Il cervello dell’età della pietra che portiamo nel cranio è identico a quello dei nostri antenati di tre milioni di anni fa. Questo organo biologico, perfettamente adattato per la sopravvivenza in ambienti primitivi, si trova oggi a dover gestire un mondo digitale per cui non è stato progettato.
La storia di Kushim e del suo clan ci mostra come funzionavano i meccanismi neurologici fondamentali che ancora oggi governano le nostre reazioni, ma che le moderne tecnologie sfruttano per creare dipendenza e compromettere le nostre capacità cognitive.
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La vita nell’età della pietra: riflessi di sopravvivenza
Secoli fa, sulla costa della Tanzania, l’alba. L’aurora si insinua sulle colline africane. La vita inizia ad agitarsi mentre il cielo si illumina di rosa, poi lentamente diventa blu. Gli animali notturni si rintanano e le creature diurne si risvegliano, compreso il precursore dell’Homo sapiens.
Kushim è il capo clan, il primo ad avventurarsi fuori dalla grotta mentre gli altri rimangono indietro. L’aria ha un profumo dolce. Gli uccelli volano nel cielo e gorgheggiano sugli alberi. Kushim piega la testa per controllare il ronzio degli insetti che pulsa in sottofondo. Ascolta il normale paesaggio sonoro mattutino che ha imparato a riconoscere. Qualsiasi cosa inaspettata – un ringhio vicino, un odore acre, un refolo di fumo nel vento – lo mette immediatamente in allerta senza che debba pensarci e lo spinge a segnalare il pericolo al resto del clan.
Questa mattina sembra non ci siano pericoli. Così Kushim grugnisce il segnale concordato per far uscire i suoi familiari nell’aria pulita del mattino. Il piccolo gruppo conta circa tre dozzine di persone. Nel- le prossime ore di luce avranno molto da fare, tutti tranne i neonati legati alle spalle delle madri. Le madri hanno bisogno di avere le mani libere per cacciare e raccogliere, integrando il lavoro che faranno gli uomini. Mentre il sole scalda i loro volti e allontana il freddo umido della grotta, cinque delle donne si dirigono verso la riva del mare, dove raccoglieranno vongole e ostriche. Se avranno fortuna, magari cattureranno anche qualche gamberetto nelle pozze di marea. Ogni giorno è necessaria un’enorme cooperazione per sfamare tutti, e l’armonia è essenziale perché il gruppo possa sperare di sopravvivere.
L’apprendimento per imitazione e la cooperazione sociale
Dall’alba al tramonto la vita è attiva, fisicamente impegnativa e richiede al gruppo un dispendio di calorie che tutti devono contribuire a reintegrare.
Tre giovani ragazze seguono le donne più anziane. Le leader Irg e Uma si immergono con loro in una pozza di marea, non troppo profonda, per poter rovesciare le rocce e vedere quali creature si nascondono sotto. Gli animali tendono a emergere dai loro nascondigli con la bassa marea. Le ragazze devono essere veloci se vogliono catturarne qualcuno. Prima, però, le donne mostrano loro come raccogliere gli abbondanti ricci di mare intrappolati sul fondo, evitando la dolorosa esperienza di pungersi o calpestare maldestramente i loro aculei taglienti e a volte anche velenosi.
Le rocce vicino alla spiaggia ospitano alghe e crostacei in gran numero. Le pervinche passano così tanto tempo fuori dall’acqua che sono le più facili da trovare. Cozze blu, lumache e lattuga di mare sono altrettanto facili da raccogliere e depositare nel cestino comune. Se le ragazze sono fortunate, troveranno un cetriolo di mare. Anche certe alghe brune, con le loro piccole vesciche d’aria sulla punta delle fronde, sono facili da individuare. L’alga salata può essere mangiata cruda o usata per preparare il cibo in involtini da arrostire su pietre calde intorno al fuoco, un’invenzione recente. All’improvviso, qualcosa cattura la coda dell’occhio di Irg. “Ayiee!” grida per attirare l’attenzione di una giovane che si è allontanata e sta avvicinandosi a una roccia che affiora sopra la linea dell’acqua. Fate attenzione ai cirripedi affilati come rasoi: possono tagliarvi le dita, mima. Un’infezione può essere fatale, avverte, passandosi l’indice sulla gola.
