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Sovranità tecnologica: la nuova partita del potere globale



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La corsa alla sovranità tecnologica ridisegna gli equilibri globali. Stati Uniti e Cina guidano la trasformazione, mentre l’Europa è chiamata a definire una propria strategia digitale fondata su trasparenza, ricerca e governance etica dell’innovazione

Pubblicato il 4 nov 2025

Walter Tripi

Innovation Manager



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La guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina viene troppo spesso analizzata un argomento alla volta, o addirittura relegata al tema dei dazi. È invece un puzzle complesso fatto di open source, cavi sottomarini, quantum computing, dati e competenze.

In questo contesto frammentato, l’Europa è chiamata a scegliere tra essere spettatrice o co-protagonista.

La scintilla dei dazi e la corsa alla sovranità tecnologica

Nell’ottobre 2025, la tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina ha raggiunto un nuovo picco. Il presidente Trump ha annunciato l’imposizione di dazi del 130% su tutti i prodotti tecnologici provenienti da Pechino. La misura è arrivata in risposta al blocco cinese sull’export di terre rare, risorse fondamentali per la produzione di chip avanzati e tecnologie AI.

Questa escalation, però, è solo la parte visibile di uno scontro molto più articolato. È un errore ridurre la questione a una guerra commerciale: siamo di fronte a una corsa alla sovranità tecnologica, dove ogni scelta – normativa, infrastrutturale, educativa – può diventare un tassello decisivo del puzzle globale.

La doppia mossa di Pechino tra open source e quantum computing

Pechino ha risposto con una manovra multilivello. Da una parte, ha intensificato la produzione di modelli di intelligenza artificiale open source, avviata durante l’estate. Sistemi come “BaiLan” e “ZhiSheng” stanno guadagnando terreno nelle comunità di sviluppo e, secondo The Economist, potrebbero costituire la base tecnologica per oltre l’80% delle imprese statunitensi che cercano alternative più flessibili, economiche e – paradossalmente – meno esposte a vincoli geopolitici.

Dall’altra, Pechino investe massicciamente nel quantum computing, con l’ambizione di minare la supremazia crittografica americana. Se i progressi promessi si concretizzassero, gli algoritmi di sicurezza oggi considerati inviolabili potrebbero diventare obsoleti nel giro di pochi anni. Si tratta di un attacco indiretto ma potenzialmente destabilizzante: rendere vulnerabile l’architettura di sicurezza USA significa mettere in discussione l’intero impianto economico-digitale occidentale.

I dati come nuova arma del potere globale

Chi controlla dati, infrastrutture e innovazione guida l’intelligenza artificiale globale. È su questo punto che si misura oggi la vera egemonia. L’economia, pur centrale, è solo un riflesso di un conflitto più profondo.

I dati sono una vera fonte di potenza della competizione sino‑statunitense: non solo carburante per l’IA, ma leva per intelligence economica, guerra cognitiva e modellazione sociale su scala nazionale.

Il caso ByteDance (società creatrice di TikTok) ha già fornito segnali: nel 2022 dipendenti hanno tracciato giornalisti americani usando IP e geolocalizzazione, confermando capacità e incentivi ad attingere a dati sensibili dentro piattaforme consumer da centinaia di milioni di utenti. In un ecosistema regolato dalla “Legge d’Intelligence” cinese, dove organizzazioni e cittadini devono obbligatoriamente cooperare con l’apparato di sicurezza, la disponibilità di grandi basi dati diventa un moltiplicatore strategico che può estendersi dal feed all’algoritmo, fino alla selezione di target e alla modulazione delle narrative.

Per gli USA, ciò sposta la difesa dai soli chip ai flussi informativi: chi controlla raccolta, trasferimenti e uso dei dati controlla i gradienti che addestrano modelli, l’attenzione pubblica e, di riflesso, vantaggi economici e militari.

Le infrastrutture invisibili che sostengono l’intelligenza artificiale

Mentre dunque gli Stati Uniti fanno leva su Nvidia, sul CHIPS Act e su un ecosistema privato iper-performante, la Cina propone un modello di autosufficienza radicale, sostenuto dallo Stato e orientato al lungo periodo. In questa polarizzazione, il rischio è che si parli solo di prestazioni e mercato, lasciando in secondo piano gli elementi strutturali: chi costruisce l’infrastruttura, chi ne garantisce la sicurezza, chi stabilisce le regole d’uso.

La stessa IA è spesso narrata come qualcosa di etereo e intangibile. Ma dietro modelli generativi e calcoli predittivi c’è un mondo molto concreto fatto di cavi, energia, data center. Un dato su tutti: per sostenere il traffico AI previsto entro il 2040, saranno necessari oltre 100.000 miglia di nuovi cavi sottomarini. Eppure, se ne parla pochissimo.

Un caso emblematico è il Project Waterworth, avviato nel 2023 per estendere una dorsale privata tra Nord America, Europa e Asia. Il progetto sta proseguendo silenziosamente, ma con implicazioni enormi per la governance dei dati. Chi controlla questi cavi controlla il flusso, la velocità, l’accessibilità dell’informazione digitale su scala planetaria.

La geopolitica dei cavi è una delle partite meno raccontate ma più decisive di questa battaglia.

L’Europa tra neutralità e visione strategica

Nel mezzo di questa “tenaglia” tecnologica, l’Europa si trova in posizione vulnerabile. Senza una propria politica industriale e infrastrutturale autonoma, rischia di rimanere un semplice mercato di consumo, dipendente ora dagli USA, ora dalla Cina.

Il contesto normativo – con l’AI Act ormai in fase attuativa – mostra un’ambizione regolatoria importante, ma non basta. E, come già analizzato da colleghi su AgendaDigitale, rischia di essere addirittura un limite. Una strategia digitale europea deve andare oltre la compliance: servono investimenti in ricerca, data center, reti sottomarine, modelli linguistici locali ma serve principalmente una visione.

Oggi Bruxelles ha ancora un’occasione per diventare una “terza via”, quella della super-trasparenza e dell’affidabilità by design, ma il tempo per costruire un’IA che rifletta i valori europei si sta esaurendo.

Apply AI e la via europea alla sovranità digitale

Una delle iniziative più promettenti in tal senso è il programma Apply AI, promosso da un consorzio europeo per lo sviluppo di modelli open source orientati alla sicurezza, trasparenza e privacy-by-design. L’obiettivo non è solo competere, ma proporre un’architettura AI coerente con il quadro normativo europeo e con una governance etica.

In questa prospettiva, l’AI Act potrebbe trasformarsi da presunto freno a leva strategica, offrendo vantaggi competitivi in tutti quei settori dove la tracciabilità e la sicurezza del dato sono irrinunciabili: sanità, finanza, pubblica amministrazione.

Se il progetto Apply AI dimostrerà di poter scalare, potrebbe rappresentare il primo passo verso una sovranità digitale europea, fondata non sulla quantità, ma sulla qualità.

Nel quadro tracciato, però, appare piuttosto evidente che a mancare in Europa siano troppi pezzi del puzzle. E che, in realtà, nessuno sembri tenere conto in modo sufficiente di tutti questi aspetti nella propria globalità.

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