Le Big Tech stanno emettendo oltre 200 miliardi di dollari di obbligazioni per finanziare data center e infrastrutture AI, gli spread si allargano e Oracle scricchiola. Eppure, gli analisti insistono: non è qui che si nasconde la bolla.
I fondamentali di Amazon, Microsoft, Meta e Alphabet restano solidissimi, mentre i rischi si concentrano su equity e su una “bolla di domanda” di capacità di calcolo. Proviamo a capire cosa sta succedendo davvero nel mercato del debito dell’AI.
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Il mercato obbligazionario al centro della rivoluzione AI
QQuando si parla di “bolla dell’AI”, il pensiero va subito a Borsa, multipli, grafici di Nvidia e delle altre Magnifiche Sette.
Ma una parte decisiva della storia oggi si gioca altrove: nei mercati obbligazionari. Secondo alcuni analisti, le aziende statunitensi hanno emesso nel 2025 oltre 200 miliardi di dollari di obbligazioni corporate investment grade legate a progetti infrastrutturali per l’AI. È circa il 13% di tutte le emissioni IG USA alla fine di ottobre. Un numero enorme, perché parliamo di debito di alta qualità, non di high yield speculativo. Il debito dell’AI, scrivono gli analisti di Janus Henderson, sta “ridisegnando i mercati del credito”.
Al centro ci sono cinque nomi che conosciamo bene: Amazon, Google (Alphabet), Meta, Microsoft e Oracle. Sono gli hyperscaler che stanno costruendo i data center e la capacità computazionale su cui girano i modelli di AI generativa. Nel complesso, questi cinque hanno emesso 121 miliardi di dollari di debito investment grade in un solo anno.
Circa 75 miliardi concentrati in due mesi, settembre e ottobre, approfittando di due tagli dei tassi d’interesse. Bank of America stima che questa ondata spingerà le emissioni corporate complessive USA verso il record di 1,8 trilioni di dollari nel 2026. È qui che nasce la domanda: se davvero c’è una bolla dell’AI, rischia di esplodere anche sul debito?
Gli spread crescono: segnali di allarme o fisiologia di mercato
Un primo segnale di tensione c’è: gli spread si allargano. Nel linguaggio del credito significa che gli investitori chiedono un po’ più di rendimento per comprare nuovi bond rispetto ai Treasury. In settembre, in pieno “diluvio” di nuove emissioni, le obbligazioni di Amazon, Microsoft, Meta e Alphabet hanno visto lo spread salire da circa 50 a 80 punti base. Niente di drammatico, ma un movimento visibile.
Molto più netto è il caso Oracle, che sembra giocare in un campionato a parte. Lo spread sui suoi bond si è allargato di 48 punti base in poche settimane. Una sua obbligazione quinquennale da 3,25 miliardi di dollari viene scambiata con uno spread di 104 punti base sopra i Treasury, il doppio rispetto a metà settembre. Anche i credit default swap, l'”assicurazione” contro il default, sono esplosi: il costo per proteggersi da un default di Oracle è più che raddoppiato, al livello più alto dal 2023. A uno sguardo veloce, sembra la fotografia di un rischio crescente. Per gli analisti, però, non è così semplice.
I fondamentali delle Big Tech restano granitici
Robert Schiffman, senior credit analyst a Bloomberg Intelligence, usa un’immagine efficace: chiama gli hyperscaler il “Mount Rushmore” del credito. La logica è chiara. Meta, Microsoft, Alphabet e Amazon hanno rating da AA- ad AAA, il livello riservato alle entità più solide nei mercati globali. Nei risultati del terzo trimestre 2025, il flusso di cassa operativo degli ultimi dodici mesi va da 30 miliardi a quasi 340 miliardi di dollari. Nel frattempo, la spesa in capex legata all’AI ha raggiunto 113,4 miliardi solo nel terzo trimestre, in crescita del 75% rispetto all’anno precedente. Numeri che farebbero tremare chiunque, ma qui vengono assorbiti da una capacità di generazione di cassa straordinaria.
Per Schiffman, l’allargamento degli spread è prima di tutto un fenomeno tecnico: il mercato ha dovuto digerire in poche settimane una massa enorme di nuove emissioni. Quando arriva così tanta carta tutta insieme, è naturale che il prezzo si adatti e il rendimento salga. Non significa che i fondamentali delle aziende siano peggiorati. Oracle è l’eccezione che conferma la regola. Con un rating BBB, più di 104 miliardi di debito in essere e un free cash flow diventato negativo nel 2025 (al minimo degli ultimi vent’anni), è l’unico hyperscaler che oggi mostra un profilo di rischio sensibilmente più alto.
Ma, sottolineano gli analisti, a parte Oracle nessun’altra big tech ha subito downgrade o outlook negativi sul rating. Gli analisti di HSBC ricordano anche che il rapporto tra capex e free cash flow è ancora lontano dai livelli che si vedevano alla fine degli anni Novanta, prima dello scoppio della bolla dot-com. E che, nonostante tutto, gli spread medi dell’investment grade USA hanno toccato i livelli più stretti degli ultimi 15 anni. In altre parole: il mercato del credito sta assorbendo bene l’ondata di debito AI, senza mostrare segni di stress sistemico.
La struttura del debito AI: niente a che vedere con il 2000
Per capire perché gli analisti sono così tranquilli, conviene fare un passo più tecnico. I bond emessi dagli hyperscaler sono, nella stragrande maggioranza dei casi, obbligazioni corporate investment grade con scadenze spesso lunghe (fino a 30–40 anni).
