Se è vero che ogni Giornata Internazionale della Riparazione è unica a modo suo, quella di quest’anno è stata particolarmente importante perché si è tenuta poche settimane dopo l’entrata in vigore della tanto attesa direttiva UE 2024/1799. Il provvedimento, pubblicato il 10 luglio 2024 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, istituisce norme comuni per promuovere la riparazione di alcune categorie di oggetti nei Paesi membri dell’Unione, oltre ai limiti previsti dalla garanzia legale e a un costo “ragionevole” per il consumatore.
Obbligo di riparabilità: i benefici per consumatori, ambiente, lavoro
Le aspettative, come è giusto che sia, non potrebbero essere più elevate, come testimoniato anche dall’ampio dibattito suscitato dalla nuova direttiva (che dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 31 luglio del 2026). Rendere obbligatoria la riparabilità degli oggetti può avere conseguenze importanti dal punto di vista dei benefici finanziari per i consumatori, benefici per l’ambiente e creazione di nuovi posti di lavoro specializzati. Inoltre, il diritto alla riparazione può fornire ai consumatori un maggiore controllo rispetto agli oggetti che utilizzano e che sono connessi alla Rete: oggetti che, come ho approfondito anche nel mio libro “L’uomo senza proprietà” – possono riconoscere e impedire in maniera del tutto automatica l’utilizzo di pezzi di ricambio non autorizzati dal produttore.
“I software che impediscono la riparazione degli oggetti connessi tramite pezzi di ricambio di terze parti hanno tuttora un impatto molto significativo sul diritto alla riparazione, ma anche per tutto quello che riguarda il mercato dei prodotti ricondizionati” afferma a tal proposito Cristina Ganapini, coordinatrice della coalizione europea per il diritto alla riparazione – Right to Repair Europe, da me raggiunta telefonicamente alcuni giorni dopo la chiusura delle attività per la giornata internazionale. Ed è proprio questa ricorrenza che ha permesso alla “coalizione” di rilanciare il dibattito sulle lacune della nuova direttiva europea, attraverso un webinar pubblico che ha riunito alcuni esperti e attivisti del settore insieme a rappresentanti delle istituzioni europee, tra cui il Commissario Didier Reynders.
“La giornata internazionale della riparazione è stata la più partecipata di sempre, con oltre duemila eventi organizzati in tutto il mondo – prosegue Ganapini durante la nostra conversazione – L’evento, quest’anno, ha offerto anche l’occasione per portare le critiche sollevate dalle organizzazioni di Right To Repair Europe all’attenzione delle autorità di Bruxelles, che hanno riconosciuto alcune delle lacune presenti nella direttiva, come il fatto che la maggior parte dei prodotti non sono protetti da nessuna legge, e, anche quando lo sono, spesso la mancata disponibilità dei pezzi di ricambio e il costo eccessivo rischiano di costringere i consumatori ad acquistare prodotti nuovi, anziché riparare quelli danneggiati”.
Come spesso accade, quando si tratta di norme europee, l’entrata in vigore di una direttiva o regolamento è solo l’inizio di un percorso dai risultati incerti e dai ritorni non facilmente preventivabili. Nel caso della direttiva sulla riparazione i prossimi anni saranno decisivi non solo per estendere le categorie e il numero di prodotti tutelati dalle nuove norme, ma anche per definire meglio che cosa si intende per prezzo “ragionevole” di un pezzo di ricambio, lasciato volutamente indefinito. Il diritto alla riparazione, infatti, rischierebbe di trasformarsi in un diritto privo di una reale applicabilità, se il rapporto tra il costo dei pezzi di ricambio e il costo della sostituzione dei vecchi oggetti con i nuovi dovesse mantenersi su proporzioni “irragionevoli” per il consumatore.
