Il Garante per la protezione dei dati personali ha scritto una lettera al presidente di Confcommercio in cui, sulla base di verifiche effettuate da organi di polizia e corpi specializzati, ha attenzionato l’installazione diffusa di sistemi di videosorveglianza all’interno di esercizi commerciali, con inquadrature estese a spazi pubblici, proprietà contigue e soggetti estranei all’impresa.
Ci sono state sanzioni fino a migliaia di euro. Il problema è che quello della videosorveglianza selvaggia nei negozi senza questione mai sana.
Indice degli argomenti
Il problema privacy della videosorveglianza nei negozi
Le immagini, secondo quanto riferito, verrebbero conservate oltre i limiti temporali normativamente consentiti, associate in alcuni casi a captazioni audio, talvolta impiegate per monitorare lavoratori senza la garanzia di accordi sindacali o provvedimenti autorizzativi.
I problemi riscontrati
Cinque i problemi:
- Telecamere installate senza cartelli informativi visibili (mancanza di trasparenza verso clienti e visitatori), onerose per le normative sulla privacy.
- Microfoni attivi integrati nei sistemi di videosorveglianza, che implicano una raccolta audio non sempre giustificata o autorizzata.
- Riprese esterne ai confini privati, ossia rivolte verso spazi pubblici o proprietà altrui, con possibili violazioni della privacy di terzi.
- Monitoraggio dei dipendenti senza autorizzazione: l’uso delle telecamere per controllare i lavoratori può infrangere anche le garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori, in assenza di accordi sindacali o autorizzazioni formali.
- Conservazione immagini oltre il tempo consentito
Le ispezioni condotte da Polizia locale, Guardia di Finanza e altre forze dell’ordine hanno portato a numerose sanzioni, spesso di importi consistenti.
Le linee guida 3/2019 Edbp
Il Garante ha ricordato le Linee guida 3/2019 del Comitato europeo per la protezione dei dati (Edpb), che offre esempi pratici per comprendere come gestire la relazione tra videosorveglianza e trattamento dei dati alla luce del GDPR.
Perché è un problema?
Il dato, nella sua materialità percettiva, assume così una funzione differente da quella dichiarata: da strumento di tutela patrimoniale a veicolo di potere sul corpo. Ogni sistema di sorveglianza disloca una forma di sovranità percettiva, attraverso cui il soggetto economico acquisisce facoltà di osservazione continua, valutazione muta, conservazione disgiunta. L’identità, intercettata dal dispositivo, produce un’esistenza parallela nel dominio archivistico del titolare, che elabora il corpo secondo logiche proprie.
“Massima disponibilità e collaborazione da parte di Confcommercio per monitorare eventuali abusi ed irregolarità nell’uso delle telecamere di videosorveglianza presso gli esercizi commerciali. La Confederazione si impegna a sensibilizzare i propri associati sull’utilizzo corretto di questi sistemi di controllo nel pieno ed assoluto rispetto della privacy”: così Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio.
Diritto costituzionale e videosorveglianza privata
Il diritto costituzionale, nell’assenza di mediazione pubblica, rinviene qui un punto di crisi.
L’articolo 97 della Costituzione include, nella propria formulazione, un principio ordinatore dell’esercizio di ogni funzione capace di produrre effetti incidenti sulla sfera giuridica altrui: il potere, per operare, necessita di forma, controllo, responsabilità. La funzione pubblica, quale articolazione dell’interesse generale, richiede apparati stabili, regole trasparenti, vincoli conoscitivi accessibili.
Ogni attività idonea a incidere sull’autodeterminazione, sulla libertà, sulla dignità, presuppone un’organizzazione formalizzata, una legittimazione esplicita, una finalità tracciabile nel circuito democratico. L’installazione di dispositivi di videosorveglianza da parte di soggetti privati, al di fuori di ogni investitura pubblica, priva di coordinamento con autorità istituzionali, determina una frizione strutturale con tale principio. Il soggetto economico acquisisce un potere invasivo senza entrare nella forma del dovere: osserva, conserva, cataloga, interpreta, senza obbligo di giustificazione pubblica.
L’asimmetria tra intensità percettiva e assenza di legittimazione rivela una disfunzione sistemica. La videosorveglianza privata, nella sua materialità, realizza effetti giuridici assimilabili a quelli derivanti da attività ispettive, investigative, cautelari. Tuttavia, nessun elemento la riporta all’orizzonte pubblico dell’autorità. In tale condizione, l’interesse commerciale si espande fino a sovrapporsi all’interesse generale alla sicurezza, pur senza transitare per il vaglio istituzionale.
Il lessico della sicurezza, quando applicato alla videosorveglianza privata, consente una traslazione semantica che attribuisce all’apparato osservante una funzione protettiva implicita, svincolata da una fonte pubblica.
Vari protocolli attuati dal 21 gennaio 2025, promossi dal Ministero dell’Interno, incentivano l’adozione di misure di sicurezza più stringenti—come la videosorveglianza potenziata—ma rischiano di entrare in conflitto con il quadro delle garanzie privacy e del lavoro.