Il riflesso di orientamento: meccanismo di sopravvivenza primitivo
È entrato in funzione il riflesso di orientamento di Irg, uno dei circuiti automatici che, senza alcun pensiero cosciente, concentrano, spostano e mantengono l’attenzione senza sforzo.
Visti i pericoli in agguato ovunque, un riflesso di orientamento è essenziale per la sopravvivenza nell’Età della pietra. Irg si aspettava che la ragazza fosse ancora al suo fianco. La sua visione periferica, fortemente connessa al cervello emotivo, ha registrato rapidamente la discrepanza, e questo l’ha spinta ad agire. Spesso il riflesso di orientamento è accompagnato da un’ondata ormonale di adrenalina e noradrenalina che alimenta la risposta di lotta o fuga. In realtà sono due i percorsi cerebrali che mettono in allarme gli antenati di Homo sapiens. Il primo, rapido, non concede tempo per la riflessione, e così si gettano contro il bastone che è sembrato loro un serpente. Tuttavia, è meglio reagire rapida- mente per sbaglio, piuttosto che fermarsi a decidere e poi morire per un morso velenoso. Il secondo percorso, più lento, può aggirare quello rapido e dare il tempo di riflettere su una risposta (devo andare a destra o a sinistra intorno a quello gnu che sto inseguendo?).
Con infinita pazienza, Irg conduce le ragazze al centro della pozza di marea e mostra loro come sotto quasi tutte le rocce si trovino gran- chi di costa a strisce. Possono esserci anche una trentina di granchi verdi raggruppati, ma nel giro di pochi secondi si rifugiano in un nuovo nascondiglio, lontano dalle mani che li vogliono afferrare.
Apprendimento sociale e dinamiche di gruppo nell’età della pietra
Da parte sua, Uma indica le bolle rivelatrici che si alzano dal fondo sabbioso. Queste segnano i punti in cui le capesante si sono infossate durante la bassa marea. Le donne torneranno un altro giorno per estrarle con le palette per conchiglie che hanno messo da parte a questo scopo.
Le ragazze osservano con attenzione le anziane. È normale che i componenti del gruppo osservino ciò che fanno gli altri, non per sospetto ma perché l’apprendimento per imitazione rafforza la coesione sociale. L’intera comunità è coinvolta nell’educazione dei più piccoli, rinforzando i buoni comportamenti e scoraggiando quelli cattivi, lodandoli o disapprovandoli a seconda dei casi. Per tutti, ottenere l’approvazione e la rassicurazione di appartenere al gruppo motiva fortemente il comportamento. L’ostracismo dal gruppo significherebbe morte certa.
Proprio in quel momento, un altro grido. È stata avvistata una lumaca di mare. Questo mollusco, privo di conchiglia, è grande come due pugni e nuota pigramente nell’acqua tranquilla. La creatura non ha difese e ha poche possibilità di scappare. Così finisce nel cesto: la pesca mattutina è iniziata bene e promette un pasto gustoso a mezzo- giorno. Se solo avessero la fortuna di trovare ora un cucciolo di aragosta o di polpo nascosto sotto una delle rocce della pozza di marea!
Caccia e adattamenti evolutivi del cervello primitivo
Gli uomini sono già partiti prima dell’alba per andare a caccia. L’alba è il momento in cui è più probabile che gli animali siano in movimento e i primi esseri umani hanno ormai risalito la catena alimentare da spazzini a superpredatori. La cacciagione offre un rendimento energetico dieci volte superiore a quello di una dieta composta da frutta e piante. I carnivori di tutto il regno animale hanno un’elevata acidità di stomaco che li protegge dagli agenti patogeni presenti nella carne in decomposizione. L’acidità dello stomaco umano è superiore persino a quella di spazzini come avvoltoi, iene e coyote, un adattamento che consente loro di consumare animali di grandi dimensioni per giorni o addirittura settimane.
