L’elevatissima crescita nel 2024 degli investimenti in data center per l’AI generativa è stato il fatto più saliente emerso dalle presentazioni delle trimestrali delle big tech relative all’ultimo trimestre del 2024. Ma nel 2025 ce ne saranno ancora di più, dicono le big tech adesso: 300 miliardi. Ed è questa la sorpresa – dopo la lezione di efficienza Deepseek – che merita un’analisi.
“The data-centre investment spree shows no signs of stopping – Demand for processing power will continue to outpace supply ”, sostiene The Economist [EC] in un articolo del 5 febbraio, sottolineando come la frenesia nell’investire in data-center non dia segni di cedimento, ma giustificandola con l’attesa del continuo prevalere nei prossimi anni della domanda di potenza di calcolo rispetto all’offerta (la Fig. 1 mostra l’attuale distribuzione geografica della potenza di calcolo nel mondo mentre la Fig. 2 riporta le previsioni di Goldman Sachs sulla crescita della domanda complessiva nei prossimi anni, trainata prevalentemente ma non esclusivamente allo sviluppo dell’AI-Intelligenza Artificiale).


L’impegno delle big tech nelle infrastrutture per l’AI
The Wall Street Journal [WSJ] – “Tech Giants Double Down on Their Massive AI Spending: Amazon, Google, Microsoft and Meta pour billions into artificial intelligence, undeterred by DeepSeek’s rise” – propone il 7 febbraio una sintesi degli investimenti delle top 4 (Apple come noto sta seguendo una sua strada che non prevede investimenti di portata simile), una volta che con Amazon si sono chiuse le presentazioni delle loro trimestrali relative all’ultimo trimestre del 2024. In termini di investimenti annui, come la Fig. 3 evidenzia,
- è Amazon – leader mondiale nel cloud – l’impresa che ha investito di più, oltre 80 miliardi di dollari, seguita da
- Microsoft e Alphabet-Google, numeri due e tre mondiali nel cloud, con valori molto vicini fra loro e superiori ai 50 miliardi di dollari, e
- Meta, 37,3 miliardi di $, che a differenza delle altre fa un utilizzo solamente interno della potenza di calcolo (al servizio dei propri prodotti e attività di R&D).

Complessivamente nel 2024 le top 4 hanno investito quasi 230 miliardi di dollari: una cifra rilevantissima in assoluto e in paragone con gli anni precedenti (Fig. 4); una cifra che ha contribuito (Fig. 5) a rendere ancora più “capital intensive” le top 4, riducendo ulteriormente il rapporto fra fatturato e capitale.


L’effetto DeepSeek e la pianificazione strategica delle big tech
L’ulteriore aumento del circa 40% annunciato per il 2025 è stato vissuto molto negativamente dalle Borse e ha oscurato le performance nel complesso molto positive realizzate nel 2024.
Con riferimento ai numeri – fortemente attesi dal mercato – sugli investimenti previsti per il 2025, già più volte preannunciati in forte aumento rispetto al 2024, WSJ sottolinea come l’”effetto DeepSeek” – che tanto impatto aveva avuto sulla capitalizzazione di Nvidia provocandone una caduta di quasi 600 miliardi in una sola seduta (poi almeno in parte riassorbita) – non abbia assolutamente ridimensionato i piani di investimento per l’anno in corso.
Ne parla diffusamente il Financial Times [FT], sempre il 7 febbraio, in un articolo significativamente intitolato “Big Tech lines up over $300bn in AI spending for 2025: Amazon, Meta, Microsoft and Alphabet forecast massive capital expenditure despite investor concerns about returns and DeepSeek”, che evidenzia come i valori degli investimenti in conto capitale (in larghissima parte dedicati all’infrastruttura per l’AI) che ciascuna delle top 4 intende realizzare (Fig. 6) siano tutti in forte crescita rispetto al 2024: + 20,5% Amazon, + 43,9% Microsoft, + 42,9% Alphabet-Google, + 60,9-74,3% Meta (che ha fornito una forchetta indicativa).

