Chi oggi entra in una scuola italiana per parlare di intelligenza artificiale si trova immerso in un contesto culturale ricco di entusiasmi, timori e domande aperte. È un ambiente in cui la transizione digitale si manifesta concretamente, tra ostacoli, resistenze e nuove opportunità.
Negli ultimi mesi, numerosi incontri con oltre cento docenti, provenienti da licei e istituti tecnici, hanno offerto uno spaccato significativo dello stato attuale della cultura tecnologica nel contesto scolastico. Da questi confronti è emersa una rappresentazione autentica delle sfide e delle trasformazioni in atto: l’intelligenza artificiale non si presenta soltanto come uno strumento da apprendere ma come un elemento capace di ridefinire profondamente i modi di pensare, insegnare e apprendere. Un punto di rottura, o di svolta, che attraversa l’intero impianto educativo.
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Un Paese, cento scuole diverse: la frattura nascosta
La prima evidenza che emerge in aula è quella della disomogeneità. Alcuni insegnanti non hanno mai aperto ChatGPT, altri usano già con disinvoltura diversi strumenti integrandoli nella programmazione scolastica. Ma non è solo una questione legata all’individualità del docente: questa disparità si riflette direttamente sugli studenti. Se da un lato ci sono classi in cui si impara a usare l’IA con spirito critico, dall’altro ci sono ambienti in cui l’intelligenza artificiale viene repressa, ignorata, demonizzata.
E il risultato è che due studenti, a parità di età e di sistema educativo, ricevono una preparazione radicalmente diversa rispetto a queste tecnologie che, nel loro futuro lavorativo, saranno onnipresenti.
In molti casi, il rifiuto di processi che integrino l’IA rappresenta una forma di difesa. Non è raro il timore di perdere la propria autorevolezza di fronte a uno strumento in grado di rispondere, a volte meglio, a una domanda complessa. In altri casi, la preoccupazione riguarda la possibilità di essere “sostituiti” o l’imbarazzo di fronte a una comprensione solo parziale delle modalità di applicazione. Paure legittime che meritano un accompagnamento e non una condanna.
La scuola e la tecnologia che manca
C’è poi un aspetto pratico, troppo spesso dimenticato. Parliamo tanto di transizione digitale ma ci si dimentica che in molte scuole italiane i laboratori informatici hanno ancora PC obsoleti, connessi a reti internet instabili, e non è raro imbattersi in vecchi floppy disk dimenticati nei cassetti, reliquie di un tempo del tutto superato.
In questo contesto, anche l’insegnante più motivato si trova con apparecchiature inadatte a una sperimentazione concreta. La questione tecnologica si rivela quindi profondamente politica: l’equità di accesso alla cultura digitale è oggi un indicatore chiave della democrazia educativa. Non basta formare i docenti, serve metterli nelle condizioni di poter esercitare la formazione ricevuta.
Le tre paure degli insegnanti: perdere l’autorevolezza, non capire, essere sostituiti
L’intelligenza artificiale, per chi educa, mette in discussione almeno tre elementi fondamentali della professione del docente:
- Il timore di perdere autorevolezza: se uno strumento è in grado di generare risposte, riassunti, analisi con un clic, qual è il ruolo dell’insegnante? La risposta sta nel rafforzare la funzione guida del docente, divulgatore di contenuti ma anche facilitatore, interprete e allenatore del pensiero critico.
- La difficoltà di apprendimento: molti docenti sono stati lasciati soli a orientarsi tra interfacce e prompt, senza un percorso chiaro di accompagnamento. La sensazione, per alcuni, è di essere stati catapultati in un altro mondo senza biglietto di ritorno. Eppure, proprio l’esperienza pedagogica può diventare la chiave per rendere l’IA uno strumento al servizio dell’apprendimento, non un ostacolo.
- Paura di essere sostituiti: l’insegnante non è (né sarà) rimpiazzato da una macchina, è un’interfaccia umana insostituibile, in grado di ascoltare, accogliere, contestualizzare. L’IA può produrre contenuti ma solo un docente può leggere gli occhi di uno studente spaesato e intuire che dietro una risposta sbagliata c’è un problema più grande. Nessun algoritmo ha questa sensibilità.
Aneddoti di una trasformazione possibile
In molti casi, l’approccio inizialmente diffidente verso l’intelligenza artificiale si trasforma in curiosità attiva una volta messe in campo le sue potenzialità. L’entusiasmo suscitato da strumenti come ChatGPT consente agli insegnanti di superare le prime resistenze e iniziare a sperimentare.
Questa fase di scoperta, tuttavia, convive con la consapevolezza dei limiti: situazioni come gli errori generati dai modelli linguistici o l’uso scorretto dei dati mostrano quanto sia importante usare questi strumenti in modo consapevole e responsabile. L’intelligenza artificiale, in ambito scolastico, si configura dunque come una risorsa da esplorare con equilibrio: non da rifiutare né da esaltare in modo acritico ma da comprendere, contestualizzare e integrare con competenza nella pratica educativa.
Il test delle immagini: umano e artificiale a confronto
Nel corso di un laboratorio rivolto a oltre cento insegnanti, è stato proposto un esperimento semplice: dieci coppie di immagini, una generata da un’intelligenza artificiale, l’altra realizzata da un’artista umano, sono state accostate e i docenti coinvolti dovevano identificare quale delle due fosse realizzata dall’IA. Nessuno è stato in grado di fornire tutte le risposte corrette. Alcuni errori risultavano comprensibili considerando l’immagine di riferimento, altri invece sorprendentemente grossolani. Ma l’aspetto più rilevante emerso durante il test è stato l’atteggiamento con cui si è affronto il dubbio: chi si concentra esclusivamente sul tentativo di “smontare” l’IA tende spesso a sottovalutarne le capacità, chi al contrario ne enfatizza l’accuratezza rischia un’eccessiva delega.
Come spesso accade, la via più equilibrata è anche la più impegnativa: richiede esercizio, capacità di osservazione, una formazione continua e impone di riconoscere che l’intelligenza artificiale è ormai a tutti gli effetti una componente strutturale del presente educativo.
La vera innovazione? Nell’approccio, non negli strumenti
Ciò che queste esperienze rendono evidente è che il vero campo di battaglia non si gioca in ambito tecnologico quanto su un terreno culturale. Non a caso, le sfide che l’intelligenza artificiale porta nella scuola, e più in generale nel mondo del lavoro e della formazione, sono di fatto profondamente umane.
Serve quindi un approccio nuovo, capace di coniugare competenza e umiltà, rigore e sperimentazione. Un approccio che riconosca che i ragazzi non devono essere difesi dall’intelligenza artificiale ma educati per un’interazione che mantenga senso critico. In questo panorama, gli insegnanti devono guidare i loro studenti in questa esplorazione e ogni processo di trasformazione digitale sarà davvero efficace solo se saprà valorizzare e coinvolgere chi, ogni giorno, costruisce il sapere in aula.
Oggi l’IA entra nella scuola come uno specchio: riflette le nostre incertezze, le nostre visioni pedagogiche, la distanza, a volte enorme, tra retorica e realtà. E ci chiede, una volta in più, di non limitarci a “usarla” ma di comprenderla. Perché, in fin dei conti, la cultura digitale si misura dalla qualità del pensiero che accompagna le nuove tecnologie.