Kushim e i suoi simili sono abili a cacciare in gruppo, utilizzando tecniche sofisticate e ravvicinate con cui colpiscono gazzelle, gnu e antilocapre, che scelgono accuratamente. Le antilopi mature sono le prede preferite.
I cacciatori si siedono sugli alberi in attesa di tendere un’imboscata a una mandria che passa di sotto, poi le trafiggono a bruciapelo. Quando riescono a uccidere un animale, lo sventrano con coltelli di pietra, lo legano a un palo con le liane e lo trasportano al campo. Trascorrono poi il resto della mattinata macellando l’animale e tenendo d’occhio i predatori opportunisti. Il riflesso di orientamento assicura la loro vigilanza perché rende il cervello squisitamente sensibile al minimo cambiamento di condizioni. Il sistema nervoso nel suo complesso si è evoluto in un enorme rilevatore di cambiamenti, perché ogni novità cattura la sua attenzione. Il riflesso di orientamento garantisce che le sentinelle si girino verso lo stimolo che le ha fatte scattare e lo valutino immediatamente, facendole bloccare, fuggire o attaccare. Per il momento, l’accampamento è felicemente tranquillo.
Cooperazione e arte: il superorganismo umano primitivo
Di ritorno dall’escursione alle pozze di marea, le donne accendo- no il fuoco e riscaldano le pietre perimetrali. Sono diventate abili nel controllare il fuoco non solo per riscaldarsi, ma anche per preparare il cibo e costruire gli attrezzi. Tutti danno una mano a fare rifornimento di lance, coltelli e strumenti di pietra da cui dipende l’intero gruppo. A differenza degli scimpanzé, che vivono in società aggressive, dominate dai maschi e con chiare gerarchie, nei primi collettivi umani la dominanza non caratterizza le relazioni sociali1. Ogni gruppo, comunque disperso, massimizza la propria sopravvivenza perché tutti i componenti cooperano, indipendentemente dall’età e dal sesso. Entrambi i sessi sono abili anche nel creare arte simbolica. Le donne tingono e decorano conchiglie marine, mentre gli uomini costruiscono sculture geometriche con pezzi di stalattiti che recuperano da grotte sotterranee. Favorire l’armonia permette al collettivo di funzionare come un superorganismo.
Dopamina e neurotrasmettitori: la chimica del cervello dell’età della pietra
Oltre al tempo per l’arte, c’è anche il tempo per i giochi e per utilizzare gli oggetti a portata di mano. È qui che l’impulso alla competizione viene incanalato in modi socialmente accettabili. La competizione bonaria è radicata nelle emozioni, e una base fondamentale di tutte le emozioni è il confronto. Qualcuno ha più di me o qualcosa di desiderabile che mi manca? Questo è il sentimento che sta alla base del desiderio di vincere. Allo stesso modo, la paura di perdere o di essere lasciati indietro suscita forti passioni. E, nonostante ogni sforzo del gruppo per mantenere l’armonia, le questioni gerarchiche minacciano ancora di sorgere. Il gruppo ha conferito uno status a Kushim, Irg e Uma perché li riconosce come leader di successo. Ma, per quanto le intenzioni siano egualitarie, il desiderio e il piacere rimangono forze radicate nel cervello umano primitivo, che possono altrimenti spingere a determinati comportamenti.
Irg e Kushim non lo sanno, ma molte delle loro azioni, come allontanare la ragazza dai cirripedi pungenti o, nel caso di Kushim, organizzare gli altri componenti nella caccia, sono guidate da molecole come la dopamina, un neurotrasmettitore che si è evoluto per la prima volta in animali molto inferiori. Nell’uomo le sue funzioni sono molteplici, perché la dopamina è la molecola che ha il passaporto per ogni angolo del cervello. I suoi ambiti principali sono la gratificazione e il desiderio, due istinti fondamentali che stanno alla base della sopravvivenza e del vantaggio riproduttivo. L’impulso che ci spinge a desiderare è in gran parte inconscio e quasi impossibile da saziare, motivo per cui, non appena otteniamo qualcosa che desideriamo, in genere desideriamo qualcos’altro. Una classe correlata di neurotrasmettitori comprende le endorfine, gli oppioidi naturali del cervello, come quelli rilasciati durante lo “sballo” del corridore o mentre si insegue una gazzella nella savana. Rispetto alla dopamina, il raggio d’azione degli oppioidi è più ridotto, sono più difficili da attivare e la soddisfazione che procurano è di più breve durata.
