Ricerca di lavoro 2.0

Dal CV alle competenze reali: l’impatto dell’AI su chi cerca lavoro



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L’intelligenza artificiale sta trasformando la ricerca di lavoro, rendendo meno rilevanti curriculum impeccabili e soft skill dichiarate. I candidati devono dimostrare competenze concrete e capacità reali, in un contesto dove conta sempre più ciò che si sa fare

Pubblicato il 18 set 2025

Stefano Bellasio

CEO di Anthropos



cv (1); sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti; software gestione documentale

Nel giro di pochi anni, l’intelligenza artificiale ha modificato in profondità il modo in cui le aziende cercano e valutano le persone. Il classico colloquio basato su CV, lettera motivazionale e qualche domanda ricorrente sta lasciando spazio a processi più strutturati e realistici, in cui contano molto di più i comportamenti concreti che le parole dette a voce o scritte su un documento.

In questo scenario, chi cerca lavoro si trova di fronte a un cambiamento radicale. Le strategie “di facciata” che per anni hanno funzionato – CV ottimizzati, parole chiave, narrazioni impeccabili – stanno perdendo efficacia. Non basta più scrivere bene: serve saper fare bene.

Sulla carta, sembrerebbe una buona notizia: l’AI può aiutare a valutare davvero le competenze, rendendo più oggettivo e trasparente l’accesso a un posto di lavoro. Ma nella pratica, molte persone finiscono per usare gli stessi strumenti – ChatGPT, estensioni automatiche, template – in modo meccanico e standardizzato. E il paradosso è evidente: nel tentativo di distinguersi, i candidati finiscono per somigliarsi tutti.

I numeri: il CV non basta più

Secondo una ricerca della piattaforma Zety, solo il 39% dei recruiter si concentra realmente sulle competenze nella valutazione iniziale di un CV. Il resto del tempo è spesso dedicato a forma, struttura, parole chiave, layout. Un’attenzione che, paradossalmente, allontana dal contenuto.

Eppure, sono proprio le competenze a determinare l’idoneità di un candidato: il 38% dei recruiter dichiara che le hard skill sono il fattore più importante, seguite dal 26% che attribuisce lo stesso valore alle soft skill.

Contemporaneamente, le aziende si stanno attrezzando per valutare le persone in modo più diretto. Il LinkedIn Future of Recruiting Report rivela che il 77% delle imprese in crescita considera oggi l’AI una leva strategica per la selezione del personale. Ma non solo: il 54% delle grandi aziende intende utilizzarla anche per valutare chi è già in azienda, progettare percorsi di formazione mirati e gestire la mobilità tra ruoli.

Non è solo il lavoro a cambiare. Sono cambiate anche le aspettative delle aziende: vogliono vedere cosa sai fare, non cosa dici di saper fare.

Il risultato è un contesto in cui il candidato deve dimostrare il proprio valore in modo più concreto, realistico e osservabile.

I 5 errori da evitare secondo l’AI (e l’esperienza diretta)

Sempre più aziende stanno adottando strumenti basati sull’intelligenza artificiale per analizzare come una persona si comporta in scenari realistici: gestire un reclamo, scrivere una comunicazione complessa, affrontare un cliente difficile, costruire e gestire un progetto insieme ad un team di persone. In questi contesti, emergono con chiarezza alcuni errori ricorrenti o almeno alcuni piccoli dettagli che se ben sfruttati dai candidati possono dare vantaggi nel processo di selezione

Usare ChatGPT per creare CV impeccabili ma impersonali

Sempre più candidati usano strumenti automatici per scrivere i propri CV. Il risultato sono testi perfetti nella forma, ma tutti uguali nella sostanza: nessun episodio concreto, nessuna voce personale. I recruiter (e gli algoritmi più avanzati) li riconoscono al volo.

Elencare soft skill non dimostrate

Leadership, empatia, problem solving. Tutti le scrivono, pochi le dimostrano. Oggi le aziende vogliono esempi, contesti, prove pratiche. Le parole da sole non bastano più.

Prepararsi solo sulle domande classiche da colloquio

“Quali sono i tuoi punti di forza?” è una domanda che ormai vale meno di “Come affronteresti questa situazione?”. Le nuove selezioni mettono alla prova la capacità di reagire, decidere, comunicare, non solo di rispondere bene.

