Con una copertura potenziale tra l’11% e il 22% della domanda elettrica nazionale entro il 2050, secondo l’analisi di EY, l’energia nucleare torna protagonista per la transizione energetica e decarbonizzazione. Secondo il PINC – Programma illustrativo nucleare della Commissione Europea pubblicato il 12 giugno 2025 nell’ambito dell’iniziativa Euratom, il nucleare insieme alle fonti rinnovabili di energia è leva per la transizione green, e si stimano investimenti per 241 miliardi di euro entro il 2050.
Ecco come funziona, dove si usa ora, la situazione in Italia, lo scenario futuro e gli impatti ambientali dal punto di vista della sostenibilità.
Indice degli argomenti
Come funziona l’energia nucleare
Per molti aspetti, una centrale nucleare non è molto diversa da una centrale a carbone. In entrambi i casi si utilizza il calore proveniente da una fonte di energia esterna (uranio o carbone) per fare evaporare l’acqua la cui espansione in una turbina permette la conversione finale in energia elettrica.
La principale differenza risiede nel fatto che la “caldaia”, in cui si genera il calore, è un reattore nucleare. Un boiler a uranio, in sostanza.
Che cos’è l’uranio “arricchito”
Dentro al reattore nucleare la sorgente iniziale di energia è l’uranio. L’uranio è un elemento che si trova con relativa facilità in natura e che, essendo molto pesante è per sua natura instabile, e tende a “smantellarsi” da solo. Se lasciato in pace, infatti, l’uranio (come molti altri elementi pesanti) tende a decadere lentamente da solo. In presenza però di un “aiutino”, è possibile dare il via a un processo che porta a uno smantellamento più rapido, che rilascia energia più velocemente. Per farlo, basta creare le condizioni affinché il nucleo dell’atomo di uranio assorba un ulteriore neutrone.
Come funziona la fissione nucleare
Questo lo porta a diventare ancora più instabile, a tal punto da “scoppiare” (in gergo tecnico, questa è la reazione di fissione).
Da questo evento si generano alcuni prodotti di fissione (atomi molto radioattivi, che decadono poi nel tempo) e, crucialmente, altri 2 o 3 neutroni ad alta energia, che andranno ad essere assorbiti da altri nuclei di uranio, mantenendo in vita le reazioni.
L’insieme di queste reazioni porta inoltre alla generazione di molto calore, che viene appunto utilizzato per fare evaporare acqua e infine convertito in energia elettrica, il prodotto finale desiderato.
Le varianti (isotopi) di uranio
In natura si trovano due principali varianti (isotopi) di uranio, che hanno caratteristiche molto simili, ma che si distinguono per il numero di neutroni nel nucleo: l’uranio-235 e l’uranio-238, dove il numero a fianco al nome indica quanti neutroni e protoni si trovano nel nucleo dell’atomo.
Per molti aspetti si comportano in modo identico, ma, per quel che riguarda il loro utilizzo, nelle centrali nucleari presentano due differenze principali:
- l’uranio-235 è molto più facile da gestire in una centrale nucleare. La sua reazione di fissione è più facile da ottenere e più prevedibile;
- l’uranio-235 è però molto meno comune in natura: in media, circa lo 0.7% dell’uranio estratto è uranio-235, il resto è uranio-238. Per questo, nella maggior parte dei casi è necessario “arricchire” l’uranio, aumentando la frazione di U-235 a circa il 3-5% (i canadesi usano una tecnologia che costituisce l’eccezione alla regola). Il resto dell’U-238 viene definito “uranio impoverito” e si utilizza in applicazioni, sia civili che militari, dove sono richiesti materiali ad elevatissima densità.
L’U-235 come combustibile principale dell’energia nucleare
Nella maggior parte delle centrali in operazione e in costruzione oggi utilizzano l’U-235 come combustibile principale. Questo richiede non soltanto la necessità di importare uranio, ma anche di avere le potenzialità di arricchirlo. È da questo che sono nate le discussioni con l’Iran quando questo ha deciso di dotarsi di centrali nucleari.
Nonostante la capacità di arricchire l’uranio fino ai livelli necessari per usi civili non implichi direttamente la potenzialità di produrne anche per scopi militari, i macchinari utilizzati sono fondamentalmente gli stessi.
