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Longevità e AI, vivere più a lungo e meglio: cosa serve davvero



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Intelligenza artificiale, farmaci off-label e politiche adeguate promettono di allungare la vita in salute. Ma per ottenere un vero dividendo della longevità servono regole coordinate, investimenti in prevenzione, telemedicina interoperabile e una supervisione clinica che resti centrale e umana ovunque

Pubblicato il 14 ott 2025



tecnologie per gli anziani digital divide aree interne medicina della longevità

La longevità non è soltanto una questione di salute: rappresenta anche un potente motore economico e sociale. Si parla di longevity dividend, un concetto nato in ambito accademico per descrivere i benefici economici e sociali derivanti dal rallentamento dell’invecchiamento biologico, dalla minore incidenza delle malattie legate all’età e dalla possibilità di vivere più a lungo in buona salute.

Il rallentamento della crescita e il dividendo possibile

Nel più recente World Economic Outlook, il Fondo Monetario Internazionale delinea uno scenario di base in cui, a causa del calo demografico e in assenza di interventi, la crescita globale del PIL tra il 2025 e il 2050 potrebbe rallentare di circa 1,1 punti percentuali rispetto ai livelli pre-pandemia. La buona notizia? Investire in invecchiamento sano e longevità potrebbe compensare gran parte di questo freno, restituendo fino a 0,4 punti percentuali di PIL all’anno.

Ma per ottenere un “dividendo della longevità” occorre una strategia di lungo periodo: politiche che migliorino la formazione, la flessibilità lavorativa, l’età effettiva di pensionamento, la partecipazione femminile al lavoro, ma soprattutto politiche sanitarie che migliorino la salute dei lavoratori over 50.

Serve dunque un nuovo paradigma: una medicina che non si limiti a prolungare la vita, ma che sappia estendere gli anni vissuti in salute – la cosiddetta health span.

È questo l’obiettivo primario della medicina della longevità, che si integra sempre più con tecnologia e intelligenza artificiale. Non a caso, negli ultimi anni l’IA è diventata protagonista in questo ambito: dai laboratori di ricerca biomedica alle piattaforme di analisi genetica, fino ai wearable capaci di monitorare in tempo reale funzioni vitali, risposta insulinica o variazioni cardiache sospette.

Startup e centri di ricerca stanno sviluppando farmaci scoperti da algoritmi, modelli predittivi dell’invecchiamento biologico e strategie di prevenzione personalizzate.

L’obiettivo è sempre lo stesso: intervenire prima che compaiano i sintomi, rallentando – e dove possibile invertendo – i processi dell’invecchiamento.

Questa è la promessa del futuro. Ma nell’attesa, cosa si può fare oggi?

Mentre software di intelligenza artificiale e reti neurali analizzano milioni di molecole per verificarne l’efficacia contro l’invecchiamento cellulare, nella pratica clinica cresce sempre di più l’uso off-label di farmaci: prescrizioni al di fuori delle indicazioni autorizzate, rivolte a diverse categorie di pazienti o con modalità di somministrazione innovative. Tra gli esempi più noti ci sono la metformina, nata per il diabete di tipo 2 ma oggi utilizzata anche per disturbi metabolici; la rapamicina, un immunosoppressore con effetti sul metabolismo cellulare; e i senolitici, farmaci capaci di eliminare le cellule senescenti.

In Italia l’uso off-label è possibile, ma solo in circostanze eccezionali: previa prescrizione individuale, con consenso informato e sotto la responsabilità diretta del medico prescrittore. Mancano quindi linee guida che ne regolino l’uso sistematico o di tipo preventivo, ad esempio, su individui perfettamente sani.

Questo è soltanto un esempio di come la spinta all’innovazione stia mettendo sotto pressione le regole esistenti.

Un altro esempio è costituito da app e piattaforme digitali che offrono analisi predittive basate su dati biometrici, stili di vita e profili genetici, con l’obiettivo di proporre interventi personalizzati.

Quando una simile tecnologia orienta decisioni diagnostiche o terapeutiche, smette di essere un semplice strumento di benessere e rientra a pieno titolo nel perimetro dei dispositivi medici e, se i servizi sono erogati a distanza, della telemedicina – un ambito in cui l’Europa non dispone ancora di regole chiare e sistemi interoperabili tra loro.

Emerge quindi un’esigenza cruciale: fare in modo che le regole esistenti si parlino tra loro e si adattino alle nuove tecnologie.

Ad esempio, le norme introdotte dall’AI Act – alcune delle quali sono già entrate in vigore lo scorso 2 agosto 2025 – dovranno coordinarsi con quelle del Regolamento (UE) 2017/745 sui dispositivi medici (MDR). In questa direzione va l’appello di MedTech Europe (1 agosto 2025), che ha sollecitato le autorità europee affinché l’implementazione dell’AI Act rispetti e si armonizzi con la normativa attuale sui dispositivi medici, evitando sovrapposizioni che rischierebbero di rallentare l’accesso dei pazienti a tecnologie già sicure e potenzialmente decisive.

In altre parole, tra farmaci utilizzati fuori indicazione e nuove piattaforme digitali basate sull’IA, la frontiera della longevità corre più veloce delle regole. Ma c’è un altro punto fermo che non può essere messo in discussione: la medicina, o meglio la “vera medicina”.

Il Garante per la protezione dei dati personali, lo scorso 30 luglio 2025, ha richiamato alla prudenza nell’uso dell’IA per l’interpretazione dei dati clinici, ribadendo l’importanza di una supervisione medica qualificata e di un impiego responsabile delle tecnologie.

Il cardiologo Massimo Gualerzi, pioniere con oltre vent’anni di esperienza nella medicina anti-age e della longevità e co-founder di The Longevity Suite, incarna proprio questa visione: “Non basta aggiungere anni alla vita: dobbiamo aggiungere vita agli anni. La tecnologia può accelerare il percorso, ma è la medicina che deve restare la bussola”. E aggiunge: “La tecnologia può indicare la strada ma solo il medico può accompagnare il paziente passo passo, motivarlo, adattare la terapia e capire quando cambiare direzione. La longevità non nasce in laboratorio: si costruisce nella relazione con il paziente e con una medicina personalizzata.”

La longevità può quindi diventare molto più di un traguardo personale: può essere un motore di salute pubblica, equità sociale e crescita economica. Perché ciò accada servono un quadro regolatorio coerente, politiche pubbliche capaci di investire nella prevenzione, ma soprattutto serve una pratica clinica che rimanga “umana”. L’obbiettivo finale rimane lo stesso: vivere più a lungo, sì, ma, anche e soprattutto, vivere meglio.

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