Le stablecoin europee stanno affrontando sfide significative nel loro sviluppo, con l’Unione Europea che fatica a tenere il passo con il successo delle controparti americane. Di fronte a questa difficoltà, un consorzio di banche europee è sceso in campo per tentare di colmare il divario e lanciare una stablecoin conforme al regolamento MICA.
Ma riusciranno a risolvere le criticità normative e a competere con le soluzioni private come quelle statunitensi?
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Le stablecoin al centro del dibattito nonostante il boom crypto
Nonostante la crescita marcata dei prezzi di Bitcoin e delle principali altcoin negli ultimi mesi, il tema delle stablecoin rimane al centro del dibattito europeo e mondiale.
Questo può sembrare a prima vista un po’ paradossale: in genere le stablecoin, per loro stessa natura, hanno l’obiettivo di rimanere “ancorate” ad una valuta fiat, e questo le renderebbe a prima vista un po’ più noiose, per così dire, di altri criptoasset dalla volatilità ben più accentuata.
In realtà, è evidente a tutti che le stablecoin da un lato stanno rivoluzionando il sistema dei pagamenti, e quindi stanno costringendo anche i player più recalcitranti (in particolare, le banche europee) ad adeguarsi, e dall’altro lato pongono delle importanti questioni di politica economica e di geopolitica a cui gli Stati e gli organismi sovranazionali sono di fatto obbligati a dare risposta.
In particolare, nel Vecchio continente lo sviluppo delle stablecoin sta avvenendo sostanzialmente lungo due direttrici: il progetto dell’euro digitale (che non è una stablecoin, beninteso, ma che entra in diretta concorrenza con le stablecoin per alcune sue caratteristiche e funzioni) e lo sviluppo delle stablecoin “private” MICA-compliant da parte delle banche europee.
L’accelerazione dell’euro digitale e i dubbi sulla tempistica
Se consideriamo lo sviluppo dell’euro digitale, parrebbe che le istituzioni europee abbiano compreso come in questa occasione non ci si possa muovere con i soliti elefantiaci tempi della burocrazia a cui ci hanno abituati UE e BCE, pena rimanere ancora una volta indietro rispetto al resto del mondo e aggiungere il settore crypto e blockchain alla lunga lista di “treni” persi negli ultimi decenni (in ordine sparso: le dot com a cavallo degli anni Duemila, le big tech negli anni 2010-2020, l’intelligenza artificiale che a molti sembra già un’occasione persa per l’Europa). Da qui la robusta accelerata che il progetto dell’euro digitale ha avuto negli ultimi mesi.
Infatti, in attesa del regolamento europeo che dovrebbe arrivare a metà 2026 (tra quasi un anno, quindi), la BCE ha selezionato i fornitori per realizzare le componenti dell’euro digitale, tra cui l’italiana Almaviva, incaricata di sviluppare l’app e il relativo kit di sviluppo software[1].
Restano le perplessità sul fatto che le istituzioni europee siano effettivamente in grado di portare a termine in tempi brevi un progetto realmente efficace sull’euro digitale – non solo per loro responsabilità, ma anche perché occorre coordinare una ventina di Stati con strumenti normativi europei non certo adeguati ad assumere decisioni in breve tempo.
Il Genius Act americano cambia le regole del gioco
La realtà, che probabilmente è ben nota nelle capitali europee ma che a nessuno piace ammettere, è che il progetto dell’euro digitale è invecchiato di colpo qualche mese fa, nel momento in cui gli USA hanno approvato il Genius Act, provvedimento con cui l’amministrazione Trump ha scelto di puntare con decisione sulle stablecoin private.
Il sistema previsto dal Genius Act prevede infatti che le stablecoin denominate in dollari siano ancorate ai Treasury, ovverosia al debito pubblico americano, debito pubblico che è dunque divenuto l’asset sottostante al sistema dei pagamenti digitali globali dato che le principali stablecoin (USDT di Tether e USDC di Circle su tutte) sono ancorate al dollaro[2].
Come ha giustamente rilevato Stefano Caselli, Dean della SDA Bocconi, il disegno americano “è un’operazione di geopolitica valutaria raffinata, simile al contenimento costruito dopo la Seconda guerra mondiale. Ogni stablecoin emessa obbliga ad acquistare titoli di Stato americani: è un meccanismo perfetto per continuare a stampare debito e allo stesso tempo rafforzare il ruolo del dollaro”[3].