Iran, siti nucleari colpiti da Israele: cos’è successo
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 Israele ha lanciato un’offensiva denominata “Leone nascente” contro l’Iran, colpendo tra altri target anche alcuni impianti nucleari del Paese asiatico. Sono stati svolti attacchi aerei e operazioni di sabotaggio da parte del Mossad. In particolare, a Natanz nella provincia di Esfahan è stato colpito il principale sito di arricchimento dell’uranio.
Redazione
Misure di sicurezza nelle centrali nucleari moderne
Dal 1986, anno rimasto nella memoria di tanti per il tragico incidente alla centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina, il tema della sicurezza delle centrali nucleari è stato centrale nelle discussioni attorno a questa tecnologia. Nella storia dell’energia nucleare sono avvenuti tre incidenti molto gravi: oltre quello di Chernobyl si ricordano storicamente quello di Three Miles Island negli Stati Uniti d’America e quello di Fukushima in Giappone.
Le centrali nucleari sono in realtà sistemi dagli standard di sicurezza estremamente elevati già da molti anni. Gli avvenimenti di Fukushima ne sono di fatto una prova: di fronte a uno dei terremoti più forti degli ultimi anni, seguito da uno tsunami di dimensioni storiche, solo una delle numerose centrali nucleari giapponesi ha subito danni ingenti, che comunque sono stati largamente confinati all’interno del perimetro della centrale (purtroppo non tutti, ed è riconosciuto che il fatto che il vento in quei giorni soffiasse in direzione del mare abbia contributo a ridurre i danni).
Energia nucleare di terza generazione
La maggior parte delle centrali in costruzione oggi sono di “terza generazione”, che si distinguono da quelli di generazioni precedenti per alcuni miglioramenti in termini di gestione del combustibile e di efficienza energetica, ma principalmente per un maggiore livello di sicurezza.
In particolare, nei design di reattori appartenenti alla terza generazione si è cercato il più possibile di applicare sistemi di sicurezza cosiddetta “passiva”, ovvero che non richiedono interventi di operatori umani o, più in generale, che non necessitano di attuatori.
In generale, se comunque purtroppo la certezza assoluta di non subire incidenti non esiste, i reattori in funzione e in costruzione oggi hanno standard talmente elevati da rendere questi eventi estremamente improbabili, e mettono in atto livelli di sicurezza tali che, anche in caso di incidenti, la probabilità di danneggiare chi vive in prossimità della centrale è molto ridotta.
Le ultime innovazioni tecnologiche nel settore nucleare
Al di là di quanto sia in attività o in costruzione oggi, il progresso nella ricerca sta comunque portando nuove tecnologie che, nelle previsioni degli addetti ai lavori, dovrebbero portare benefici riguardo i principali limiti delle tecnologie attuali.
I reattori di nuova generazione: Smr e Gen IV
Ad oggi, costi e tempi di costruzione rappresentano il principale tallone d’Achille della tecnologia del nucleare.
Diverse analisi hanno portato a risultati scoraggianti. La maggior parte dei progetti di centrali nucleari nel mondo (con la parziale eccezione della Cina) viene completata in grande ritardo e con costi di molto superiori alle previsioni.
Questo è soprattutto vero per i progetti più recenti in occidente: i casi di Flamanville in Francia, di Hinkley Point C in Regno Unito, di Olkiluoto in Finlandia e di Vogtle negli Stati Uniti hanno fatto scuola in tal senso.
Se le ragioni per questi ritardi sono molteplici e sarebbe semplicistico pensare che siano inevitabili, una parte della comunità dell’energia nucleare ha deciso di imparare dalle esperienze dell’industria delle rinnovabili (e, più in generale, del settore manifatturiero). Invece di concentrarsi su pochi grandi reattori, che come tanti mega-progetti sono facilmente soggetti a ritardi e incrementi di costi, meglio realizzare tanti reattori più piccoli, producendoli in serie.
Questo è l’idea che sta alla base del concetto degli Small modular reactors (SMR), piccoli reattori modulari per i quali ci si aspetta che l’industrializzazione del processo di produzione possa portare a una riduzione sia dei costi che dei tempi di costruzione.