Ostacoli alla riparabilità degli oggetti connessi
Una volta definito “cosa” sarà possibile riparare e “quanto” costerà farlo, sarà inevitabile affrontare il “come“: la possibilità di riparare un oggetto è oggi fortemente limitata dalla disponibilità di tecnici specializzati, di centri di raccolta e riparazione autorizzati, dal design e dalle caratteristiche dei beni, oltreché dalla presenza di limitazioni decise dal produttore e applicate in maniera automatica tramite software presenti all’interno degli oggetti connessi. Aspetti che la nuova direttiva ha, nuovamente, il demerito di non definire con precisione, e su cui si attende da qui ai prossimi anni un animato dibattito fra tutti i portatori di interesse.
Non è tutto: la riparabilità degli oggetti connessi potrebbe essere fortemente ostacolata da modalità di comunicazione non trasparenti o fuorvianti da parte dei produttori. Alcuni di questi, infatti, sono soliti giustificare le restrizioni imposte tramite software all’utilizzo di pezzi di ricambio non originali con presunti rischi riguardanti la sicurezza e la privacy dei clienti. “Tutto questo – afferma Ganapini – non è supportato dai fatti. All’interno del nostro network le segnalazioni di questo tipo di problematiche si contano sulle dita di una mano rispetto a migliaia di interventi di riparazione eseguiti da operatori indipendenti, mentre il rischio maggiore per la sicurezza delle persone che usano oggetti connessi deriva da tecniche di obsolescenza programmata che possono rapidamente renderli insicuri e inutilizzabili”.
La vera posta in gioco, dal punto di vista individuale, è la ridefinizione dei limiti sul controllo delle persone nei confronti degli oggetti di loro proprietà. Ostacolare la riparabilità di un oggetto, sia esso connesso o analogico, tramite tecniche di obsolescenza programmata, politiche commerciali aggressive, limitazioni del software o indisponibilità di centri di riparazione autorizzati sul territorio sono pratiche che limitano fortemente il diritto delle persone a decidere se, quando e come dismettere un bene in proprio possesso. Non poter riparare, o poterlo fare solo a determinate condizioni, significa non poter decidere in libertà circa il destino delle proprie “cose”, anche a distanza di pochi mesi dall’acquisto.
Rescindere il legame di controllo fra produttori e oggetti
L’estensione del diritto alla riparazione a tutte le categorie di oggetti connessi è ancora più cruciale, perché le merci digitali sono in grado di impedire automaticamente l’innesto di pezzi di ricambio e di segnalare qualsiasi possibile violazione al proprio produttore. Rescindere questo legame di controllo fra produttori e oggetti, o perlomeno ricondurlo entro limiti più “ragionevoli”, rappresenterebbe a mio giudizio un ulteriore passo per rallentare quella “disgregazione” della proprietà delle persone sugli oggetti, che il digitale ha esponenzialmente accelerato nel corso degli ultimi anni. O, almeno, avrebbe come effetto quello di porre il problema al centro delle preoccupazioni e degli interessi dei consumatori.
Riparabilità e ambiente: come cambiano i consumi delle nuove generazioni
Da economica a legale, da legale a tecnologica, la questione se sia fattibile estendere ulteriormente il diritto alla riparazione assume inevitabilmente anche connotati generazionali e culturali. Nel libro “L’uomo senza proprietà” sono giunto alla conclusione che è molto difficile prevedere quali saranno le volontà delle nuove generazioni in merito al rapporto con gli oggetti: a oggi non è dato sapere se la maggior parte dei giovani chiederà a gran voce maggiori diritti e maggiori possibilità di riparare liberamente i propri oggetti, o se essi si limiteranno a sostituirli a un ritmo ancora più veloce di quanto non avvenga già ora. Non è dello stesso parere, tuttavia, Cristina Ganapini: “se da un lato le nuove generazioni non possiedono le medesime competenze né il medesimo impulso alla riparazione che avevano quelle precedenti – conclude, al termine del nostro scambio – dall’altro lato esse sono molto più consapevoli delle conseguenze dell’attuale modello di consumo sull’ambiente. Nella nostra esperienza, i più giovani si dimostrano molto ricettivi quando sono messi nelle condizioni di poter esercitare un diritto che, solitamente, non sanno neanche di avere”.