Gli esseri umani dell’Età della pietra sono molto sensibili non solo al desiderio e alla gratificazione, ma anche al rinforzo, il modo in cui la natura perpetua i comportamenti desiderabili. Cibo, acqua, sesso e riparo sono rinforzi primari perché soddisfano forti desideri biologici. Con l’evoluzione del genere Homo, i rinforzi secondari sono diventati più vari e sofisticati, come nel caso della cura dei più piccoli o dell’insegnamento ai giovani a raccogliere, cacciare, mantenere il fuoco e costruire strumenti utili. Il rinforzo non è una cosa tangibile, ma una relazione tra un comportamento e ciò che lo propaga. Il rinforzo porta ad abitudini, buone e cattive, che poi si consolidano come parte di tradizioni culturali più ampie.
Ritmi circadiani e sonno nel cervello primitivo
Il sole è ora direttamente a picco: è mezzogiorno. È ora di riposa- re e di mangiare ciò che i raccoglitori e i cacciatori si sono assicurati, la prima assunzione di calorie del gruppo dal risveglio nella grotta. Routine consolidate come questa rendono prevedibili i contorni della vita umana e la ripetizione familiare infonde un senso di tranquillità. Tuttavia, paradossalmente, l’esperienza della vita quotidiana è caratterizzata da continui cambiamenti, a volte lenti, altre volte improvvisi. Molte routine consolidate sono dettate dal sole. Gli speciali recettori della luce nella retina che regolano l’orologio del cervello sono particolarmente sensibili alle lunghezze d’onda corte. Le brevi lunghezze d’onda blu penetrano meglio nell’oceano, dove è nata la vita e dove il fotosensore si è evoluto prima di arrivare alle creature terrestri.
Più tardi, con l’affievolirsi della luce del giorno, sarà di nuovo tempo di riposare e dormire. Al mattino, quando l’alba si avvicina di nuovo, una serie di ormoni segnalerà che è ora di svegliarsi. Per il momento un’altra serie, che comprende la melatonina, inizia ad aumentare nel flusso sanguigno e segnala che è ora di coricarsi per la notte. Durante la prima parte della notte predominano le onde cerebrali lente e si verifica la fase più ristoratrice del sonno. Queste sono le ore d’oro, in cui tutto ciò che il clan, soprattutto i giovani, ha ap- preso durante il giorno viene consolidato e trasferito dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Questo “primo sonno” dura fino a mezzanotte circa, quando i componenti del gruppo si svegliano per dedicarsi ad attività come il sesso, i giochi, raccontare storie o attizzare il fuoco. A quel punto la temperatura corporea si abbassa, innescando un “secondo sonno” che dura fino all’alba. Lo schema si ripete naturalmente, stagione dopo stagione, senza sosta.
L’hackeraggio tecnologico del cervello dell’età della pietra
Tre milioni di anni dopo: questi meccanismi di sopravvivenza di base sono ora una porta d’accesso al cervello moderno che le aziende tecnologiche sfruttano per ottenere profitti e vantaggi competitivi. Hackerano la nostra biologia e ci agganciano ai loro prodotti perché il cervello non è cambiato dall’età della pietra, per non parlare dei soli trentatré anni di esistenza di Internet. La storia del perché siamo distraibili senza scampo è iniziata molto tempo fa, ed è per questo che l’era dello schermo sembra essere con noi da sempre. È come se i dispositivi digitali che ci circondano giorno e notte fossero parte di un iSelf incorporato, parte di noi al punto da costituire essenzialmente una mente alveare planetaria come quella dei Borg in Star Trek.