Lo scenario degli Smr
Se questo ragionamento appare certamente logico e funzionale, la situazione degli Smr è ancora tutta da definirsi, soprattutto per i paesi occidentali. Tralasciando i modelli sviluppati e costruiti in passato per usi militari (principalmente su sottomarini e portaerei), ad oggi sono numerosi i candidati in lizza.
Dai produttori più storici del settore come Hitachi, Westinghouse, Rolls Royce e Toshiba ad attori completamente nuovi quali NuScale, Newcleo e TerraPower, senza dimenticare Rosatom e la China National Nuclear Corporation.
Se da un lato il fatto che così tanti attori siano attivi nel settori lascia ben presagire e porta comunque ad aumentare le probabilità che almeno alcuni dei design risultino vincenti, dall’altro, l’affollamento del mercato rischia di essere una condizione pericolosa. Infatti potrebbe rendere difficile, per ciascun singolo attore, arrivare ai volumi di mercato, e quindi di produzione, che porterebbero ai risultati sperati in termini di riduzioni di costi e tempi.
Se l’innovazione degli SMR sta nella dimensione del reattore e, soprattutto, nelle possibilità di industrializzazione dei processi di produzione e cantierizzazione, il concetto di reattori di quarta generazione (Gen IV) porta alla definizione di design di reattori che presentano sostanziali differenze rispetto a quelli attuali.
Design Gen IV per l’energia nucleare
Una parte dei design Gen IV mantiene i principi dei reattori attuali, applicando modifiche con l’obiettivo principale di aumentare le temperature in gioco e, quindi, l’efficienza di conversione.
È questo il caso dei reattori a gas ad alta temperatura (HTGR) e dei reattori ad acqua supercritica (SCWR).
La seconda parte dei design Gen IV fa uso del principio dei reattori “veloci”, così definiti in quanto sono progettati in modo da non rallentare i neutroni prodotti dalle reazioni di fissione, in modo da rendere utilizzabile anche l’U-238 come combustibile.
Il vantaggio consiste nel moltiplicare la capacità di utilizzare il combustibile nucleare disponibile.
Lo svantaggio: si tratta di design inerentemente più complessi da gestire, che costringono all’uso di fluidi come sali fusi o piombo fuso che hanno proprietà particolarmente adatte a questi reattori ma anche importanti criticità.
Alcuni design Smr sono di fatto assimilabili a dei reattori di quarta generazione. In particolare, il reattore Natrium di TerraPower e l’HTR-PM della cinese China Huaneng.
La fusione nucleare: progresso scientifico e sfide future
Finora abbiamo parlato di fissione nucleare, il processo che sfrutta la poca stabilità dei nuclei di atomi molto pesanti (come, appunto, l’uranio). Non è però l’unico modo di sfruttare l’energia contenuta negli atomi della materia: esiste anche la fusione.
Il principio della fusione nucleare è noto da tempo ed è quello che alimenta le stelle.
Nella parte più “alta” della tavola periodica, il principio si inverte. Infatti, nuclei più pesanti hanno energie inferiori. Quindi “fondere” due nuclei piccoli in uno più grande comporta rilascio di energia.
Il salto più alto si ottiene fondendo due atomi di idrogeno per ottenerne uno di elio. Ogni reazione di questo tipo genera quantità di energia enormi, superiori a quelle generate dalle reazioni di fissione.
In linea di principio la fusione nucleare ha tutto quello che serve. La risorsa di partenza, l’idrogeno, è l’elemento più abbondante nell’universo (e anche sulla terra, visto che si trova nell’acqua). Il sistema è inerentemente sicuro, visto che fondamentalmente si spegne da solo in caso di problemi.
Nella pratica, purtroppo, le cose non sono così semplici. Al di là della disponibilità della risorsa di partenza (gli isotopi dell’idrogeno necessari per la reazione, il deuterio e il trizio, non sono in realtà così facili da reperire), non è facile “convincere” due nuclei di idrogeno ad avvicinarsi a tal punto da fondersi.
Per farlo servono temperature e/o pressioni molto elevate. Per dare un’idea, nella tecnologia utilizzata dal progetto Iter si prevede di raggiungere temperature nell’ordine dei 150 milioni di gradi.