Complessivamente un incremento dell’ordine del 38-40%, che non può essere solo spiegato con la “gara per la leadership” in corso fra le top 4 (che pure credo abbia un ruolo non trascurabile) ma che evidenzia la fiducia con cui esse guardano alla prospettiva di una crescita continua della domanda anche a breve, come dichiarato espressamente ad esempio dal CEO di Amazon, che ha detto che Amazon stessa sta semplicemente rispondendo a “significant signals of demand”.
Reazioni negative dei mercati all’aumento degli investimenti per il 2025
I mercati viceversa non hanno risposto così bene a queste cifre, nonostante il complesso dei risultati (ne parlerò fra poco) sia stato molto soddisfacente per tutte le top 4,
- preoccupati della nebulosità sull’utilizzo di cifre così elevate e sui ritorni – in termini di consistenza e tempi di payback – che le imprese si attendono dalla loro messa in gioco;
- preoccupati dai ritorni non ancora particolarmente brillanti dei servizi più strettamente legati all’AI già erogati, quali ad esempio il Copilot di Microsoft;
- probabilmente stupiti dal mancato impatto dell’”effetto DeepSeek”, che aveva fatto intravedere (pur con qualche dubbio sulla totale veridicità dei dati comunicati) la possibilità che fosse possibile realizzare modelli – con performance vicine a quelli di OpenAI o di Google – con costi e potenza di calcolo molto minori.
L’importanza della flessibilità dei nuovi data center
Su questo terzo punto è intervenuto l’8 febbraio The New York Times (“What DeepSeek? Big Tech Keeps Its A.I. Building Boom Alive – An apparent breakthrough in efficiency from the Chinese start-up did not make tech’s biggest companies question their extravagant spending on new data centers.”), riportando l’importante tesi – espressa sia dal CEO di Microsoft sia dal CFO di Alphabet-Google – della “doppia flessibilità” esistente per il futuro utilizzo dei data center in corso di costruzione, impiegabili:
- sia nella fase di “training” dei modelli di AI sia in quella successiva di “inferencing”, ovvero di sfruttamento dei modelli stessi una volta che essi siano stati messi a punto;
- sia per esigenze proprie sia per erogare servizi ai clienti.
Sul primo punto – nebulosità su utilizzi e ritorni – l’importanza a esso attribuita dai mercati trova conferma nel fatto che l’unica delle top 4 “perdonata” dal mercato, nonostante l’elevatissimo incremento degli investimenti annunciato, sia stata Meta: perché è stata l’unica a mostrare un chiaro successo nell’utilizzo dell’AI generativa: il miglioramento con esso ottenuto nell’’”ad targeting” per Facebook e Instagram e il conseguente incremento nella spesa dei clienti.
Sul fatto che le spese in conto capitale siano eccessive FT, pur senza prendere una posizione a favore o contro, mette a confronto le spese e le performance delle cosiddette “Magnificent 7” (o più sinteticamente “Mag 7”) – le top 4 più Apple, Nvidia e Tesla – con quelle delle restanti 493 imprese dello S&P 500 (talora un po’ scherzosamente qualificate come S&P 493). Quello che emerge è che è vero che le spese in conto capitale delle “Mag 7” sono effettivamente aumentate nel 2024 in misura strabordante rispetto alla media dello S&P 493, del 40% circa a fronte del 3,5%, ma che è anche vero che nello stesso arco temporale i profitti delle “Mag 7” sono aumentati di un terzo e quelli della media dello S&P 493 del 5%.
Un quadro di sintesi sull’andamento delle “Mag 7”
Chiudo (Tab. 1) con un quadro sintetico dell’andamento delle “Mag 7”, in termini assoluti e in comparazione con tutte le imprese quotate a livello mondiale.


