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Frequenze tlc, l’Italia ripensa il modello aste-contributi: gli scenari



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Le frequenze in scadenza nel 2029 pongono l’Italia di fronte a una scelta strategica tra modelli misti o di rinnovo diretto, in un contesto europeo in evoluzione e con forti implicazioni industriali

Pubblicato il 14 ott 2025



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La consultazione pubblica dell’Agcom (Delibera 154/25/CONS) sulle opzioni regolamentari per l’assegnazione delle frequenze radio in scadenza il 31 dicembre 2029 apre, anche in Italia, una nuova fase delle politiche regolamentari e industriali per il settore delle telecomunicazioni.

Il modello tradizionale sotto esame

Di fatto, viene rimesso in discussione lo schema tradizionale, che prevede l’imposizione di contributi, rilevanti, per l’utilizzo delle risorse frequenziali e successivi interventi pubblici a favore del settore, in termini di contributi per la realizzazione di infrastrutture, ovvero di sostegno alla domanda (voucher).

Al netto delle ultime misure a sostegno dell’infrastrutturazione delle reti 5G (Piano 5G-backhaul e densificazione), gli interventi pubblici passati sono stati concentrati sullo sviluppo delle infrastrutture di rete fissa, per la realizzazione di reti a banda larga e, negli ultimi anni, di quelle a banda ultralarga. I modelli di intervento sono stati inizialmente indiretti, con il finanziamento di infrastrutture private (piani banda larga), per poi passare ad interventi diretto dello Stato (piano BUL, attraverso un concessionario privato) e infine ritornare ad uno schema indiretto (piano 1G).

Il bilancio tra entrate pubbliche e sostegni al settore

Dal 2000 in poi lo Stato ha incassato oltre 23 miliardi di euro per le diverse procedure di assegnazione di frequenze, da quelle UMTS del 2000 (12,2 miliardi), a quelle LTE/4G (3,9 miliardi) fino alla più recente asta 5G (6,6 miliardi) del 2018. In altri termini, nel 2000 l’asta ha generato per le finanze pubbliche oltre 200 euro per abitante e quella del 2018 più di 100 euro pro capite.

Limitandosi alle aste 5G, il valore totale è stato simile a quello della Germania, contro i 3,2 miliardi del Regno Unito, i 2,8 miliardi della Francia e 1,5 miliardi della Spagna. Di conseguenza, l’onere per abitante sostenuto dagli operatori operanti in Italia è stato largamente superiore rispetto a quanto accaduto nei principali Paesi europei.

I finanziamenti pubblici al settore

Per quanto riguarda invece le risorse destinate al settore delle telecomunicazioni, a partire dalla fine degli anni 2010 sono stati avviati i piani pubblici per la banda larga e ultralarga, che hanno convogliato complessivamente circa 7,9 miliardi di euro verso il comparto, attraverso gli operatori (retail e wholesale) e, indirettamente, le imprese di rete che hanno realizzato le infrastrutture.

Le strategie estere di gestione dello spettro

La nuova fase della regolazione del settore si sta concretizzando sia dal punto di vista Antitrust che degli oneri legati al rilascio delle risorse spettrali.

Nel Regno Unito, l’autorizzazione alla fusione tra Vodafone UK e Three UK  e la conseguente riduzione degli operatori al fatidico numero di tre soli attori è avvenuta imponendo dei rimedi non più incentrati sulla nascita di un nuovo operatore. Al contrario, l’attenzione si è spostata su rimedi comportamentali e, segnatamente, sull’impegno a realizzare un piano integrato di miglioramento della rete, sul controllo dei prezzi al dettaglio e sulle condizioni riservate agli operatori virtuali (MVNO).  

Per quanto riguarda le frequenze, il Regno Unito privilegia la continuità amministrativa con il prolungamento delle durate e l’adeguamento del canone annuale (a ribasso negli ultimi aggiornamenti).

In Francia, il “new deal mobile” vede un orientamento verso obblighi di copertura/investimento con riequilibri di spettro tra gli operatori. Anche in Germania le recenti proroghe sono state associate a stringenti vincoli di copertura e misure pro-concorrenziali nei confronti degli MVNO. Infine, la Spagna opta per l’estensione delle multi-banda delle autorizzazioni.

Due opzioni per il futuro italiano

In Italia, dopo le proroghe delle frequenze fino al 2029 ci si interroga sul modello futuro per traguardare l’orizzonte 2037. Due sono le opzioni in discussione: quella “mista” e quella “rinnovo”.

Fonte: AGCom, 2025

Nella precedente consultazione del 2024 molti attori avevano indicato una preferenza per una soluzione “mista”, ma piuttosto barocca, con una combinazione di proroghe, rinnovi e procedure competitive a seconda delle diverse bande.

Di conseguenza, la prima opzione sul tavolo (“mista”) prevede uno schema di gioco ibrido che tiene conto delle specificità di ogni banda, ma anche di quanto deciso in passato e della volontà di procedere a riequilibri e all’apertura di nuove opportunità concorrenziali.

Fonte: AGCom, 2025

Rinnovo e continuità amministrativa

Nell’opzione “rinnovo” viene invece privilegiata la continuità e la semplicità amministrativa, con il rinnovo diretto dei diritti fino al 2037 a fronte di impegni di copertura e qualità.

Le posizioni espresse dai partecipanti alla consultazione sono naturalmente piuttosto differenziate anche se emergono due esigenze di fondo: da un lato garantire quanto più possibile la continuità d’impiego delle risorse spettrali attualmente disponibili agli operatori; dall’altro lato assicurare, in chiave concorrenziale, che nuovi entranti e gli operatori con minore dotazione spettrale abbiano l’opportunità di aggiudicarsi risorse. A questo si aggiunge l’obiettivo strategico di garantire i massimi livelli prestazionali e una copertura universale dei servizi più innovativi.

Fonte: AGCom, 2025

L’ecosistema delle telecomunicazioni italiane

Il nuovo assetto delle telecomunicazioni italiane richiede però di fare qualche considerazione aggiuntiva sui beneficiari delle diverse misure.

L’Italia è probabilmente il laboratorio europeo più avanzato per quanto riguardo la struttura del settore, perlomeno dal punto di vista dell’integrazione verticale. Di fatto, sia per le reti fisse che mobili, esistono dei grandi operatori wholesale non integrati verticalmente, che gestiscono le infrastrutture di base (torri e rete di accesso fissa).

Questa caratteristica impone di ripensare l’articolazione e il peso delle singole misure di politica industriale, dirette o indirette per l’innesco di un processo virtuoso tra investimenti, innovazione concorrenza.

Il superamento del modello “fare cassa”

In definitiva, non è ancora chiaro se lo Stato potrà o vorrà rinunciare a un importante flusso di entrate per il rinnovo delle frequenze fino al 2037. Rimane però positiva la valutazione di scenari alternativi rispetto al modello, ormai superato, che prevede di fare cassa con le risorse frequenziali per poi distribuire dei finanziamenti agli operatori in funzione di progetti strategici.

Deve invece prevalere un approccio coerente con l’orientamento europeo circa l’opportunità di estendere i diritti d’uso, o assegnarli con una nuova gara, privilegiando in ogni caso specifici impegni di sviluppo delle reti rispetto agli introiti derivanti da nuove gare.

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