Lo sviluppo delle tecnologie di fusione nucleare
La situazione riguardo lo sviluppo delle tecnologie di fusione nucleare è da tempo fumosa.
La tecnologia della fusione a contenimento magnetico, quella considerata oggi più “mainstream”. Portata avanti dal consorzio del progetto Iter, ha promosso sviluppi considerevoli e si avvicina ogni giorno di più al risultato.
Ma, tra gli esperti del settore, si tende a scherzare dicendo che “la fusione è sempre a 50 anni di distanza”. Nonostante gli sforzi e gli sviluppi, la disponibilità commerciale di questa tecnologia appare sempre tanto, troppo lontana.
Ad oggi, il reattore Iter prevede di raggiungere le sue tappe principali nel 2035 e 2039. Ma il suo obiettivo non sarà la produzione di energia elettrica.
Ciò avverrà solo a valle della costruzione del reattore dimostrativo Demo, che ad oggi si prevede sia in grado di verificare l’immissione di energia elettrica in rete non prima del 2048.
Il progetto dell’Eni
Negli ultimi anni però altri attori del settore si sono lanciati in questa sfida, e gli annunci roboanti non sono mancati. Eni, per esempio, ha dichiarato che, insieme alla startup del Mit, avrà un reattore a fusione nucleare funzionante entro il 2035.
Trattandosi di tecnologie molt innovative e di un settore ancora tutto da esplorare, è davvero difficile comprendere quale sia il reale potenziale della fusione nucleare. E quanto realistiche siano le previsioni che lo vedono disponibile commercialmente (ed economicamente sostenibile) entro il 2040. E non sono in pochi ad esprimere perplessità al riguardo.
Impatti ambientali dell’energia nucleare e gestione delle scorie nucleari
Dopo quella della sicurezza e della gestione di eventuali incidenti, la tematica delle “scorie nucleari” è probabilmente quella più calda e controversa nelle discussioni attorno a questa forma di energia.
La questione dei rifiuti radioattivi che vengono come prodotti come conseguenza dell’utilizzo dell’energia nucleare per produrre energia è certamente spinosa.
In generale, si distinguono vari tipi di rifiuti radioattivi a seconda dell’intensità della radiazione che emettono; in particolare, si definiscono rifiuti a bassa, media e alta intensità.
Soluzioni per la gestione delle scorie nucleari ad alta attività
I rifiuti a bassa e media intensità hanno le loro problematiche di gestione, ma sono certamente il minore dei problemi.
Anche se in Italia ancora non si sa esattamente quale sarà il destino di questo tipo di rifiuti, è opportuno notare che non solo altri Paesi si sono già dotati di depositi, ma anche che essi sono prodotti anche da altre fonti (principalmente mediche, ma non solo). Quindi sarebbe inopportuno legare la discussione su di essi alla sola energia nucleare.
Il discorso è invece diverso per le scorie nucleari ad alta attività, il che fondamentalmente vuole dire le barre di uranio esausto. Queste sono fortemente radioattive, ma lo rimangono per molti anni (anche se questa radioattività tende a calare esponenzialmente col tempo). Per molto tempo generano una quantità di calore tale da richiedere sforzi attivi per il raffreddamento. E sono prodotte praticamente esclusivamente dalle centrali nucleari. Fortunatamente non si tratta di grandi quantità.
Gli Stati Uniti, il più grande produttore di energia nucleare al mondo, generano 2000 tonnellate di rifiuti ad alta intensità all’anno. Sono 60mila da quando hanno iniziato a produrre energia nucleare. Starebbero dunque dentro a un deposito ampio quanto un campo da calcio e profondo 10 m. Non piccolo, ma, rispetto alla quantità di energia generata (e, per esempio, allo spazio occupato dalle ceneri derivanti dalla combustione del carbone), è un’inezia.
Rifiuti energia nucleare: una gestione complessa
Rimane tuttavia il fatto che si tratta di rifiuti che rimangono radioattivi per decine di migliaia di anni, e la cui gestione è per questo molto complessa.
Nonostante si utilizzi il nucleare come fonte di energia dagli anni ‘50, solo un Paese al mondo, ad oggi, ha un deposito geologico adatto a contenere i rifiuti nucleari ad alta intensità in modo definitivo: la Finlandia.
