L’intelligenza artificiale è (o meglio sarà presto) presente ovunque, dalle applicazioni aziendali, agli algoritmi che distribuiranno il lavoro o i prodotti fino all’insegnamento, al settore finanziario, alla sanità.
Ci accompagnerà in ogni operazione della nostra vita come un assistente in molti casi, come un sorvegliante in molti altri.
Tuttavia, l’Europa e l’Italia rischiano di rimanere indietro in questa corsa tecnologica. Gli investimenti europei in nuove tecnologie sono stati inferiori rispetto a quelli di USA e Cina, che dominano il settore grazie a un accesso massiccio ai dati e a una forte capacità di innovazione.
In particolare, l’Italia soffre di una mancanza di investimenti mirati e di un ecosistema tecnologico frammentato, che non riesce a sfruttare appieno il potenziale dell’AI. Se non si interviene prontamente, queste carenze potrebbero ampliare il divario economico con i paesi più avanzati, limitando la competitività e l’innovazione del continente.
L’importanza dei dati nell’era dell’AI
Comunque, le nostre società saranno plasmate da questa tecnologia e i paesi che sapranno utilizzarla al meglio avranno un enorme vantaggio competitivo sia in ambito economico che in ambito militare e geopolitico. L’Intelligenza artificiale rideterminerà gli equilibri geopolitici del mondo. Per questo gli USA stanno cercando di porre un freno agli sviluppi della Cina attraverso barriere all’export di chip e prodotti tecnologici e limitando le conoscenze delle università e imprese cinesi.
Alla base dell’IA più che gli algoritmi ci sono i dati. I paesi competeranno sempre di più non in base al PIL aggregato ma in base alla capacità di generare dati, allo stock di dati presenti e a come sapranno sfruttare l’AI per elaborarli. La misura della ricchezza di un Paese si sposterà dal PIL ai dati, chi ha più dati genererà maggiore ricchezza. Cina e USA stanno avanti a tutti e non è affatto detto che le regole che hanno retto il capitalismo sino ad ora continuino a valere nello stesso modo anche in futuro.
Investimenti in IA: il primato degli Usa
La regola principale del capitalismo è che se io possiedo il capitale posso comprare tutto ciò che mi serve per diventare leader in un settore. Tuttavia, se esaminiamo i primi due grafici vediamo che in termini di investimento non ci sono paragoni su quanto investono gli Usa rispetto a tutto il resto del mondo.
Una capacità economica che viene trasferita nella creazione di startup specializzate in AI. Gli Stati Uniti sono il crocevia finanziario dove è possibile ottenere finanziamenti ingenti sulla base di idee di business.
Lo stipendio dei talenti dell’IA
Questa enorme competizione tra aziende fondate ha comportato che il mercato del lavoro di queste figure è esploso.
Un altro potente carburante per la spinta dell’AI sono i talenti. Gli stipendi del personale IT negli Stati Uniti costano molto di più della media degli altri paesi, per non parlare dell’Italia che rimane fuori da molte delle classifiche che presenteremo in queste pagine.
Guardando questi dati non possiamo che dire che gli USA sono l’unico paese al mondo che domina l’AI. Eppure, se andiamo a vedere più da vicino il fenomeno, scopriamo che il denaro non basta ma soprattutto guardando i grafici degli investimenti non spieghiamo il perché gli USA hanno tanta paura della Cina, o il perché la Francia gioca un ruolo così importante nell’ecosistema dell’AI, etc.
I dati dell’indice Top Ranked AI Nations (TRAIN): Italia fuori dalla partita
Qualche mese fa Harvard Business Review ha pubblicato un articolo interessante dove si pongono le basi di un indice di confronto dell’AI tra vari paesi.
Alla base dell’indice c’è un indicatore aggregato che considera Dati, Regole, Capitale e Innovazione.
I Dati vengono misurati attraverso il consumo di banda larga aggregato fisso e mobile e tramite il consumo di banda larga pro-capite. Le Regole attraverso la partecipazione agli open data (come elemento in grado di promuovere la diffusione del dato nella economia), le politiche di governance dei dati (norme, privacy), il flusso di dati transfrontalieri. Il Capitale è basato sui talenti disponibili, gli investimenti, la diversità dei talenti, e l’evoluzione dell’economia digitale. Infine, l’Innovazione intesa come il numero di brevetti, il numero di citazioni per i 10 principali articoli di IA e le pubblicazioni aggregate su IA.
Mettendo insieme questi indicatori è stato sviluppato un indice detto Top Ranked AI Nations (TRAIN). Gli autori hanno scelto di inserire 25 paesi che, a loro dire, rappresentano quelli che stanno emergendo meglio sulla scena internazionale. Hanno omesso altri paesi che comunque possiedono competenze avanzate ma non hanno degli ecosistemi di dati abbastanza grandi come Israele o gli Emirati Arabi Uniti.
Se guardiamo l’indicatore TRAIN vediamo che le cose ci tornano meglio che con gli investimenti.
Vediamo che le differenze trai primi due sono importanti ma non così imponenti e anche tra i primi dieci vediamo che la differenza non è così abissale. Questo significa che la corsa sembra aperta.
Si nota l’assenza totale dell’Italia che è completamente fuori dalla partita ma su questo tornerò più avanti.
Corsa all’IA, i dati fanno la differenza
L’elemento principale che fa la differenza tra i paesi tuttavia sono i dati. Abbiamo detto che i dati sono il vero motore dell’AI, gli algoritmi sono relativamente gli stessi, i talenti sono necessari ma i paesi che hanno maggiormente investito in formazione STEM si trovano avvantaggiati.
Se guardiamo gli autori dei paper su AI anche pubblicati negli USA vediamo che quasi sempre sono cinesi, spesso indiani, con una certa frequenza europei o occidentali.
Negli USA cercare talenti STEM è molto difficile, il paese attira molta immigrazione di alta formazione dall’estero ma i WASP (White, Anglo-Saxon, Protestant), che sono la struttura portante della popolazione USA, sono molto più presenti nelle istituzioni finanziarie che in quelle tecniche. Finché la globalizzazione garantisce la libera circolazione dei talenti si possono acquisire le migliori persone disponendo di capitali molto più grandi di altri, nel momento che le ragioni geopolitiche limitano la circolazione dei talenti diventa molto più complesso gestire la presenza di personale sul proprio territorio.
Se guardiamo ai dati vediamo che la Cina dispone di un bacino enorme locale, un miliardo e mezzo di persone con una grandissima diffusione di banda larga e mobile. Se guardiamo a come è fatto l’indicatore dei dati vediamo che il consumo di banda larga aggregato misura anche i dati che provengono dall’estero nelle proprie piattaforme ed essendo gli USA il paese dove le principali piattaforme cloud operano hanno sicuramente un forte flusso proveniente dall’estero. Sono anche il paese che ha la lingua parlata a livello internazionale per cui tutto ciò che è presente su internet per la stragrande percentuale è in inglese e direttamente utilizzabile. La Cina invece opera principalmente in cinese, lingua peraltro difficile da gestire. La competizione tra questi due ecosistemi rimane la più rilevante.
Come la geografia dei dati peserà sulla classifica dei paesi che governeranno l’AI
Il grafico seguente ci dice molto di come la geografia dei dati tenderà sempre più a pesare sulla classifica dei paesi che governeranno l’AI e la Cina parte con un vantaggio. L’India potrebbe raggiungere presto la Cina come numerosità della popolazione ma la diffusione della banda larga e delle nuove tecnologie e ancora da venire rispetto alla diffusione che ha la Cina dove esiste un sistema scolastico diffuso e di buon livello.
Gli altri paesi più piccoli di solito lavorano con l’inglese come gli USA o aggregano più lingue come fanno i paesi europei. I modelli di Mistral, ad esempio, sono sempre più multilingue rispetto a quelli Meta che nascono in inglese.
Il ruolo delle Big Tech nella leadership dell’AI
Ma ragionare solo in termini di stati-nazione appare sempre più difficile se in occidente ormai abbiamo imprese che hanno PIL maggiori di stati e sono proprietari di enormi giacimenti di dati, della tecnologia AI e anche dei talenti. Molte università USA non potrebbero funzionare senza i cospicui investimenti delle big-tech e anche l’ecosistema finanziario che gira intorno alle startup fa fatica senza un ruolo delle big-tech e dei loro azionisti che sempre più spesso aprono venture capital e fondi di investimento mirati.
La produzione è in un certo senso legata alla popolazione. Certo, paesi che hanno una lunga storia di sistemi formativi solidi e patrimonio culturale partono avvantaggiati ma per addestrare modelli linguistici o cose di questo tipo sono necessarie conversazioni. Gli USA sono il paese che meglio di tutti controlla i flussi informativi di una larga fetta della popolazione mondiale grazie a servizi cloud, social network etc. etc. ma se l’occidente si chiudesse in uno spazio limitato alla lunga sarebbe un problema.
L’Europa e l’Italia nel panorama dell’AI
L’Europa è l’area maggiormente a rischio di essere marginalizzata. Negli ultimi decenni ha perso progressivamente la leadership di qualsiasi ondata tecnologica che sia emersa. Gli unici settori che ancora reggono sono il settore aeronautico con Airbus, il settore militare con i consorzi tra imprese europee del calibro di Leonardo e quello spaziale. Tre settori nei quali l’intervento pubblico è focalizzato e materializzato in imprese a partecipazione pubblica che fanno da driver per il settore privato.
Gli investimenti che l’Europa ha fatto sulle nuove tecnologie sono stati sicuramente inferiori a quelli fatti nel settore agricolo o in altri settori e il meccanismo dei bandi europei non ha dato i risultati sperati. Ogni Commissione Europea appena insediata promette investimenti e “leadership” in qualcosa ma i meccanismi interni e i vincoli di bilancio che la UE si è data non creano gli spazi giusti.
Accanto a questo l’Europa ha un altro problema relativo a 27 paesi con lingue diverse tra loro, culture diverse, legislazioni diverse. Da questo punto di vista sarebbe un importante investimento quello di integrare maggiormente le norme e gli ecosistemi informativi tra i paesi (il sistema finanziario ma perfino quello dei dati mobili togliendo il concetto di roaming a livello europeo, etc). Maggiore sarà la capacità dell’Europa di integrare i propri dati migliore sarà la propria competitività. Mentre dal punto di vista delle lingue le differenze in molti casi non sono banali, dal punto di vista dei dati numerici e strutturati la cosa potrebbe essere molto più semplice se integrando ecosistemi diversi si adottassero standard comuni sui formati, le etichette e descrizioni.
L’Italia infine da tutto questo è fuori completamente. Se prendiamo a riferimento un paese come la Spagna che per molti versi è simile e che un decennio fa ci rincorreva su molti settori oggi noi vediamo plasticamente la decadenza progressiva che ha compiuto il nostro Paese. Spendiamo molti soldi in cultura e prodotti tipici agricoli o settori industriali decotti e a basso valore aggiunto e quasi nulla sulle nuove tecnologie.
Gli incentivi all’adozione di nuove tecnologie alle imprese spesso si trasformano in denaro per comprare prodotti esteri e difficilmente in spinta a cambiare i sistemi di produzione e le catene del valore. D’altra parte è difficile cambiare la catena del valore se il business delle imprese italiane è sempre di più concentrato solo nei prodotti tipici e tradizionali relegandole a settori e prodotti che progressivamente vengono sempre più imitati e venduti a prezzi inferiori. Dal “Parmesan” alla pasta, un sistema industriale che fa sempre più fatica a combattere un falso che diventa sempre più competitivo con il vero per qualità e costi.
Non che dovremmo smantellare tutto ma se la ricchezza del futuro sono i dati abbiamo l’urgenza di trasformare a tappe forzate la nostra economia in una economia dei dati e dei servizi, magari sfruttando il fatto che se è vero che abbiamo una popolazione stagnante o in calo abbiamo una presenza in ogni paese dl pianeta di persone, originarie dall’Italia e non, interessate a parlare la nostra lingua e/o interagire con la nostra cultura contribuendo in tal modo ad aumentare il nostro patrimonio di dati.
IA, geopolitca e nuovi squilibri globali
La geopolitica dell’Intelligenza Artificiale sarà presto la geopolitica tout court. Foreign Affairs, in un articolo dal titolo emblematico “The AI Power Paradox” ad un certo punto afferma: “La stragrande maggioranza dei paesi non ha né i soldi né il know-how tecnologico per competere per la leadership nell’intelligenza artificiale. Il loro accesso all’intelligenza artificiale di frontiera sarà invece determinato dalle loro relazioni con una manciata di corporazioni e stati già ricchi e potenti. Questa dipendenza minaccia di aggravare gli attuali squilibri di potere geopolitici. I governi più potenti gareggeranno per controllare la risorsa più preziosa del mondo mentre, ancora una volta, i paesi del Sud del mondo rimarranno indietro. Questo non vuol dire che solo i più ricchi trarranno beneficio dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Come Internet e gli smartphone, l’intelligenza artificiale prolifererà senza rispetto dei confini, così come i guadagni di produttività che genererà. E come l’energia e la tecnologia verde, l’intelligenza artificiale andrà a beneficio di molti paesi che non la controllano, compresi quelli che contribuiscono alla produzione di input dell’intelligenza artificiale come i semiconduttori.”
L’articolo mette in evidenza come tra i soggetti che dovrebbero sedere intorno al tavolo della governance dell’AI ci siano anche le big-tech che per capacità di investimento e dati gestiti sono i veri motori di questa fase di cambiamento.
I Paesi che sono fuori dalla leadership di questa tecnologia rischiano una sempre maggiore dipendenza da quelli che la hanno, di veder ampliare il divario economico con i paesi più avanzati, di rimanere sempre più indietro rispetto all’innovazione globale e agli aumenti di produttività e, infine, di essere sempre più i bersagli di cyberattacchi potenziati da AI e in generale di perdere progressivamente potere di dissuasione militare in virtù dell’impiego sempre più elevato dell’AI nel settore.
Gli investimenti da soli non bastano
L’Italia non può permettersi di perdere anche questo treno, non può limitarsi ad essere un compratore di tecnologie (peraltro talvolta anche poco attento). Gli investimenti nell’ordine del miliardo annunciati dal governo non sono certo sufficienti a recuperare il gap ma ancora di più abbiamo visto che gli investimenti da soli non sono necessari. Prima di tutto è necessario che siano poste in essere tutte le azioni necessarie per rafforzare le imprese interne che lavorano su questi settori, il settore accademico, il sistema dell’istruzione tecnica che deve essere messo nella condizione di poter far uscire giovani in grado di muoversi con agilità in queste tecnologie emergenti.
Il settore pubblico deve promuovere l’adozione delle tecnologie AI favorendo le aziende e tecnologie dove ci siano competenze italiane, anche nei modelli open source.
A livello Europeo sarebbe importante che il nostro paese si faccia promotore di una integrazione forte su ecosistemi che possono condividere i dati e le conoscenze.
Conclusioni
Se i dati sono la misura principale della ricchezza è necessario che l’accesso da parte di soggetti esterni al nostro spazio economico venga limitato o vengano alzate delle barriere economiche affinché i nostri dati non arricchiscano aziende che successivamente ci vendono tecnologie AI. È come buttare nella pattumiera brillanti per sciatteria e distrazione e poi andarli a ricomprare come gioielli firmati a prezzi incredibili.
Note
- https://aiindex.stanford.edu/wp-content/uploads/2024/04/HAI_2024_AI-Index-Report.pdf ↑
- https://aiindex.stanford.edu/wp-content/uploads/2024/04/HAI_2024_AI-Index-Report.pdf ↑
- Il dato è raccolto attraverso una survey di Stack Overflow nella sua community. ↑
- https://www.hbritalia.it/homepage/2023/12/22/news/la-geografia-emergente-dellintelligenza-artificiale-15757/ ↑
- https://www.hbritalia.it/homepage/2023/12/22/news/la-geografia-emergente-dellintelligenza-artificiale-15757/ ↑