Dipendenza digitale e condizionamento del cervello primitivo
Questa è la situazione del cervello dell’Età della pietra nell’era degli schermi. Le pagine seguenti spiegano perché siete così dipendenti dagli schermi, che cosa potete fare per opporvi e come farlo.
Il vostro cervello è stato completamente condizionato dai dispositivi digitali. I link, i “mi piace” e i pulsanti “segui” sono così facili da premere che farlo è diventato un riflesso inconsapevole.
Non è colpa vostra: le aziende impiegano schiere di psicologi e scienziati comportamentali il cui compito è sfruttare le vulnerabilità del cervello dell’Età della pietra, in particolare la sua incapacità di ignorare le novità e qualsiasi cambiamento nelle condizioni prevalenti. Prima della pandemia, un terzo della popolazione mondiale trascorreva gran parte della giornata con gli occhi fissi sullo schermo di un televisore, di un computer, di un telefono o di un tablet, a volte su tutti insieme. Da allora questi numeri sono aumentati. Durante i due anni di blocco per la pandemia, le nostre relazioni più strette ruotavano intorno ai dispositivi digitali. Abbiamo fatto TikToking, Zoom, swiping e FaceTiming. Il 29 marzo 2020, Tinder ha stabilito il record di tre miliardi di swipe in un giorno. Entro la fine dell’anno ha superato questo record altre 130 volte, ovvero una volta ogni due giorni.
Costi energetici degli schermi sul cervello dell’età della pietra
Che cosa si può dire in difesa di questa crescita tumultuosa del coinvolgimento digitale? Gli utenti non si rendono conto di quanto sia pesante il costo energetico che le distrazioni da schermo comportano per il loro cervello dell’Età della pietra, che la biologia limita in base alla quantità fissa di energia che ha a disposizione. Il carico cognitivo imposto dagli schermi dei dispositivi degrada l’attenzione, la memo- ria e il pensiero, oltre che il sonno, l’umore e la concentrazione. Gli schermi su cui fissiamo abitualmente lo sguardo competono con il nostro altrimenti naturale impulso a socializzare e vi si sostituiscono. Ci mettono di fronte a esche per l’attenzione altamente innaturali a cui è quasi impossibile resistere.
Per dimostrare che l’impulso a connettersi non è solo un’abitudine sociale, le misurazioni fMRI che registrano simultaneamente due in- dividui sdraiati in scanner separati ma collegati illustrano un impulso biologico di base a connettersi l’uno con l’altro. I cervelli in prossimità si sincronizzano letteralmente, proprio come illustra il finale del film Matrix Resurrections. È con questo tipo di accoppiamento fondamentale che gli schermi intelligenti interferiscono.
Limiti energetici del cervello primitivo nell’era digitale
La pandemia da coronavirus ha dimostrato quanto sia difficile strappare i dispositivi digitali dalle mani dei bambini di tutte le età. Quello che era iniziato come un servitore per chi lavorava da casa è diventato rapidamente il padrone. Le persone hanno cominciato a rendersi conto che i social media hanno dato vita a una forza che i loro creatori non hanno compreso né potuto controllare. Sebbene i dispositivi intelligenti offrano dei vantaggi, sono comunque agenti narcotizzanti. È così facile violare le nostre difese neurologiche che le forze che stanno alle spalle di questi dispositivi non hanno nemmeno bisogno di nascondere il loro programma.
Dal punto di vista del cervello, mi domando: quanta energia richiede il diluvio di messaggi, avvisi e notifiche push, considerata la scorta limitata che abbiamo a disposizione? Perché poi la natura ce ne ha dato una scorta limitata, tanto per cominciare? Quali conseguenze derivano dalla disinvoltura con cui mettiamo gli schermi davanti alla visione centrale in via di sviluppo di un bambino e ignoriamo volontariamente come gli iPad montati nelle culle, nei seggiolini delle auto e nei vasini sostituiscano l’inclinazione naturale del bambino a socializzare?