Ad oggi, purtroppo, nessun altro Paese ha raggiunto questo obiettivo. Non solo: ad oggi, solo la Svezia ha cominciato la costruzione del proprio deposito di scorie. Invece Francia e Svizzera hanno dei piani concreti per farlo.
Nel resto del mondo, per ancora solo parole. La situazione è effettivamente pienamente rappresentativa della dimensione del problema: non è impossibile (qualcuno lo ha fatto) ma nemmeno semplice (è famosa in questo senso la “casetta delle scorie” citata da Alessandro Masala durante una discussione con Elly Schlein sul tema, che rappresenta una evidente sovra-semplificazione della tematica).
Nucleare in Italia
La situazione si fa ovviamente ancora più complessa in Italia, dove anche il progetto per un deposito per le scorie di bassa e media intensità si è arenato completamente di fronte alla mancanza di disponibilità da parte dei comuni indicati da Sogin come adatti a ospitare tale deposito.
Viene da chiedersi, vista la situazione, chi si renderà disponibile ad ospitare un deposito geologico per i rifiuti ad elevata intensità. Nonostante siano certamente diverse le posizioni sul tema, ad oggi il problema di cosa fare dei rifiuti radioattivi, sia di quelli che già abbiamo che di quelli che sarebbero ipoteticamente generati da future centrali nucleari, è molto meno grave e urgente del cambiamento climatico.
Al netto di tutte le altre preoccupazioni e dubbi, bloccare oggi un ritorno al nucleare in Italia in funzione della complessità della gestione delle scorie appare quanto meno miope.
Sostenibilità ed energia nucleare: un bilancio ambientale, economico e sociale
Le centrali nucleari sono impianti complessi ma fondamentalmente sicuri. Al netto della questione legata ai rifiuti radioattivi ad alta attività, per i quali esistono ancora alcuni punti di domanda riguardo la gestione, la sostenibilità ambientale di questi impianti è elevata.
Le emissioni di inquinanti sono infatti sostanzialmente nulle, quelle di gas serra anche. Nelle analisi non si considerano pari a zero perché vengono contate anche le emissioni durante tutto il ciclo di vita (sia quelle necessarie per la costruzione e lo smantellamento degli impianti, che quelle legate all’estrazione e alla lavorazione dell’uranio).
A parte qualche elemento non trascurabile ma nemmeno critico, quale le necessità importanti di acqua di raffreddamento e la conseguente alterazione degli ecosistemi acquatici che vengono per questo influenzati, si può dire, con ragionevole certezza, che le centrali nucleari abbiano le carte in regola per diventare dei campioni della transizione energetica.
Tuttavia cerchiamo di capire perché invece l’industria stenti a decollare, e perché vi siano tuttora così tanti dubbi al riguardo.
Le perplessità sull’energia nucleare
Al di là delle preoccupazioni legate alla sicurezza e alla gestione delle scorie, comprensibili per numerose ragioni, ma per lo più infondate nel contesto odierno, i veri problemi ancora irrisolti dell’energia nucleare sono due: i costi e i tempi di costruzione.
Tutti i progetti di centrali nucleari in occidente (Unione Europea e Stati Uniti) degli ultimi 20 anni sono stati dei disastri da questi punti di vista.
La centrale di Flamanville, in Francia, è entrata in produzione (e tuttora non è pienamente operativa) alla fine del 2024, con 12 anni di ritardo e per un costo totale di 13 miliardi di euro. Circa il quadruplo del budget iniziale.
Olkiluoto in Finlandia ha subito un destino simile: inaugurata a fine 2022, ha subito 12 anni di ritardi e ha visto anch’essa i costi moltiplicarsi dagli iniziali 3 ai finali 12 miliardi di euro.
La centrale di Hinkey Point C nel Regno Unito, il cui costo iniziale preventivato era già sostanzialmente più alto dei progetti precedenti (circa 30 miliardi di euro per due reattori). Il suo completamento era originariamente previsto per il 2027. Ma, secondo le ultime stime, non entrerà in produzione prima del 2030. E costerà attorno ai 40 miliardi di euro.