Il valore di capitalizzazione che appare nella prima colonna è quello registrato alla chiusura delle Borse il 7 febbraio, una volta concluse le presentazioni delle trimestrali relative al quarto trimestre di 6 delle 7 “magnifiche” (essendo la presentazione dei dati di Nvidia sfasata rispetto alle altre). Le “Mag 7” – tutte statunitensi – occupano le prime cinque posizioni e sette delle prime otto su scala mondiale
- con la sola Saudi Aramco (oil & gas) in sesta posizione che si frappone fra esse;
- con tre imprese a una incollatura da Tesla, anch’esse con una market cap superiore al trilione di $: la taiwanese TSMC e la statunitense Broadcom, operanti nella filiera dei semiconduttori, e Berkshire H., famosa per il suo storico capo Warren Buffett, operante in ambito finanziario.
Se si pongono a paragone le capitalizzazioni attuali con quelle di tre mesi circa fa (12 novembre), a chiusura delle presentazioni delle trimestrali del terzo trimestre, si può notare che – al di là delle continue fluttuazioni talora anche significative – per tre delle “Mag 7” le variazioni non sono così rilevanti: Apple vale (dopo una punta intermedia) più o meno come allora, lo stesso si può dire per Alphabet-Google (fra le più “punite” dopo la presentazione) e non di molto superiore è stata la variazione di Tesla.
La caduta maggiore è quella di Nvidia, che nonostante i recuperi dopo la perdita in un solo giorno di quasi 600 miliardi di capitalizzazione dopo l’annuncio della cinese DeepSeek, è comunque sotto di 471 miliardi (meno 13% circa) rispetto a tre mesi fa. Mentre la crescita maggiore, 344 miliardi (più 23,5%), è quella di Meta, l’unica delle top 4 “premiata” (come visto) dopo le presentazione. Significativa pure la crescita di Amazon,: più 241 miliardi di $ (più 11% circa), nonostante la “punizione” subita.
Nella Tab. 1 ho riportato anche una “simulazione” dei bilanci del 2024, tratta da FT e costruita sommando i dati delle quattro trimestrali. La colonna che più esalta il successo delle “Mag 7” (con una qualche riserva per il caso Tesla) è quella dell’utile netto, che vede
- Apple, Alphabet-Google e Microsoft al terzo, quarto e quinto posto assoluto – alle spalle di Saudi Aramco e Berkshire H. – con valori degli utili netti compresi fra i quasi 93 miliardi di $ di Microsoft e gli oltre 106 di Apple,
- Nvidia e Meta immediatamente alle loro spalle, al sesto e settimo posto, appaiate su un livello di utile netto di oltre 63 miliardi;
- Amazon al nono posto, a una incollatura da JPMorgan Chase, con oltre 59 miliardi di utile netto;
- 5 società cinesi operanti nel comparto bancario-assicurativo, alle spalle di Amazon, e – inframmezzate tra loro – TSMC e Toyota;
- Tesla molto distaccata, oltre la centesima posizione.
Il rapporto tra ricavi e addetti
Il fatto di prendere in considerazione le sole imprese quotate, quasi certamente ininfluente nella determinazione dei primissimi posti della classifica per utile netto, ha un impatto invece più rilevante se si guarda alla classifica per ricavi e ancor più per numero di addetti: soprattutto per la presenza, in larga parte del mondo, di grosse imprese – pubbliche o a partecipazione pubblica – non orientate al profitto. Limitandoci comunque alle quotate, è importante osservare – coerentemente con le considerazioni fatte in precedenza – che le big tech sono sempre più “big” non solo per capitalizzazione e utile netto, ma anche per l’entità dei ricavi. La stessa cosa non è necessariamente vera per il numero di addetti, se l’impresa ritiene più profittevole (anche in prospettiva) concentrarsi su parti limitate delle filiere in cui opera piuttosto che integrarsi verticalmente a monte e/o a valle. Il confronto ad esempio fra Amazon e Apple ci mostra come Amazon sia seconda al mondo fra le quotate, alle spalle di Walmart, sia per ricavi sia per numero di addetti, mentre Apple – ricorrendo in misura massiccia all’outsourcing (ad esempio alla taiwanese Foxconn per il manufacturing degli iPhone) – occupa il settimo posto per ricavi e il centotrentesimo per numero di addetti.