I limiti strutturali dell’approccio europeo alle stablecoin
È evidente che l’Unione Europea e la BCE non potevano automaticamente perseguire la medesima strada tracciata dal Genius Act, prima di tutto perché manca (o quantomeno è largamente insufficiente) un debito pubblico europeo di dimensioni tali da poter fungere da collateral per le stablecoin denominate in euro, e si comprende quindi che ci si sia orientati su altri modelli, come quello delle CBDC (Central Bank Digital Currency), i quali tuttavia paiono del tutto sub-ottimali, tanto che persino la Cina – che ha introdotto lo yuan digitale negli anni 2020-2021 – ha dovuto impiegare tempo e notevoli risorse per promuovere un utilizzo effettivo della propria digital currency[4].
Regolatori europei ostili mentre cresce il dominio del dollaro
Alla luce di quanto sopra, ci si aspetterebbe che nel Vecchio continente quantomeno non si ostacolino i progetti europei legati allo sviluppo delle stablecoin: è la stessa BCE, d’altronde, ad avere più volte avvertito circa i rischi di stabilità e sovranità monetaria derivanti da una diffusione significativa delle stablecoin ancorate al dollaro, le quali potrebbero compromettere la capacità dell’Unione Europea di controllare i flussi finanziari interni[5]. E invece, come se non fosse già piuttosto difficile rispettare le rigorose (troppo?) condizioni previste dal regolamento MICA per emettere una stablecoin all’interno dell’UE, non passa settimana senza che la presidente della BCE Christine Lagarde, o il Comitato europeo per il rischio sistemico (Esrb) o il presidente della Consob Paolo Savona lancino qualche anatema sui rischi che le stablecoin comportano.
È chiaro quindi che, se sia dal punto di vista normativo (regolamento MICA), sia dal punto di vista del sentiment dei regolatori (che, appunto, continuano sostanzialmente a sferrare duri attacchi contro le stablecoin) l’ambiente non risulta essere per nulla favorevole per gli operatori, non occorre stupirsi del fatto che le stablecoin in dollari proliferano mentre quelle ancorate all’euro sono molto poco diffuse, se non sostanzialmente assenti in ambito internazionale.
Il divario numerico e la fuga dei talenti europei
Infatti, se le stablecoin rappresentano complessivamente il 7,5% della capitalizzazione dei criptoasset a livello globale, le stablecoin denominate in euro rappresentano lo 0,2% del totale[6]. Non si può quindi negare che ci sia un problema a livello europeo, e forse occorrerebbe chiedersi anche perché due italiani come Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini di Tether operino in tutto il mondo tranne che in Europa – emblematica rappresentazione, se mai ce ne fosse bisogno, di come il nostro continente sia ormai incapace di trattenere i propri talenti.
Nove banche europee lanciano la stablecoin in euro
In questo quadro poco incoraggiante, tuttavia, una buona notizia c’è: un consorzio di nove banche europee, tra cui UniCredit e Banca Sella, ha annunciato il lancio di una stablecoin denominata in euro e conforme al regolamento MICA[7]. Ciò è significativo anche perché potrebbe segnare una svolta rispetto a quell’atteggiamento ondivago (del tipo “un passo avanti e uno indietro”) che il sistema bancario europeo ha avuto finora nei confronti del mondo crypto e blockchain, anche se molto dipenderà dall’esito finale del progetto, con l’emissione della stablecoin prevista per la seconda metà del 2026.
Se poi altre grandi banche europee si uniranno al consorzio, allora si potrà effettivamente definire il progetto come una “risposta europea” alle stablecoin made in USA. Resta da vedere se il sistema normativo europeo – regolamento MICA in primis, ma anche le disposizioni antiriciclaggio e la normativa complessiva applicabile agli operatori finanziari europei – sia effettivamente in grado di promuovere questo tipo di crescita o rappresenti, come molte volte è successo in passato, uno svantaggio competitivo nei confronti di Stati e di sistemi normativi più flessibili ed aperti all’innovazione.
Note
[1] I. Bufacchi, La BCE stringe sull’euro digitale. Almaviva scelta fra i fornitori, Il Sole 24 Ore, 3 ottobre 2025
[2] V. Lops, Euro digitale alla dura sfida con le stablecoin americane, Il Sole 24 Ore, 1 ottobre 2025
[3] Ibidem
[4] Si veda al riguardo G. Iuvinale, N. Iuvinale, Yuan digitale: la Cina sfida il dominio finanziario globale, Agenda Digitale, 25 giugno 2025
[5] R. Fatiguso, La BCE spinge per lo stop alle stablecoin multiple: timore per il cripto crash, Il Sole 24 Ore, 1 ottobre 2025
[6] L. Serafini, Stablecoin a 300 miliardi: il 7,5% del mercato crypto, Il Sole 24 Ore,19 settembre 2025
[7] A. Graziani, Stablecoin, risposta Ue agli Usa: da nove banche valuta in euro, Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2025