Uso il termine “cervello dell’Età della pietra” perché abbiamo lo stesso organo biologico dei nostri antenati di molto tempo fa. I circuiti cerebrali funzionano a velocità nettamente inferiori rispetto alle loro controparti elettroniche. Non ci sono dieta, esercizio fisico, Sudoku, meditazione o yoga che possano aumentare quello che abbiamo a di- sposizione. Possiamo solo influenzare il modo in cui lo gestiamo, e il modo in cui lo facciamo determina la sua efficienza. Ci troviamo di fronte alla stessa sfida dei nostri lontani antenati: come controllare e distribuire l’energia necessaria per pensare, agire, sentire, immaginare, prevedere e soprattutto prestare attenzione a ciò che accade intorno a noi.
Il cervello rappresenta solo il 2 percento della massa corporea, ma consuma il 20 percento delle calorie giornaliere che ingeriamo. Il cervello degli adolescenti ne consuma il 50 percento e quello dei bambini il 60 percento, motivo per cui i giovani sono colpiti in modo sproporzionato dalla forte esposizione agli schermi. Se si tiene con- to della massa corporea e del contenuto di grasso, i bambini di età compresa tra i nove e i quindici mesi consumano ogni giorno il 50 percento di energia più degli adulti. Questo probabilmente alimenta il cervello e il sistema immunitario in crescita. Anche negli individui più anziani lo sforzo mentale ha un costo energetico. In un esperimento, uno studente ha bruciato il 40 percento di energia in più durante un test di matematica e il 30 percento in più durante un colloquio molto sfidante. È difficile pensare a qualsiasi altro processo che richieda un consumo energetico vicino al 40 percento4. A qualsiasi età, le cose più costose che possiamo fare in termini di dispendio energetico sono spostare, concentrare e mantenere l’attenzione, un ciclo che i dispositivi digitali ci costringono a ripetere all’infinito come se stessimo girando intorno a uno scarico.
Il cervello compie queste straordinarie imprese utilizzando solo pochi watt di energia, tanto quanto una lampadina poco luminosa. La maggior parte di quell’energia è destinata a mantenere la struttura fisica, pompando ioni di sodio e potassio attraverso le membrane per mantenere la carica elettrica. Poco rimane per il pensiero, le sensazioni e l’azione. Proprio perché il cervello è così efficiente, i suoi margini di riserva sono esigui e vengono consumati dalle richieste fatte spostando continuamente l’attenzione. Pensate a un bilancio in cui la valuta è costituita da tutte le molecole che sostengono i nostri 86 miliardi di neuroni. Come nel caso dei bilanci finanziari, possiamo avere un deficit e andare in rosso. Il cervello deve interrompere i processi metabolici troppo costosi, con conseguente affaticamento mentale, riduzione della concentrazione, frammentazione della memoria ed errori5. Gli schermi sono come il fumo passivo, colpiscono chiunque si trovi nei paraggi. La sola presenza di un telefono ci prosciuga, perché anche il semplice tentativo di non guardarlo consuma energia.
Autismo virtuale: effetti degli schermi sul cervello dell’età della pietra
Uno degli spettri dell’ambiente odierno, caratterizzato dalla presenza di schermi, è l’“autismo virtuale”, ovvero l’induzione di comportamenti simili all’autismo in individui altrimenti sani, in partico- lare nei giovani che trascorrono online molte delle loro ore di veglia. (Devo sottolineare la distinzione tra autismo dello sviluppo e comportamenti simili causati da qualcos’altro, e ne parlerò a lungo in seguito.)
Solo di recente studi autorevoli hanno iniziato a esaminare il nesso causale tra i due fenomeni, evidenziando le somiglianze tra l’autismo dello sviluppo (oggi trenta volte più comune di quanto non fosse nel 1960) e il nuovo tipo di autismo virtuale. I social media competono con i rapporti interpersonali e interferiscono con lo sviluppo dei circuiti emotivi necessari per “leggere” le altre persone. In entrambe le varietà di autismo, le persone affette evitano accuratamente il contatto visivo e non riescono a cogliere il significato del linguaggio del corpo.
