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Caso Durov, così i Governi sposano la sorveglianza digitale di massa



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Formalizzate le accuse nei confronti di Pavel Durov, il fondatore di Telegram arrestato in Francia. Ora emerge con maggiore chiarezza anche come questo episodio si manifesti come cartina tornasole di un una pericolosa e crescente tendenza di controllo statale nel digitale. E non riguarda solo Telegram o la Francia

Pubblicato il 29 ago 2024

Fulvio Sarzana

Avvocato, professore Uninettuno



telegram arresto pavel durov

Ora che sono state formalizzate le accuse nei confronti di Pavel Durov, il fondatore di Telegram possiamo vederci un po’ più chiaro in una vicenda che può segnare la storia di internet.

Ed emerge con maggiore chiarezza anche come questo episodio si manifesti come cartina tornasole di un una pericolosa e crescente tendenza di controllo statale nel digitale. E non riguarda solo Telegram o la Francia o Paesi autoritari.

Telegram founder Pavel Durov facing charges over allowing criminal activity on messaging app

Le accuse della Francia a Durov

Fuori dal linguaggio burocratico dei comunicati stampa ciò che traspare dalle dichiarazioni delle istituzioni coinvolte che i motivi reali della detenzione di Durov (ora rilasciato con cauzione e obbligo di restare in Francia), siano da ricercare nella mancata collaborazione con l’Autorità giudiziarie e di polizia e dal mancato rispetto delle norme di comunicazione preventiva di sistemi crittografici secondo le norme francesi.

La stessa procura francese competente per il caso, dopo che la testata politico aveva rilevato nella giornata di ieri che i fratelli Durov erano stato oggetto di un mandato di arresto a far data dal marzo 2024, ha poi precisato che le indagini vanno avanti dal febbraio 2024, dopo che invece si era in precedenza fatto riferimento ad una indagine avviata l’8 luglio di quest’anno.

I motivi di tale indagine devono ancora una volta ricercarsi, sempre secondo la Procura francese, in una scarsa collaborazione che Durov avrebbe dimostrato in diversi Paesi collegati tra di loro nel sistema Eurojust, tra i quali viene citato in particolare il Belgio (che ospita tra le altre cose al proprio interno le maggiori istituzioni europee).

Il regolamento UE per la tutela dei minori

Curiosamente, la vicenda si interseca con la presentazione e la discussione in sede Europea, di uno degli atti più controversi degli ultimi anni, ovvero Il Regolamento per la prevenzione e la lotta contro l’abuso sessuale su minori presentato dalla commissaria Europea per gli affari interni Ylva Johansson.

Lo scopo dichiarato di questa proposta è prevenire gli abusi sessuali online sui minori (pedopornografia) attraverso alcune misure, tra cui una serie di regole per le piattaforme digitali sul rilevamento e la segnalazione del materiale proveniente da abusi sessuali su minori all’interno dell’Unione Europea.

Dopo la presentazione della proposta diverse Associazioni di tutela dei diritti civili hanno coniato il termine Chat Control, che ora viene usato anche dai media per parlare di questo regolamento.

La principale novità tecnica della proposta è la scansione lato client dei file che si intendono scambiare gli utenti di un sevizio di messaggistica, tale scansione implica di fatto che ogni dispositivo diventi una sorta di agente di sorveglianza, analizzando continuamente i contenuti generati da chi lo usa.

Un sistema di sorveglianza preventiva generalizzato che per il momento sembra essere stato posto in una fase di arresto procedimentale, avendo subìto l’iter di approvazione della norma una battuta d’arresto a luglio di quest’anno.

E, Durov, tra i motivi principali per i quali è stato sottoposto a fermo, è stato proprio accusato di complicità nello scambio di materiale riguardante minori, per non aver evidentemente saputo prevenire tale scambio.

Il tema della sorveglianza

Le istituzioni europee nel frattempo si sono lavate le mani della questione, affermando che la questione riguarda non il “ famigerato” Digital services act, e le accuse di censura mosse alla Commissione, ma il diritto penale interno della Francia, come anche prevede il diritto europeo, dimenticando però da un lato i princìpi generali in tema di divieto di obbligo di sorveglianza preventiva da parte degli intermediari e di mancata responsabilità degli operatori che non intervengono nelle conversazioni stabilite dalle norme Europee, e soprattutto non considerando le conseguenze di questa presa di distanza dalla posizione francese.

Se, infatti qualsiasi paese, europeo e non, ha il diritto di derogare ai princìpi generalizzati di riservatezza delle comunicazioni per perseguire determinati reati, imponendo agli operatori che non conoscono tali comunicazioni di analizzarle per evitare il commettersi di reati e se il metro di valutazione per il concorso in un reato deve essere la collaborazione con le Autorità, vuol dire che le Autorità di un qualsiasi paese hanno il diritto di voler ascoltare preventivamente le conversazioni dei propri cittadini (o anche di qualsiasi altro soggetto), pena in caso contrario la reclusione.

La questione quindi, lungi dal rappresentare un fatto interno alla Francia riguarda la riservatezza e la protezione della corrispondenza di tutti i cittadini, di qualunque paese essi siano, e l’impressione è che in Europa (e non solo) si aggiri uno spettro che, questo caso, non ha nulla a che vedere con il comunismo.

Questo può anche voler dire che se un qualsiasi Stato da cui si accede a Telegram, ritiene di voler acquisire le conversazioni private del Presidente Macron, che è un assiduo utilizzatore di Telegram, o di Zelensky, o del Presidente Biden, così come le comunicazioni riservate dell’esercito ucraino e questo dispongano le Autorità di Polizia di quel paese, nessun intermediario si potrà rifiutare d’ora in poi, se esiste in quel paese una norma penale che ciò consenta.

L’iniziativa transalpina ha anche altre conseguenze, prime fra tutte il desiderio di emulazione dei singoli Paesi, ed infatti immediatamente l’India e soprattutto l’Indonesia, i cui cittadini rappresentano il terzo paese per numeri di collegamenti a Telegram, hanno annunciato di essere in procinto di operare un ban a Telegram dei propri cittadini.

La tendenza al controllo-sorveglianza sulle piattaforme – e attraverso di loro su dati e opinioni dei cittadini – è già segnata, in effetti.

  • Paesi come la Turchia e la Russia hanno richiesto che i social network abbiano dirigenti locali con sede nel Paese, in quelle che alcuni hanno definito “leggi-ostaggio”.
  • Il 17 agosto X ha dichiarato che avrebbe chiuso il suo ufficio in Brasile, dopo che un giudice aveva minacciato un dirigente di arrestarlo se l’azienda non avesse rispettato l’ordine di rimuovere i contenuti che i tribunali brasiliani consideravano disinformazione e incitamento all’odio.
  • Ad agosto, invece, Mark Zuckerberg, ceo di Meta, ha espresso rammarico per aver ceduto alle pressioni del governo statunitense durante la pandemia di covid-19. Zuckerberg ha dichiarato che la Casa Bianca ha insistito affinché Meta censurasse alcuni contenuti legati al covid, inclusi post satirici, cosa che ora ritiene sia stata “sbagliata”. Ha affermato che in futuro Meta sarà più determinata nel resistere a pressioni simili da parte di qualsiasi amministrazione governativa.

Chissà: certo è che tutto conferma la crescita di tensioni tra Governi e piattaforma, intorno ai nostri dati, comunicazioni e opinioni, da Occidente a Oriente. Con metodi in parte diverse e in parte sempre più pericolosamente simili.

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