Farci supportare da strumenti esterni non è una novità. Da un bel po’ di tempo gran parte dei nostri processi cognitivi si intreccia con interfacce, suggerimenti automatici, supporti digitali. Oggi anche la formulazione del pensiero viene in parte esternalizzata: la creazione di idee, la costruzione delle frasi, perfino l’avvio del ragionamento.
Indice degli argomenti
L’accelerazione del pensiero e i suoi rischi
Perché l’intelligenza artificiale generativa non si limita a supportare: anticipa. Basta digitare una frase incompleta o una domanda generica e comincia a generare contenuti (una sintesi, una lista, una proposta di testo) prima ancora che abbiamo chiarito del tutto cosa stiamo cercando. Capita ad esempio quando vogliamo scrivere un’email o trovare un’idea per un progetto: prima ancora di aver messo a fuoco il punto centrale, l’IA ci restituisce già una risposta completa, riducendo il tempo tra il primo input e l’output finale. Ma questa accelerazione rischia di saltare proprio la parte più formativa: quella in cui il pensiero prende forma, tra tentativi, dubbi e riformulazioni.
Gli effetti cognitivi dell’uso quotidiano dell’IA
Cosa accade, a livello cognitivo, quando questa dinamica diventa quotidiana? Come cambiano l’apprendimento, la memoria, la capacità di analisi? Gli studi più recenti sull’IA conversazionale si concentrano su ciò che accade nelle prime fasi dell’elaborazione mentale: memoria a breve termine, carico cognitivo, profondità della comprensione. Le evidenze non sono tutte allineate, ma una consapevolezza prende forma: ogni semplificazione ha un costo.
Il paradosso dell’efficienza cognitiva
Uno degli argomenti più dibattuti in favore dell’IA generativa è la promessa di un’efficienza cognitiva senza precedenti: meno tempo, meno fatica, più risultati. E in effetti, ottenere una sintesi o una risposta è quasi sempre più rapido e lineare rispetto alla ricerca autonoma. Ma a quale costo? Uno studio recente (Marois et al., 2025) ha messo a confronto l’uso di un chatbot e quello di un motore di ricerca tradizionale nel supporto all’apprendimento a breve termine. I risultati parlano chiaro: chi ha utilizzato l’IA ha percepito un minor carico cognitivo a fronte però di performance peggiori nei test di memoria. La semplificazione, insomma, non sempre gioca a favore dell’apprendimento.
A preoccupare non è tanto l’accuratezza della risposta, quanto la perdita di quella “fatica” iniziale che accompagna l’elaborazione attiva: formulare ipotesi, costruire connessioni, organizzare la conoscenza in modo personale. Senza questo sforzo, l’interazione diventa un automatismo: una risposta genera l’altra, ma non si sedimenta una comprensione profonda (Kosmyna et al., 2025). Il punto, come osserva Bipin (2025), è che l’IA può effettivamente alleggerire il cosiddetto carico cognitivo estraneo, cioè quegli elementi che interferiscono con la comprensione o con l’attivazione delle funzioni cognitive centrali. Ma perché si traduca in apprendimento reale, serve una partecipazione attiva. In caso contrario, si ottiene solo una parvenza di efficienza: meno fatica, sì, ma anche meno autonomia, meno memoria, meno senso critico.
I limiti della semplificazione automatica
Se l’intelligenza artificiale generativa promette un pensiero più agile (testi sintetizzati, argomenti riformulati, ecc.) possiamo davvero ritenere questa ottimizzazione, per quanto efficace, davvero neutra rispetto al modo in cui apprendiamo? O sta modificando la struttura stessa del pensiero?
L’automazione dei compiti più meccanici e ripetitivi è forse l’aspetto meno controverso dell’uso dell’IA: in questi casi, alleggerire il carico mentale può davvero permettere di orientare le risorse verso funzioni più strategiche (Bipin, 2025). Ma se la semplificazione si estende anche alle fasi centrali dell’elaborazione come l’organizzazione, l’analisi o la riflessione, il rischio è di erodere le funzioni esecutive che guidano il pensiero autonomo.