Negli Stati Uniti non è andata meglio alla centrale di Vogtle, i cui due reattori di nuova costruzione sono entrati in funzione rispettivamente nel 2023 e nel 2024 (invece che nel 2016 e 2017) e sono costati 30 miliardi di dollari (invece che 14). E in Georgia sono stati anche fortunati, perché i reattori sono stati completati. Il progetto dell’estensione della centrale di Jacksonville in Sud Carolina, la cui costruzione era iniziata ufficialmente nel 2013, è stato abbandonato nel 2017 a seguito del fallimento della Westinghouse, l’azienda americana leader nel settore.
L’eccezione cinese
Non va però così in tutto il mondo. La Cina sta costruendo centrali nucleari con una costanza impressionante (anche se comunque sono in ritardo sugli obiettivi). Inoltre, gli stessi modelli di reattore che in Francia e Finlandia hanno dato tanti problemi, sono stati installati con relativa velocità nella stessa China (Tiashan) e negli Emirati Arabi Uniti.
Anche la Corea del Sud ha tuttora un track record sostanzialmente positivo, e i cantieri per le centrali nucleari turche sembrano procedere in linea con le aspettative.
Il ritorno all’energia nucleare in Italia
Il “futuro nucleare” che ci attenderebbe in Italia, dunque, sarebbe più simile alle esperienze di Francia e Finlandia, o a quelle di Cina e Medio Oriente? Sembra che fino agli anni ‘80 in occidente si completassero senza problemi, mentre oggi sono sfide quasi insormontabili.
Le ragioni si possono riassumere così:
- perdita del know-how;
- cambiamento del contesto politico ed economico;
- requisiti di sicurezza.
Perdita del know-how
La crisi dell’industria del nucleare che è seguita al disastro di Chernobyl ha portato alla perdita di competenze.
La costruzione di una centrale nucleare è un’impresa di grandissima complessità, per cui sono necessarie numerose competenze tecniche specialistiche, ma anche una elevatissima capacità di gestione dei progetti.
Cambiamento del contesto politico ed economico
L’Europa degli anni ‘70 era molto diversa da quella odierna. Soprattutto, nel bene e nel male, più “statalista”: il piano di costruzione di centrali nucleari francese, noto come “piano Messmer”, fu guidato interamente dallo stato francese.
Questo ha varie implicazioni. Da un lato parliamo di un contesto in cui vi erano molte meno possibilità di opposizioni locali rispetto ad oggi. Dall’altro, lo stato ha notoriamente un accesso al credito molto più a buon mercato delle aziende.
Questo sembra un dettaglio, ma, secondo alcune stime, se il governo inglese avesse fornito garanzie in forma di prestiti calmierati al progetto di Hinkley Point C, questo sarebbe potuto costare la metà.
Ci sta provando il governo della Repubblica Ceca, con il rischio di vedersi i piani rovinati dalle severe normative europee sugli aiuti di stato.
Secondo alcuni, in sostanza, il nucleare oggi sarebbe incompatibile con le classiche economie di mercato occidentali.
Requisiti di sicurezza dell’energia nucleare
A più riprese, dopo i tre incidenti nucleari che hanno scosso l’opinione pubblica, i requisiti relativi alla sicurezza delle centrali sono aumentati enormemente nel tempo. Sia il design degli impianti che le richieste di certificazioni e garanzie sono molto superiori oggi che negli anni del primo “boom” del nucleare.
Non sono in pochi oggi a sostenere che i requisiti di sicurezza siano oggi eccessivi e che andrebbero riformati, anche se questa è una scelta politicamente difficile da difendere.
Resta il fatto, però, che questo rappresenta un ostacolo aggiuntivo importante.
Prospettive future
Nonostante i suoi evidenti benefici dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico, la strada per il nucleare è tutto meno che in discesa. E non certo solo per l’opposizione dei gruppi ambientalisti o del problema del Nimby.
Nonostante il rinnovato interesse in tutto il mondo, incluso quello del governo italiano, la situazione è ancora ampiamente in evoluzione e soltanto il tempo ci dirà se i prossimi 20 anni saranno quelli di un rinascimento nucleare o della definitiva stagnazione di questa tecnologia (o di qualunque via di mezzo).