L’argomento secondo cui la videosorveglianza commerciale agirebbe in funzione della sicurezza assume rilievo nell’uso pubblico del discorso giustificativo, ma non riceve fondamento giuridico sufficiente entro il perimetro costituzionale.
Sicurezza e privacy della videosorveglianza commerciale
La sicurezza, in quanto bene relazionale e non riducibile a utilità individuale, implica una titolarità esclusivamente pubblica, poiché dipende da criteri di imparzialità, verificabilità e universalità. Il soggetto privato non riceve alcun conferimento diretto o indiretto in ordine alla tutela della sicurezza in senso pieno, ma agisce in forza di interessi propri, pur legittimi.
L’apparato osservante installato in ambito economico realizza una funzione tecnica, attraverso cui l’imprenditore regola l’ambiente d’impresa secondo esigenze difensive o organizzative. In tale attività, tuttavia, la funzione assegnata all’apparato non coincide con quella che compete al sistema pubblico di protezione.
L’articolo 41 Cost. definisce l’iniziativa economica come attività libera, purché compatibile con la sicurezza, la libertà e la dignità umana.
La protezione dell’iniziativa privata non comporta, al suo interno, un diritto a esercitare un controllo visivo generalizzato. Ogni atto idoneo a produrre un ordinamento interno dello spazio frequentato da soggetti terzi, mediante tecnologie invasive e capacità di archiviazione non sindacabili, attiva un circuito di potere che eccede i confini funzionali dell’impresa. In presenza di dispositivi installati per motivi interni all’organizzazione aziendale, l’acquisizione sistematica di informazioni su soggetti diversi dal titolare non segue alcun criterio di proporzionalità costituzionale, poiché si fonda sull’unilateralità, sull’assenza di contraddittorio e sull’impossibilità di esercitare opposizione ex ante.
Il passaggio logico che congiunge la sicurezza all’osservazione tecnica presuppone una confusione strutturale tra funzione e strumento. La disponibilità materiale del mezzo non attribuisce al soggetto che lo utilizza alcuna funzione di protezione collettiva. La sorveglianza visiva, nel contesto dell’impresa, si innesta su una logica proprietaria che non assume natura pubblica per contiguità con il concetto di sicurezza.
L’argomento centrale parte da un’osservazione fondamentale: c’è una differenza sostanziale tra avere uno strumento tecnologico (le telecamere) e avere la funzione sociale di proteggere la collettività. Pensate alla differenza tra un cittadino che possiede un’arma e un poliziotto che porta un’arma per servizio: lo stesso oggetto assume significati completamente diversi a seconda del ruolo istituzionale di chi lo utilizza.
Questa confusione nasconde una distinzione cruciale che è utile comprendere per analizzare criticamente la videosorveglianza negli spazi commerciali.
Quando un commerciante installa telecamere di sorveglianza giustificandosi con motivi di sicurezza, compie un salto logico che merita di essere esaminato attentamente. Il fatto di possedere la tecnologia della videosorveglianza non conferisce automaticamente il diritto morale o sociale di controllare e valutare il comportamento delle persone che frequentano il suo spazio.
Egli decide chi osservare, come interpretare i comportamenti, quali criteri utilizzare per valutare le persone, come conservare e utilizzare le informazioni raccolte. Tutto questo avviene senza che la società gli abbia mai conferito esplicitamente questo potere. È come se il proprietario di un negozio decidesse di diventare, unilateralmente, una sorta di agente di sicurezza pubblica, ma senza formazione, senza controlli, senza procedure standardizzate e senza dover rendere conto a nessuno delle sue decisioni. La sua unica legittimazione deriva dal fatto di essere proprietario dello spazio fisico, ma questo diritto proprietario viene esteso arbitrariamente fino a comprendere il controllo delle persone che transitano in quello spazio.
Dalla sovrapposizione fra iniziativa economica e finalità protettiva nasce un’asimmetria giuridica: il soggetto privato acquisisce un potere penetrante sulla persona senza attraversare i canali della responsabilità istituzionale. In tal modo, l’ambiente economico si struttura come spazio disciplinare, nel quale la libertà si contrae per effetto della visibilità imposta, senza mediazione normativa, senza procedura, senza imputazione funzionale.
Fino a che punto il consenso implicito del cliente può legittimare la video sorveglianza dei negozi oltre i confini fisici dello spazio commerciale?
Il problema giuridico si articola intorno a una questione apparentemente tecnica ma sostanzialmente costituzionale: fino a che punto il consenso implicito del cliente può legittimare l’estensione del controllo elettronico oltre i confini fisici dello spazio commerciale? La risposta a tale quesito coinvolge l’intera architettura dei diritti fondamentali e richiede un’interpretazione sistematica della giurisprudenza costituzionale, di legittimità e amministrativa.
