tech e creatività

Band create dall’IA su Spotify: cosa resta di vero nella musica?



Indirizzo copiato

Le band fantasma generate dall’AI stanno conquistando Spotify con milioni di ascolti. Un fenomeno che solleva interrogativi sul futuro della musica e sul rapporto tra tecnologia e creatività artistica

Pubblicato il 20 ago 2025

Lorenza Saettone

Filosofa specializzata in Epistemologia e Cognitivismo, PhD Student in Robotics and Intelligent Machines for Healthcare and Wellness of Persons



Musica generata dall'AI intelligenza artificiale e musica

La persona nel 2025 è sempre più utente, attivo, in una comunicazione uomo-fantasma. L’hardware digitale è davvero medium, nell’unico senso esoterico della parola. “Batti un colpo” e quel colpo è un bit; in molti casi, ormai, il bit deve tenere conto del tempo e di un pitch d’ascolto.

In questo articolo voglio affrontare un tema quanto mai controverso, che ci ha già proiettati in un capitolo di fantascienza: la musica ai tempi di Spotify\AI. Ah, questo articolo è scritto da un’umana, come sempre.

Il velo dell’autenticità nella musica generata

Mentre a Birmingham Ozzy Osbourne si esibiva in quello che resterà uno dei capitoli più drammatici della storia del rock, un lungo addio al e dal Principe delle Tenebre (deceduto il 22 luglio a poco più di due settimane dal concerto d’addio, ndr), gli ascolti liquidi sono sempre più infusi di IA generativa e band fantasma.

Ozzy Osbourne - Back To The Beginning 2025 - Full Set Concert (Audience Recording | SBD)

Potrebbe essere perfetto nel filone metal; tuttavia, non c’è nulla di misterioso, al contrario: ogni proposta ha i toni del trend, della statistica, della maggioranza, e il fantasma è coperto dal Velo di Maya dell’illusione percettiva. Non è il lenzuolo che terrorizza e al contempo attira i bambini di notte, anch’essi nascosti a metà dal lenzuolo: con un occhio a sbirciare, con l’altro a celarsi. Nulla di Romantico, insomma. È il mistero di cui l’Illuminismo si è appropriato, togliendo lustro al Genio e mostrandosi nudo in una pornografia dell’espressione.

Spotify si appoggia a più livelli all’IA, da un lato incorporando strumenti in cui l’ascolto si fa attivo, ma dell’attività dell’IA. È il paradosso della Rivoluzione Copernicana: l’io penso, il soggetto, impone le sue categorie, ma tanto il noumeno, o incognita X, prima dell’imposizione attiva del modo di guardare del soggetto, resta imprescindibile e precedente a ogni attività, trasformando lo sguardo comunque in una burocrazia lenta e inutilmente copernicana. La X è al centro.

Dai dj radiofonici agli assistenti virtuali

Leggo su Forbes: “AI DJ, lanciato nel 2023, utilizza la voce generata dall’intelligenza artificiale per unire le tracce come un DJ radiofonico. E, più recentemente, AI Playlists permette agli appassionati di musica di utilizzare un’interfaccia linguistica simile a ChatGPT per descrivere le playlist desiderate” (Marr, 2025). In buona sostanza, lo speaker radiofonico è un assistente virtuale che apprende dai tuoi gusti e ti suggerisce, con una voce finta ma dal suono naturale, una selezione di ascolto opportunamente commentata.

Per gli utenti premium è una feature che diventa anche possibilità di dialogo e richieste ad hoc. Insomma, io sono ancora della generazione in cui le tratte in automobile erano scandite dalla voce di speaker in carne ed ossa che raccontavano il brano appena ascoltato, magari riferendosi a fatti personali; ricordo le dediche, altre persone che chiamavano l’emittente radiofonica per chiedere un brano, dedicandolo alla persona del cuore, ed ecco che partiva un Bon Jovi.

E infatti noi Millennial della prima era YouTube abbiamo insozzato la rete di footage cringe, lo ammetto, di fotografie e basi musicali di quel pop-rock anni 2000. Cringe, ma reale, reale anche nell’imbarazzo tenero di bambini di 12 anni che si dedicavano canzoni. Oggi l’ascolto è terribilmente individuale e protagonistico. Una situazione paradossale, perché sei solo, sempre da solo, con però un ego esageratamente ingombrante. L’ascolto gira solo intorno a noi, e noi siamo soli.