Infilare parole chiave a tavolino

Un tempo utile per superare i vecchi ATS (Applicant Tracking Systems), oggi può essere controproducente. Le nuove AI valutano contesto, coerenza e autenticità. Troppe keyword senza spiegazione rischiano di far apparire il profilo artificiale.

Recitare un personaggio

Molti candidati costruiscono versioni “ideali” di sé stessi, cercando di risultare perfetti. Ma i nuovi strumenti sono in grado di rilevare incoerenze e disallineamenti tra parole, tono, contenuti e scelte. Essere sé stessi, ma preparati, è molto più efficace.

In sintesi: chi si prepara solo a “dire” rischia di non saper “fare”. E chi forza una narrativa troppo perfetta si contraddice nei momenti chiave.

Cosa sta davvero cambiando

Non è l’AI a valutare. È l’AI a osservare. Gli strumenti di nuova generazione non cercano di sostituire l’intuito umano, ma di supportarlo con elementi concreti, ripetibili e oggettivi. L’obiettivo è vedere le persone all’opera, anche prima di assumerle. La tecnologia, che può essere usata anche per testare e formare i dipendenti già in azienda, permette di far completare esercizi reali in ambienti “simulati”, lasciando che le persone chiamino colleghi virtuali, lavorino con loro, prendano decisioni, scrivano codice o addirittura presentino di fronte ad altri colleghi il loro lavoro.

L’AI sta trovando spazio anche all’interno dei team già in azienda, con modalità simili: sempre più spesso, gli stessi strumenti vengono utilizzati per valutare dipendenti in vista di promozioni, cambi di ruolo o programmi di formazione. È un approccio che punta alla valorizzazione del potenziale reale, non solo alla selezione.

Per i candidati, significa che ogni interazione – anche simulata – diventa una chance per mostrare competenze reali: comunicazione, gestione dello stress, problem solving, collaborazione.

Dalle parole ai comportamenti: come si valuta oggi un candidato

La grande trasformazione dell’AI è questa: passare dal racconto all’osservazione. Le nuove tecnologie — in particolare quelle basate su simulazioni — permettono di valutare come una persona si comporta in situazioni realistiche, come una trattativa con un cliente, la gestione di un imprevisto o una comunicazione complessa. Questi strumenti non giudicano ciò che una persona dichiara, ma ciò che fa.

Simulazioni, task pratici, esperienze guidate stanno diventando lo standard nelle selezioni più avanzate, non solo per assumere, ma anche per valutare i team interni e favorire percorsi di crescita personalizzati. È una buona notizia anche per i candidati: un processo skill-based permette di emergere a chiunque, eliminando i bias che solitamente si presentano in qualsiasi processo di assunzione. In una simulazione i candidati possono mostrare la loro personalità, le loro soft e hard skills e soprattutto possono mettere in risalto alcune peculiarità che sarebbero impossibili da far emergere in un processo di selezione classico. Infine, questi test sostituiscono quei video che spesso vengono richiesti ai candidati e che altro non fanno che esasperare i problemi già presenti in un CV: poca aderenza con le reali skills e incapacità di mettere da parte i bias più comuni. Lo stesso vale per gli innumerevoli quiz che vengono spesso proposti ai candidati, ormai superati dall’uso di AI e dal loro scarso valore nel contesto attuale.

Cercare lavoro oggi: cosa serve davvero

Non servono più carriere impeccabili o lauree brillanti per farsi notare. Oggi ciò che conta davvero è la capacità di agire con coerenza, affrontare problemi complessi con lucidità, adattarsi ai cambiamenti. È su questo terreno che si gioca la partita della ricerca di lavoro.

Il consiglio a chi cerca lavoro è di chiedere di essere valutato in un assessment pratico, anche se non prevede strumenti avanzati. È sempre il modo migliore per dimostrare il proprio valore. Se non viene richiesto, è anche possibile farne uno di propria iniziativa e provare così a emergere con le proprie abilità.

In un contesto in cui le aziende guardano sempre meno alla perfezione formale e sempre più alla sostanza, chi riesce a dimostrare ciò che sa fare – e non solo a raccontarlo – ha molte più possibilità di emergere. Anche con un CV non perfetto.

Cercare lavoro nell’era dell’intelligenza artificiale non significa più scrivere il curriculum ideale, ma mostrare di saper gestire la realtà, anche in scenari nuovi o difficili. Le imprese cercano autenticità, spirito pratico, senso critico. E questo, per molti candidati, può essere una buona notizia. Perché non serve essere perfetti. Serve essere credibili, preparati e capaci di agire.

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