La qualificazione dello spazio commerciale come “luogo aperto ma privato” racchiude una complessità dogmatica che la Corte Costituzionale ha affrontato indirettamente attraverso la propria giurisprudenza sui diritti inviolabili. Tale categoria giuridica sfugge alle tradizionali dicotomie del diritto pubblico, collocandosi in quella zona grigia dove l’autonomia privata incontra l’esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti. La Consulta ha chiarito attraverso la propria giurisprudenza consolidata che l’apertura al pubblico di uno spazio privato genera limitazioni costituzionali all’esercizio dei poteri proprietari, limitazioni che assumono particolare rilevanza nell’ambito della sorveglianza elettronica.
Questa impostazione trova il proprio fondamento nell’interpretazione degli articoli 13 e 14 della Costituzione secondo un’accezione che trascende la lettera del testo per cogliere lo spirito profondo dei principi di inviolabilità.
La Cassazione sulla video sorveglianza nei negozi
Il consenso implicito del cliente che accede volontariamente allo spazio commerciale costituisce il fulcro della costruzione dogmatica elaborata dalla giurisprudenza di legittimità. La Cassazione ha precisato che tale consenso trova la propria ratio nella natura contrattuale del rapporto che si instaura tra cliente ed esercente, rapporto che legittima forme di controllo funzionali alla tutela del patrimonio aziendale.
Tuttavia, proprio la natura contrattuale di tale rapporto delimita i confini entro cui opera il consenso implicito: esso possiede una valenza giuridica circoscritta al perimetro fisico della proprietà commerciale, oltre il quale perde la propria efficacia legittimante. La ragione giuridica di tale limitazione risiede nel fatto che il contratto commerciale crea obbligazioni reciproche tra le parti, ma tali obbligazioni operano esclusivamente entro l’ambito territoriale dove si svolge il rapporto contrattuale stesso.
L’estensione del controllo privato oltre i confini proprietari trasforma radicalmente la natura giuridica dell’attività svolta: da legittima manifestazione dell’autonomia contrattuale, essa diventa appropriazione indebita di prerogative pubblicistiche. Qui emerge la profonda intuizione della teoria dell’illegittima estensione territoriale del dominio percettivo, teoria che il Garante per la protezione dei dati personali ha sviluppato attraverso la propria disciplina amministrativa.
Quando la video sorveglianza commerciale inquadra porzioni di suolo pubblico o proprietà altrui, essa realizza un’operazione di privatizzazione di spazi che per definizione appartengono alla collettività o a soggetti terzi. Tale operazione viola simultaneamente i principi di inviolabilità della libertà personale e del domicilio secondo l’interpretazione analogica che la dottrina costituzionale più autorevole ha elaborato.
La questione della videosorveglianza commerciale sottopone il costituzionalismo contemporaneo a una prova di tenuta che rivela l’inadeguatezza delle categorie interpretative tradizionali.
Occorre interrogarsi sul rapporto tra l’evoluzione della sensibilità collettiva verso il controllo tecnologico e la permanenza dei vincoli costituzionali di tutela della persona. La progressiva normalizzazione sociale delle pratiche di sorveglianza pervasiva potrebbe far ritenere che anche i parametri costituzionali di protezione debbano adeguarsi a tale mutamento, subendo un processo di erosione parallelo.
Tuttavia, tale impostazione misconosce la funzione strutturale dei diritti fondamentali, che conservano la propria efficacia normativa indipendentemente dalle variazioni del consenso sociale.
La soglia costituzionale di tollerabilità mantiene infatti la propria rigidità proprio perché i diritti fondamentali operano quale argine alle pressioni omologanti della maggioranza. L’accettazione diffusa della sorveglianza continua attiene al piano della legittimazione politica e sociale, mentre la valutazione costituzionale si muove su registri diversi, impermeabili alle fluttuazioni dell’opinione pubblica.
Il vero nodo problematico risiede altrove: nella verifica della compatibilità sistemica tra l’architettura costituzionale dei diritti e l’ubiquità dello sguardo privato.
Da quanto sin qui esposto, si ricava che la videosorveglianza commerciale altera qualitativamente la configurazione dello spazio pubblico attraverso modalità che eccedono le tradizionali forme di controllo autoritativo.
Mentre la sorveglianza di matrice pubblica attiva circuiti di responsabilità democratica e procedure di garanzia, quella commerciale opera secondo dinamiche di mercato che si sottraggono a tali vincoli di legittimazione. Tale differenza qualitativa produce effetti costituzionalmente rilevanti che meritano considerazione autonoma.
La sorveglianza commerciale ridefinisce infatti gli spazi della libertà attraverso meccanismi che precedono ogni intervento normativo formale, agendo mediante una logica di accumulazione silente di informazioni comportamentali.
Proprio tale carattere di invisibilità istituzionale conferisce a questa forma di controllo la capacità di riscrivere materialmente gli equilibri costituzionali senza attivare i tradizionali meccanismi di tutela democratica.


































