Non è un caso che in Certe notti si dica: “Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei”. Perché era un sentimento vero, la radio sembrava rispondere a uno stato d’animo, e la cosa stupiva, con un senso di magia e atmosfera da pareidolia; adesso ha capito chi sei, ma è tutto terribilmente spiegabile…

Il caso Velvet Sundown: quando le band fantasma conquistano Spotify

A peggiorare il tutto c’è l’assenza di Neil Young. Sì, perché il problema è che molti degli ascolti stanno sempre più provenendo da band false, voci false, testi e musiche generate. Insomma, se i Gorillaz erano falsi come un Sebastian Melmoth che celava Oscar Wilde (si parva licet), quelli erano comunque l’avatar cartoon di musicisti veri, tra cui, figura costante, Damon Albarn.

Un caso tra i tanti che hanno fatto scoppiare la polemica delle band generate ha riguardato i Velvet Sundown. La sonorità richiama gli anni Sessanta/Settanta e, in particolare con il brano “Dust on the Wind”, hanno raggiunto 1,2 milioni di ascolti sulla piattaforma di streaming. Il brano suona come un generico sound anni Settanta, giustamente un già sentito che non spicca. Ha tutte le carte in tavola per essere vendibile, infatti vende.

Dopo l’ammissione che il brano e le facce della band sono deep learning, si legge questa giustificazione nella biografia del gruppo su Spotify:
“Questo non è un trucco, è uno specchio. Una continua provocazione artistica progettata per sfidare i confini dell’autorialità, dell’identità e del futuro della musica stessa nell’era dell’intelligenza artificiale”.

Algoritmo, mercato e dissoluzione del musicista umano

Insomma, si dà il senso del Situazionismo, progetto artistico che usa la tecnologia come strumento di critica e di analisi della tecnologia stessa. Lo specchio, non a caso, è l’illusione bidimensionale che usiamo più spesso come Io ideale, foriero di ogni nostra insicurezza o sicurezza. Lo specchio è la nostra personalità, non la nostra fisicità: la reazione al mondo si fa carico di quello che abbiamo visto su un delta zero[i].

In poche parole stiamo assistendo alla nascita di band con l’IA: le loro immagini pubbliche, una storia, un sound tutti generati artificialmente. Gruppi con visualizzazioni incredibili pari ai Maneskin, campioni della disseminazione online. Quali le ragioni dietro a tale successo? Probabilmente l’algoritmo di Spotify ha tutto l’interesse a disseminare una band anch’essa artificiale. Non che ci troviamo di fronte a una mafia di androidi che crea capannello contro gli umani, supportando i propri simili di silicio; non siamo in Futurama!
No, semplicemente c’è un guadagno ancora maggiore se il progetto prende soldi dalla piattaforma, con zero costi di produzione e senza “dover sfamare” quattro (e più) bocche umane.

Gli artisti reali, addirittura quelli che hanno visualizzazioni, guadagnano una sciocchezza dalla liquidità dello streaming, e devono farsi il mazzo andando in giro senza sosta (e facendo peraltro pagare quei biglietti uno sproposito!). Non sono più gli anni d’oro in cui il concerto era un corollario: i costi di viaggio e di esibizione erano già ammortizzati da altre vendite, il disco. I Velvet Sundown, che nel nome (e nell’intenzione in generale) ricordano i Velvet Underground, rock band degli anni ’60/’70… sono invece paghi dei ricavi di Spotify e di quello che può dare la rete.

Il comfort della nostalgia artificiale

E così, mentre il cinema è totalmente imbevuto di nostalgia — live action dei cartoni del passato e film sugli Dei della musica del passato — il nuovo che esce è sempre più solo un già sentito e visto: a partire dalle assonanze del nome, che ci danno il conforto dei grandi, un sapore che non cambia più di tanto, a cui non dobbiamo abituarci. Non c’è sforzo nell’arte e nella proposta di oggi: è tutto già una zona di comfort, non dobbiamo esprimere un giudizio che ci pone nel dubbio di essere dei fagocitatori di escremento.
Insomma, la proposta è direzionata dalla matematica, dalla statistica — e la statistica non sbaglia. E se sbaglia non lo sappiamo più perché tutto l’ecosistema è un ambiente a misura e misurato dall’ IA. L’unica cosa reale è la solitudine e un ripetersi all’infinito di quello specchio di prima che oggi si riflette solo in un altro specchio, perché non c’è più nulla che “si metta in mezzo e che prenda una posizione” o se c’è non fa parte dello specchiarsi. Ma quanto a lungo può durare il vuoto? Chi si annoierà per primo? Dallo sbadiglio nascerà la rivoluzione.

Note


[i] In matematica, un delta (Δ) uguale a zero, in riferimento a una superficie piana, indica che la superficie non ha curvatura in quel punto.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati