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Robotaxi e guida autonoma, perché l’italia rischia di restare al palo



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Waymo supera il milione di utenti dei robotaxi, Tesla rilancia la guida autonoma solo con telecamere, Uber si candida a piattaforma globale. Ma tra costi, fiducia fragile e vuoti regolatori l’Italia rischia di restare spettatrice

Pubblicato il 3 dic 2025

Maurizio Carmignani

Founder & CEO – Management Consultant, Trainer & Startup Advisor



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I robotaxi sono passati in pochi decenni dai laboratori di ricerca alle strade di diverse metropoli, con numeri e modelli di business molto diversi. Prima di capire perché l’Italia rischia di restare ai margini, conviene guardare come questa rivoluzione è nata e dove sta correndo.

Robotaxi, rivoluzione in corsa

Waymo supera il milione di utenti mensili, Tesla accelera sulla guida autonoma camera-only, Uber si candida come piattaforma globale dei robotaxi.
Ma tra costi elevati, fiducia fragile e regolazione incerta, la strada verso l’autonomia di massa è ancora lunga e l’Italia rischia di restare spettatrice.

Dal primo viaggio “senza mani” al mercato reale dei robotaxi. Nel 1995 un’auto della Carnegie Mellon percorse 3.000 miglia senza che nessuno toccasse il volante.
Trent’anni dopo, quella dimostrazione accademica ha trovato una forma industriale nelle strade di più città americane, dove i robotaxi circolano ormai come parte dell’ecosistema urbano.

Robotaxi dagli esperimenti di ricerca al mercato reale

Waymo, controllata da Alphabet, dispone oggi di circa 2.500 veicoli e ha superato 1 milione di utenti attivi mensili.
Una novità rilevante emersa negli ultimi mesi è la strategia di espansione di Waymo: invece di saturare una singola città, l’azienda distribuisce piccole flotte in più mercati per favorire la familiarità del pubblico e accelerare la curva di apprendimento.

Una strategia di espansione diffusa per i robotaxi

È una scelta che segna uno scarto strategico rispetto al passato e che rafforza l’idea di un’adozione progressiva, non concentrata.
Un secondo elemento riguarda la gestione delle flotte: Waymo ha iniziato a delegare una parte delle operazioni quotidiane – manutenzione, pulizia, ricarica, logistica – a partner industriali come Avis, segnalando l’emergere di una catena del valore più ampia e professionalizzata.

Dalla promessa tecnologica alla questione industriale

Questa evoluzione conferma quanto avevamo scritto evidenziando come la guida autonoma negli Stati Uniti stia diventando una questione industriale, economica e strategica, più che una semplice promessa tecnologica.

Fiducia e sicurezza dei robotaxi tra percezioni e dati

Tre quarti degli americani dichiarano di fidarsi poco dei robotaxi, però quando le persone li provano direttamente la percezione cambia radicalmente: la fiducia cresce di 56 punti percentuali.
Segno che il timore iniziale nasce soprattutto dalla scarsa familiarità con il mezzo.

Come cambia la percezione dopo la prima corsa

Questi numeri suggeriscono che l’esperienza diretta con i robotaxi è oggi il principale fattore di costruzione della fiducia, più di campagne informative o dichiarazioni degli operatori.

I dati reali sulla sicurezza raccontano una storia ancora più netta.
Uno studio condotto da Waymo e Swiss Re su oltre 25 milioni di miglia completamente autonome mostra che i robotaxi generano molte meno richieste di risarcimento rispetto ai guidatori umani, sia per danni materiali sia per lesioni personali.

In altri termini, quando il sistema funziona nelle condizioni per cui è progettato, il livello di sicurezza raggiunto dai veicoli autonomi supera già oggi quello medio della guida umana.
L’incidente che ha coinvolto Cruise nel 2023 dimostra però che la fiducia pubblica può crollare rapidamente: un singolo evento può bloccare anni di progresso.

Nel quadro si inserisce anche un punto chiave emerso dal dibattito internazionale: la sicurezza dei robotaxi potrebbe diventare in futuro un argomento di politica pubblica, non solo di mercato.
Se i livelli di sicurezza continueranno a superare quelli dei guidatori umani, i decisori potrebbero valutare la guida autonoma come uno strumento di riduzione strutturale degli incidenti stradali.

Modelli industriali della guida autonoma: Waymo, Tesla, Zoox e Wayve

Le strategie dei principali attori mostrano percorsi divergenti.
Waymo punta su un’architettura progettata per massimizzare la sicurezza in ogni condizione, una ridondanza sensoriale completa (l’auto non si affida mai a un solo tipo di sensore), una filiera industriale consolidata con partner dedicati e un modello operativo classificato come Livello 4 SAE, cioè un sistema capace di guidare senza supervisione umana all’interno delle aree autorizzate.

L’architettura hardware-ricca di Waymo

I suoi veicoli includono 13 telecamere, sei radar e quattro lidar, una configurazione progettata per massimizzare la sicurezza e ridurre l’incertezza percettiva.

L’approccio camera-only di Tesla

Tesla persegue un approccio opposto: ridurre l’hardware all’essenziale, eliminare lidar e radar, affidarsi esclusivamente a otto telecamere e a un software di percezione e controllo estremamente sofisticato.
Questo approccio, se dimostrato valido su larga scala, potrebbe abbattere in modo drastico i costi hardware.

Veicoli nativi e modelli generalistici

Zoox, di proprietà Amazon, propone un veicolo nativamente autonomo, simmetrico e senza volante.
Il design punta a un’esperienza d’uso continua, fino a 16 ore di operatività giornaliera, un modello “full-stack” in cui hardware, software e servizio sono integrati.

Wayve, nel Regno Unito, sviluppa una tecnologia basata su modelli generalistici addestrati su video, pronta a integrarsi in veicoli di serie.
La sua strategia riduce la dipendenza da mappe dettagliate, puntando a una guida autonoma più flessibile.

Queste traiettorie aggiornano gli scenari dei tre archetipi principali: hardware ricco, camera-only e veicolo nativo.
Un punto nuovo e potenzialmente decisivo è l’ipotesi che Waymo possa, in futuro, licenziare il proprio software ad altri costruttori sul modello di Android.
Se ciò avvenisse, il mercato della guida autonoma potrebbe spostarsi da una competizione tra flotte a una competizione tra ecosistemi software a confronto: Waymo, Tesla, Zoox e Wayve.

L’economia dei robotaxi e il problema dei costi

Nonostante i progressi, l’economia della guida autonoma resta estremamente fragile.
Oggi operare un robotaxi costa tra 7 e 9 dollari al miglio, contro i 2–3 dollari dei servizi ride-hailing tradizionali e circa 1 dollaro dell’auto privata.
La rimozione del conducente non basta a compensare i costi di hardware, sensori, chip AI, manutenzione, pulizia e infrastrutture.

Le analisi di McKinsey prevedono almeno dieci anni prima che i costi possano scendere sotto i 2 dollari al miglio.
Un veicolo avrebbe bisogno di scendere sotto i 50.000 dollari di costo di produzione per rendere sostenibile una flotta nazionale.

Un altro aspetto rilevante riguarda la gestione operativa: il ruolo dell’operatore remoto, che interviene in caso di situazioni incerte o non previste, resta fondamentale.
L’efficienza futura dipenderà anche dal numero di veicoli che ogni operatore potrà supervisionare.

Uber prevede una lunga fase di coesistenza tra robotaxi e driver umani, con la possibilità che la domanda complessiva di mobilità aumenti e richieda comunque più autisti nel medio periodo.

Uber, Nvidia e la nuova filiera dei robotaxi e della guida autonoma

Uber, che ha abbandonato lo sviluppo interno della guida autonoma nel 2020, punta ora a diventare la piattaforma globale di prenotazione dei robotaxi, sfruttando una base utenti di oltre 40 milioni di persone.
Il suo ruolo si estende oltre la mobilità tradizionale: ambisce a coordinare la domanda proveniente sia dai driver umani sia dai servizi autonomi.

Nvidia fornisce la potenza di calcolo che alimenta l’intero settore: GPU per l’addestramento, chip di bordo, infrastrutture di simulazione.
Tesla ha acquistato circa 100.000 GPU Nvidia per addestrare il proprio stack autonomo.
Questa centralità tecnologica rende Nvidia un attore sistemico, indipendente dalle oscillazioni dei singoli operatori.

Regole, sperimentazioni e il ritardo italiano sui robotaxi

Il Dipartimento dei Trasporti statunitense ha annunciato l’avvio di un quadro federale dedicato ai veicoli autonomi, ma il panorama resta frammentato tra norme statali e municipali.
La California conta due agenzie regolatorie per i robotaxi, mentre città come Seattle continuano a introdurre limitazioni.

Anche Londra e Tokyo stanno aprendo alla guida autonoma, affrontando sfide climatiche e di traffico molto diverse da quelle della West Coast.
L’Europa, vincolata da AI Act, GDPR e responsabilità civile, procede con maggiore cautela.
Il Regno Unito si propone come polo sperimentale grazie a un quadro più flessibile.

L’Italia rimane assente: nessuna sperimentazione urbana, nessun sandbox regolatorio, nessun progetto industriale rilevante.
La questione non è solo tecnologica, ma strategica: sicurezza stradale, trasporto pubblico locale, logistica urbana e impatti occupazionali richiedono scelte politiche lungimiranti.

Una rivoluzione dei robotaxi lenta ma irreversibile

I robotaxi stanno dimostrando livelli di sicurezza superiori a quelli dei guidatori umani e una crescente maturità industriale.
La sostenibilità economica e l’accettazione sociale restano il vero banco di prova.

Probabilmente nei prossimi anni si vedrà un consolidamento negli Stati Uniti, una rapida scalata in Cina e un’Europa a due velocità.
Il rischio, per l’Italia, è limitarsi a osservare da bordo strada una rivoluzione che altrove sta già prendendo forma.

La guida autonoma non dipenderà solo dagli algoritmi, ma dalle scelte politiche e industriali dei prossimi anni: se inserirla in una strategia nazionale o lasciare che sia una tecnologia sviluppata altrove, per altri obiettivi.

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