime settimane, numerosi Stati membri hanno preso una posizione netta a difesa dei capisaldi dell’attuale impianto regolatorio delle telecomunicazioni, che negli ultimi trent’anni ha garantito pluralismo, investimenti e benefici concreti per cittadini e imprese.
La linea di Italia, Francia e Germania: più flessibilità nazionale
Italia, Francia e Germania – tre degli Stati con più peso in Consiglio UE – insieme a Austria, Slovenia e Ungheria chiedono innanzitutto che la futura legge sulle reti digitali resti una direttiva, non un regolamento, così da preservare la flessibilità nazionale.
Anche in materia di gestione dello spettro radio difendono la piena competenza degli Stati sullo spettro radio e insistono sulla necessità di mantenere una solida regolazione ex-ante per evitare derive monopolistiche.
Infine, mettono in guardia contro cambiamenti radicali dell’attuale governance: BEREC e RSPG svolgono ruoli complementari e devono rimanere separati.
Il non-paper: concorrenza, piccoli operatori e dati prima delle svolte
Una posizione di prudenza che trova eco, seppur con sfumature diverse, nel recentissimo non-paper promosso da Irlanda, Finlandia, Slovenia, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Lettonia focalizzato soprattutto sulla tutela della concorrenza e dei piccoli operatori.
Viene respinta l’idea, rilanciata da Letta e Draghi, che la frammentazione del mercato sia un freno, avvertendo che un’eccessiva spinta al consolidamento potrebbe danneggiare consumatori e innovazione.
Sullo switch-off del rame vengono chiesti tempi differenziati e garanzie per gli utenti, mentre sulla regolazione ex-ante lanciano un importante monito: eliminarla senza dati e studi di impatto concreti rischierebbe di consegnare interi mercati al potere degli operatori dominanti.
Anche sullo spettro radio, la parola d’ordine è cautela: no a centralizzazioni affrettate, sì a licenze lunghe accompagnate da obblighi severi di copertura e uso effettivo.
Il rischio di concentrazione continentale oltre il digital networks act
Dalle posizioni che emergono nel dibattito appare sempre più evidente una tendenza preoccupante: concentrare il potere infrastrutturale, cloud, mobile e fixed access nelle mani di pochi soggetti transnazionali, lasciando ai margini chi lavora ogni giorno per garantire connettività reale, resiliente e vicina al cittadino.
E, soprattutto, competenze sul territorio.
Una visione che sacrifica la sua rete di operatori locali, la sovranità digitale distribuita e il controllo dei dati nei territori.
La centralizzazione viene presentata come modernizzazione, mentre spesso coincide con la sottomissione alle logiche dei mercati finanziari e dei grandi gruppi integrati.
La proposta AIIP sul digital networks act: pluralismo, regole proporzionate, territori
AIIP chiede una cosa semplice: non distruggere ciò che funziona.
Non servono nuove gabbie normative.
Servono regole proporzionate e rispettose della diversità.
Chiediamo che il DNA non sia un Regolamento, ma una Direttiva, capace di adattarsi alle diversità nazionali.
Chiediamo che venga riconosciuto il ruolo degli operatori locali e infrastrutturati.
Che si protegga il diritto di competere.
E soprattutto, chiediamo che le politiche europee non vengano scritte nei palazzi dei grandi operatori, ma ascoltando chi costruisce reti reali, nei territori reali, per persone reali.