Mantenere il controllo del processo cognitivo
La questione non è tecnica ma cognitiva: non è la quantità di sforzo a fare la differenza, ma la qualità delle risorse attivate. Come sottolinea Gerlich (2025), l’IA può favorire la creatività e il pensiero critico solo se l’utente mantiene un ruolo attivo nella costruzione del significato. In caso contrario, la scorciatoia diventa un’abitudine e l’interazione si riduce a consumo passivo. Marois et al. (2025) mostrano chiaramente questo paradosso: l’uso del chatbot aumenta la sensazione di efficienza ma riduce l’attivazione delle strategie cognitive profonde, con un impatto diretto su memoria e comprensione. E’ nelle fasi iniziali del pensiero, che sono proprio quelle che precedono la risposta, che si sviluppa la capacità di connessione, di interpretazione, di dubbio. Delegare troppo presto all’IA significa saltare quella zona di incubazione in cui il pensiero prende forma.
L’importanza della presenza cognitiva
La vera ottimizzazione cognitiva non consiste nel ridurre ogni fatica, ma nel distribuire lo sforzo dove conta davvero. E questo richiede consapevolezza, non automazione (Kosmyna et al., 2025).
L’intelligenza artificiale non sostituisce il pensiero umano, semmai ne ridistribuisce alcune funzioni. Può sollevarci da compiti ripetitivi o faticosi a patto che siamo noi a guidare il processo. Può diventare uno strumento utile all’interno di un pensiero distribuito, dove alcune operazioni vengono delegate a un agente esterno. Ma delegare non significa abbandonare: se perdiamo il controllo sulle fasi iniziali del ragionamento, rischiamo di saltare proprio quel momento in cui nasce la comprensione. Apprendere richiede attrito, coinvolgimento, fatica. Non perché pensare debba essere difficile, ma perché è nel confronto con la complessità che si costruisce la comprensione (Gerlich, 2025). Il problema, quindi, non è nella tecnologia, ma nella qualità dell’interazione. Quando la riflessione parte da una risposta già pronta ci sottraiamo al passaggio in cui si formula una domanda, si affronta l’ambiguità, si costruisce un significato.
Verso una collaborazione consapevole con l’IA
Ed è proprio lì che il pensiero si attiva davvero (Bipin, 2025). Perché senza quel passaggio iniziale, il “momento generativo” del pensiero, si spegne prima ancora di attivarsi (Kosmyna et al., 2025). In un contesto in cui tutto può essere sintetizzato o automatizzato, mantenere uno spazio per il pensiero lento, incerto e riflessivo è una scelta attiva. Quindi no, non è l’IA a indebolire il pensiero, ma la nostra scelta di non usarlo. Ogni volta che scegliamo tra pensare o delegare, mettiamo in gioco memoria, attenzione, autonomia. Il futuro non dipende solo dai modelli, ma dalla nostra capacità di restare cognitivamente presenti.
Bibliografia
Bipin, P. (2025). AI and the Brain: Cognitive Decline or Cognitive Optimization?
Gerlich, M. (2025). AI tools in society: Impacts on cognitive offloading and the future of critical thinking. Societies, 15(1), 6.
Kosmyna, N., Hauptmann, E., Yuan, Y. T., Situ, J., Liao, X. H., Beresnitzky, A. V., … & Maes, P. (2025). Your brain on chatgpt: Accumulation of cognitive debt when using an ai assistant for essay writing task. arXiv preprint arXiv:2506.08872.
Marois, A., Lavallée, I., Boily, G., Ramon Alaman, J., Desrosiers, B., & Lavoie, N. (2025, July). Chatbot Memory: Uncovering How Mental Effort and Chabot Interactions Affect Short-Term Learning. In Proceedings of the Human Factors and Ergonomics Society Annual Meeting (p. 10711813251358242). Sage CA: Los Angeles, CA: SAGE Publications.