Come gli schermi modificano il cervello dell’età della pietra
Più che avere 86 miliardi di cellule cerebrali, conta l’incessante intreccio e ricablaggio delle connessioni tra quelle cellule, un processo che dura tutta la vita: per questo si parla di “plasticità” del cervello, una parola derivata dal greco plastikos (πλαστικός), che significa “che può essere modellato”. Il cervello assorbe esperienze sin dalla nascita, la sua struttura e le sue funzioni vengono modellate plasticamente in risposta alle esperienze del mondo. Il nostro stato mentale da esseri umani del XXI secolo è a sua volta intrappolato nel presente immediato, ha costantemente bisogno di stimoli, e l’esposizione troppo precoce agli schermi sembra avere terribili effetti imprevisti. Gli schermi onnipresenti promuovono le sensazioni a scapito del pensiero, perché le vie sensoriali amplificate competono con la maturazione di altre vie normalmente destinate a sostenere le relazioni sociali e l’intelligenza emotiva. L’autismo evolutivo non migliora mai spontaneamente durante la prima infanzia, ma i bambini con autismo virtuale mostrano miglioramenti netti se vengono allontanati dagli schermi digitali.
Neuroplasticità e rimodellamento del cervello primitivo
L’uso continuo del touchscreen quasi certamente rimodella il cervello. Una ricerca intelligente registra che i soggetti effettuano fino a 40.000 swipe con il dito al giorno, anche quando si suppone che stiano dormendo(!). Il semplice passaggio del dito sullo schermo riscrive la rappresentazione della mano nella corteccia sensoriale del cervello. Quest’ultima si adatta e si riduce per diventare più efficiente, il che significa che i nostri dispositivi ci abituano in modo diabolico al sovraccarico sensoriale. Considerato che più del 50 percento degli alunni di prima elementare possiede uno smartphone, perché non discutiamo di questi scenari, quando un movimento apparentemente innocuo del dito, che rimodella fisicamente il cervello, può anche cambiare in modo permanente la psicologia e il temperamento di quell’individuo?
Il paradosso digitale del cervello dell’età della pietra
Viviamo in un paradosso: da un lato la tecnologia digitale allevia un po’ l’isolamento sociale, dall’altro lo peggiora in altri modi. Siamo tecnologicamente più connessi che mai, eppure ci leghiamo a piattaforme progettate per diffondere offese e indignazione, che sfruttano il principio psicologico per cui l’emozione, come lo sbadiglio, è altamente contagiosa.
L’emozione grezza non ammette sfumature né complessità, ma sovrasta facilmente il pensiero critico e ci lascia esposti a propaganda e manipolazioni che è difficile riconoscere per quello che sono.
Due frasi di moda negli ambienti educativi sono “pensiero critico” e “collegare i punti”. Ma la navigazione in Internet incoraggia a ingurgitare piccoli sorsi del flusso di dati, non a pensare in modo critico, mentre l’usanza di affidare i fatti ad applicazioni esterne come Google lascia gli utenti con poche conoscenze comuni e quindi pochi punti da collegare.
Cervello dell’età della pietra e bisogno di pausa e significato
Una mente capace di stabilire connessioni prospera nella quiete, non in un’infinità di messaggi e notifiche. C’è un motivo per cui il mondo naturale è facile da vedere e da ascoltare, eppure ci tagliamo fuori dal suo potere ristoratore, dimenticando che il cervello, la psiche e l’anima hanno bisogno di riposo e di interludi ininterrotti, non di strisce, autoplay e notifiche push che trasformano amicizie e successi in competizioni spietate.
La parola latina addictus un tempo descriveva la condizione di chi finiva schiavo per debiti e doveva servire la persona di cui era debito-re. La radice della parola significa “legato a”. E noi non siamo forse legati come schiavi agli schermi che abbiamo davanti? Se non è così, perché tante persone affermano di esserne dipendenti?