L’obiettivo non è “tappare buchi”, ma costruire una curva di debito che diluisca nel tempo il costo del capitale. Queste aziende si finanziano a tassi molto bassi grazie ai rating elevati, spesso con covenant relativamente leggeri. Non sono strumenti iper-strutturati o opachi: i grandi investitori istituzionali (fondi pensione, assicurazioni, fondi sovrani) li comprano perché offrono qualcosa di meglio dei Treasury con un rischio vicino a quello sovrano.
La differenza con la bolla dot-com è radicale. All’epoca molte società si indebitavano senza utili, senza flussi di cassa, spesso senza un prodotto funzionante. Oggi gli hyperscaler usano il debito come leva strategica per finanziare asset fisici: data center, linee elettriche dedicate, infrastrutture cloud globali. Dal punto di vista del credito, è un altro pianeta.
La vera bolla è nelle valutazioni azionarie
Se il debito regge, la domanda successiva è inevitabile: dove si concentra allora il rischio di bolla? Schiffman è netto: “La bolla di cui tutti parlano, francamente, riguarda le valutazioni azionarie.”
Le azioni di Meta, Alphabet e Microsoft sono salite rispettivamente di oltre il 347%, 230% e 109% dal 2023. Per molti osservatori, i ricavi futuri non sono ancora sufficienti a giustificare queste valutazioni.
JP Morgan calcola che l’AI dovrebbe generare circa 650 miliardi di dollari di ricavi annui “per far tornare i conti”. I primi segnali di bolla AI sono i multipli elevati, l’evaporazione improvvisa di centinaia di miliardi di capitalizzazione, i casi emblematici come Palantir o alcuni titoli “AI-only” che scontano crescite quasi perfette. La tensione è reale, ma vive soprattutto nel perimetro equity, non nel credito.
La bolla di domanda: quando l’eccesso guarda al futuro
C’è però un punto in cui analisi sul debito e segnali di bolla si incrociano. Gli analisti ricordano che la domanda di capacità computazionale non è più ipotetica. I ricavi dei data center Nvidia corrono a 39–41 miliardi di dollari annui, più che raddoppiati anno su anno in alcuni trimestri. AWS ha raggiunto 123 miliardi di dollari di ricavi annualizzati.
Citi Research prevede 780 miliardi di ricavi annui dall’AI entro il 2030. Da qui la formula di Schiffman: se c’è una bolla, è una “bolla di domanda”. Tutti vogliono GPU, server, cluster, regioni cloud. La domanda ha superato l’offerta e spinge hyperscaler, vendor di chip, operatori neocloud e private equity a correre per colmare un gap che Morgan Stanley quantifica in 1,5 trilioni di dollari di investimenti in data center entro il 2028.
Per colmare questo buco, scrive la portfolio manager Tracy Chen di Brandywine Global, i mercati del credito, incluse le obbligazioni corporate, saranno “cruciali”. Ed è esattamente ciò che stiamo vedendo: il debito dell’AI non è la bolla, è il ponte finanziario che prova a stare al passo con una domanda esplosiva.
Un ecosistema a più livelli di rischio
Abbiamo un ecosistema a più strati: hyperscaler con bilanci robusti, operatori neocloud molto più fragili, SPV e private credit che impilano debito su asset specifici, vendor financing che ricorda, a tratti, l’era delle telco pre-2000.
Le analisi di Janus Henderson, Bloomberg Intelligence, HSBC e gli altri analisti citati da Rowe in realtà rafforzano questa lettura. Il messaggio implicito è il seguente, il nucleo del sistema, gli hyperscaler, è solido, nonostante il boom del capex.
Le vibrazioni iniziano ai margini: Oracle, gli operatori con meno margine di manovra, gli emittenti high yield “sponsorizzati” dal cosigner di turno, le strutture fuori bilancio più aggressive. Questo significa che, se ci sarà una correzione, è molto probabile che parta da equity e periferia del credito, non dal cuore dell’investment grade.
La narrativa della “bolla dell’AI” va letta distinguendo attentamente tra ciò che riguarda le valutazioni di Borsa e ciò che riguarda la sostenibilità finanziaria dell’infrastruttura.
Una corsa disciplinata o un nuovo eccesso?
L’immagine complessiva appare meno apocalittica e più sfumata di quanto suggerisca un certo dibattito pubblico. Non stiamo assistendo a una bolla del debito dell’AI pronta a esplodere come un nuovo 2008.
Stiamo vedendo un mercato del credito che finanzia, con strumenti relativamente tradizionali e rischi concentrati, la più grande corsa globale alla capacità di calcolo dai tempi della rivoluzione di Internet. Il rischio di bolla esiste, ma vive soprattutto nelle aspettative azionarie su alcuni titoli, nella possibilità che la “bolla di domanda” si sgonfi più in fretta del previsto, nelle catene più fragili del finanziamento, dove la leva è alta e i contratti sono rigidi.
Il debito dell’AI, almeno per ora, non è la miccia della bolla, ma è l’ingranaggio che rende possibile costruire, molto velocemente, l’infrastruttura su cui si giocheranno i prossimi dieci anni di competizione tecnologica. Sta a noi, regolatori, imprese, investitori, decidere se usarlo con disciplina o se spingerlo verso gli stessi eccessi che hanno già segnato, più volte, la storia delle rivoluzioni tecnologiche.












