Dal 31 luglio 2025 è entrato in vigore lo “stop ai gettonisti”: ospedali e strutture sanitarie pubbliche non potranno più reclutare nel SSN medici (o altri sanitari) liberi professionisti.
Come assicurare continuità assistenziale e qualità delle cure tutelando il benessere dei professionisti? Le risposte passano da modelli organizzativi più trasparenti e integrati a una gestione sostenibile dei reparti.
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Lo stop ai gettonisti e l’impatto sugli ospedali
Numerose Aziende Sanitarie Locali hanno espresso preoccupazione per l’impatto operativo che potrebbe derivare dalla riduzione di medici liberi professionisti, soprattutto nei periodi di maggiore pressione, come l’estate, quando i pronto soccorso registrano picchi di accesso: in molti contesti, infatti, questi professionisti rappresentano oggi una componente integrata dell’organizzazione dei reparti, contribuendo alla continuità dei servizi e al mantenimento degli standard assistenziali.
I numeri della carenza: 30mila medici mancanti e 80mila fuori dal pubblico
Secondo un’analisi del centro studi Crea Sanità[1] mancano circa 30.000 medici per soddisfare pienamente il bisogno di assistenza sanitaria nazionale e un settore particolarmente critico è la medicina di base, dove la carenza è di circa 5.500 medici[2]. Il personale medico dipendente del SSN, quindi, opera spesso in un contesto caratterizzato da dotazione organica limitata, che può tradursi in turni prolungati, ridotta disponibilità di riposi e un ricorso frequente agli straordinari. Secondo una survey condotta da FADOI[3] su un campione di 2000 operatori, in Italia ammette di essere in burnout un medico su due (52%) e quasi un infermiere su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza raddoppia tra le donne, dove permangono difficoltà a conciliare lavoro e famiglia.
Le cause di questa situazione sono complesse e strutturali ma, di fronte a un sistema che rende difficile bilanciare vita private e professionale, molti medici scelgono di lasciare gli ospedali pubblici italiani: per Fondazione GIMBE sono circa 80.000 i sanitari che esercitano fuori del SSN, in ambito privato o come liberi professionisti. Tale dato che riflette una tendenza crescente: sempre più medici nel nostro Paese scelgono modalità di lavoro alternative al rapporto di dipendenza.
Ripensare il sistema senza colpevolizzare i medici
In questo scenario, la domanda è: come garantire un servizio sanitario di qualità senza trascurare il benessere dei medici? Occorre ripensare il sistema, evitando di colpevolizzare le scelte individuali e cercando soluzioni praticabili per ricostruire fiducia e motivazione nel personale clinico, che rappresenta il cuore della sanità pubblica.
Organici insufficienti e carico di lavoro insostenibile
Secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute, nel Servizio Sanitario Nazionale operano circa 101.827 medici (compresi gli odontoiatri, ma esclusi i medici di famiglia), vale a dire 4,25 ogni 1000 persone: considerando l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche, al fine di colmare le uscite per pensionamento e la carenza strutturale di personale, il SSN dovrebbe assumere 15.000 medici ogni anno nei prossimi dieci anni[4]. Il vuoto di organico è una delle sfide più impellenti per il Sistema Sanitario Nazionale, e in questa situazione è richiesto a medici e infermieri di sostenere carichi di lavoro sproporzionati per coprire la domanda di cure a livello nazionale.
Sebbene l’orario contrattuale per un medico dipendente del SSN sia in Italia di 38 ore settimanali, nella realtà si lavora in media circa 44 ore[5], con punte di 60-70 ore settimanali nei periodi critici che superano anche le direttive europee, secondo le quali la durata massima della settimana lavorativa del personale sanitario è di 48 ore.
A fronte di questo impegno, vi è un riconoscimento economico generalmente considerato inadeguato, in quanto l’Italia è tra le nazioni europee con le retribuzioni più basse per i medici ospedalieri: dopo il nostro Paese, solo Grecia, Estonia e Portogallo.
Burnout diffuso: oltre il 70% dei medici a rischio
Uno studio condotto in Lombardia[6] ha rilevato che oltre il 71,6% dei medici sospetta di avere sperimentato il burnout almeno una volta nella vita, mentre quasi il 60% teme di poterne soffrire in futuro. Anche a livello nazionale, le indagini confermano un quadro preoccupante: il 57% dei medici italiani segnala un aumento dei carichi orari negli ultimi anni e il 35% individua nella carenza di personale la principale causa di stress lavorativo[7]. Il carico di lavoro eccessivo si traduce troppo spesso nell’impossibilità di staccare e recuperare le energie: sebbene i sanitari dipendenti abbiano diritto a circa 30-32 giorni di ferie all’anno, il sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed ha calcolato che ammontano a circa 5 milioni le giornate di ferie non godute né monetizzate da parte di chi lavora nel SSN[8].
Le soluzioni sistemiche per riequilibrare il lavoro dei medici
Le cause delle difficoltà che affrontano oggi i medici del Servizio Sanitario Nazionale sono complesse, stratificate e radicate in decenni di scelte politiche, vincoli normativi e cambiamenti demografici.
Sebbene non sia realistico pensare di risolvere un problema così profondo in poche mosse, una strada utile potrebbe essere quella di considerare l’utilizzo dei medici liberi professionisti non come una soluzione emergenziale, ma come una risorsa da integrare in modo strutturato e responsabile. Seguendo questa via, tra l’altro, si potrebbe pianificare una migliore gestione dei costi arrivando sostanzialmente a pareggiare il costo lordo di un freelance a quello di un dipendente.
Équipe indipendenti sotto regia pubblica: il modello possibile
In quest’ottica, un modello da esplorare è quello delle équipe di medici indipendenti all’interno delle strutture pubbliche – rigorosamente sotto la regia della direzione sanitaria – con obiettivi chiari, costi trasparenti e standard condivisi. Questo approccio consente di garantire continuità assistenziale nei reparti più critici (come il pronto soccorso o l’anestesia) senza rinunciare al controllo pubblico sulla qualità delle cure, ma alleggerendo al contempo il carico sui medici strutturati.
Rafforzare il ssn nel lungo periodo
Un modello operativo in questa direzione prevede l’uso di strumenti digitali che consentono alle strutture pubbliche di pianificare i turni con mesi di anticipo, monitorare le ore effettive, garantire la tracciabilità degli incarichi e il rispetto dei tempi di riposo. In questo modo il personale medico viene selezionato, fidelizzato e integrato nei protocolli clinici della struttura, riducendo il ricorso a logiche emergenziali, l’elevato turnover e le intermediazioni. Tali sistemi possono inoltre generare un risparmio stimabile tra il 16% e il 30% rispetto all’esternalizzazione del personale sanitario.
Si tratta, insomma, di trovare soluzioni concrete che non intendono sostituirsi al SSN ma, al contrario, lo rafforzino, aiutandolo a rimanere attrattivo per i professionisti sanitari e sostenibile nel tempo. Perché il SSN rappresenta una delle conquiste più alte della democrazia italiana e, come tale, occorre proteggerlo con soluzioni pragmatiche, coraggiose, e visione di lungo periodo.
Note
[1] Crea Sanità 2023 – Risorse umane
[3] 28° Congresso Nazionale della Società scientifica della Medicina Interna – FADOI











