La single question interface potrebbe rappresentare la prossima rivoluzione dei siti web: non più homepage, menù di navigazione e pagine da esplorare, ma un semplice campo dove fare domande e ottenere risposte immediate da un’intelligenza artificiale.
Una trasformazione che nasce dall’evoluzione delle abitudini digitali degli utenti, sempre meno disposti a leggere e navigare contenuti tradizionali.
Giorno dopo giorno la ricerca di informazioni diventa sempre più pigra. Apriamo una qualsiasi piattaforma AI e chiediamo quello che ci serve. Con Google AI Overview la cosa è peggiorata, o migliorata, a seconda di come vogliamo vederla. Questo fenomeno sta cambiando radicalmente il modo in cui fruiamo le informazioni online. E forse ci porterà a non essere più capaci di leggere testi più lunghi di un output AI medio.
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L‘invasione silenziosa dell’intelligenza artificiale
Ma il problema va oltre i motori di ricerca. L’altro giorno, mentre cercavo di prenotare una pizza, ho aperto WhatsApp e mi sono trovato davanti la solita icona rotonda che mi invitava silenziosamente a “Chiedere a Meta AI”. Stamattina su un sito un gentilissimo chatbot mi ha chiesto se avevo bisogno di aiuto prima ancora che riuscissi a fare login. Perfino il robot aspirapolvere ha il suo assistente integrato. E non finisce qui: ora sotto ogni post di Facebook spuntano pulsanti che propongono domande preconfezionate all’AI di Meta, apparentemente inutili ma secondo me progettate per creare assuefazione.
AI, AI dappertutto! Aiuto! Purtroppo difficilmente diciamo di no a queste comodità, anzi. Ma sono proprio queste facilitazioni che ci stanno trasformando in una generazione di Sonnambuli Digitali, sempre più pigri, frettolosi e, come dicono i padroni del vapore, “smart”. Ma non credo sia una cosa da festeggiare: ogni secondo risparmiato a fare una vera ricerca o a leggere un contenuto intero è un secondo che passeremo a guardare un reel, se non peggio.
La pigrizia digitale nei numeri: cosa dicono i dati
La ricerca di Kevin Indig ha dimostrato che il 70% degli utenti non legge oltre il primo terzo delle risposte di AI Overview, il CTR crolla di due terzi quando compare il box di Google, e nel 59% delle sessioni gli utenti interagiscono solo con l’AI senza nemmeno sfiorare i risultati organici. Pigrizia digitale sistemica che sta cambiando il modo in cui concepiamo l’informazione stessa. Ma questo è solo l’inizio.
La morte del sito web tradizionale è davvero vicina
Tutta questa evoluzione verso un utilizzo spinto dell’AI conversazionale porterà alla morte del web così come lo conosciamo. E ve lo dico da chi sostiene da sempre che il sito web è imprescindibile, soprattutto per le aziende, e che ha costruito la propria filosofia sulla “back to home strategy”, come racconto nel libro Digitalogia. Se continuiamo così, forse questa è la volta buona che i siti tradizionali moriranno davvero. Però non nel senso che non avremo più i nostri bei www per mostrare e raccontare le nostre attività, le nostre aziende, i nostri prodotti, i nostri servizi. Semplicemente potrebbe estinguersi il sito web come lo conosciamo oggi: con una bella home page, un menù di navigazione, bellissime foto e schede prodotto, blog con sapiente storytelling e un sacco di informazioni organizzate in pagine e sezioni.
Dalla navigazione alla conversazione: il cambio di paradigma
Il percorso che stanno facendo le interfacce e le esperienze utente sta cambiando la percezione di come si fruiscono le informazioni. Non si tratta dell’ennesima moda di design, di grafica ispirata al solito “nuovo” iOS… Le persone, pian piano, sono sempre più convinte che scrollare, aprire menu e navigare tra le pagine siano delle grandi perdite di tempo, e noi con loro. E se consultare pagine web, schede prodotto, articoli sarà considerato una perdita di tempo, chi lo farà più?
Google ci ha già abituati alla semplicità estrema
Questo mi porta a interrogarmi sul futuro dei siti web stessi. Cosa succederebbe se, tra qualche anno, gli utenti preferissero siti basati su una sorta di “single question interface”, un’interfaccia a domanda singola, piuttosto che su una navigazione tradizionale?
Se ci pensiamo, per anni il caro vecchio Google di allora è stato il simbolo stesso della semplicità digitale, portato come esempio in corsi di web design e conferenze: una pagina bianca, un logo colorato e un singolo campo di testo. Milioni di persone hanno imparato a usare il web proprio da lì. Siamo già abituati a digitare una domanda invece di esplorare. La novità, oggi, è che non ci limitiamo più a chiedere e poi leggere una pagina web: vogliamo risposte già pronte, senza nemmeno dover scegliere quale risultato aprire.
Quando la porta d’ingresso diventa una conversazione
Invece di cliccare su pagine e menu, chiederebbero semplicemente qualsiasi cosa sul nostro prodotto, servizio o azienda e otterrebbero risposte immediate. Questo cambierebbe il modo in cui concepiamo la presenza digitale. Il sito web rimane la nostra vera casa digitale, come dico spesso, ma la porta d’ingresso potrebbe diventare una conversazione, non una homepage. Bello, brutto? Non saprei al momento dirlo.
Il cortocircuito perfetto tra google e i nostri siti
Il paradosso sarebbe perfetto: da una parte Google AI Overview che fagocita e digerisce informazioni dai nostri siti web restituendo risposte belle e pronte senza mandarci visitatori, dall’altra noi che, al posto di pagine web da fagocitare, trasformiamo un sito web in un assistente che dà informazioni in base alle domande del navigatore. Un cortocircuito grande e grosso. Per ora è solo un’ipotesi, ma che parte da quello che vediamo tutti ogni giorni. Fra quello che osservo in giro e quello che ho potuto sperimentare di persona, molti siti che forniscono un chatbot alimentato da AI conversazionali allenate sul knowledge del sito stesso e della relativa azienda/prodotto iniziano a ricevere un sacco di domande di cui la risposta sarebbe già lì, pronta, nella pagina web stessa o a pochi click da lì. Persone che chiedono se un determinato prodotto fa una certa cosa, sebbene sul sito siano ben elencate le funzionalità. Utenti che chiedono come risolvere un problema a cui si poteva porre rimedio consultando le FAQ. E così via.
Il vero problema: le allucinazioni dell’intelligenza artificiale
Già ora, dove c’è una “question interface”, i contenuti delle pagine web arrancano a causa dell’abitudine del “chiedere all’AI”. Figuriamoci con il passare dei mesi e con il potenziamento continuo delle conversazioni artificiali. Ma non è oro tutto quello che luccica, e qui emerge il vero problema: se arriveremo davvero alla “single question interface”, chi potrà essere sicuro di quello che l’AI risponderà all’utente?
Le allucinazioni delle intelligenze artificiali sono un problema noto e documentato: sistemi che inventano informazioni, che confondono dati, che mescolano fonti diverse creando risposte plausibili ma sbagliate. Io stesso, l’altro giorno, ho chiesto a ChatGPT di riassumermi un documento che avevo caricato. Mi ha dato una sintesi perfetta, convincente, dettagliata. Peccato che fosse completamente inventata: aveva preso alcuni punti reali e costruito sopra una narrazione di fantasia, avete presente, vero?
Quando l’ai sbaglia sul nostro sito: chi paga il conto
Immaginate un potenziale cliente che chiede informazioni su un vostro prodotto e l’AI del vostro sito, in un momento di “creatività algoritmica”, gli consiglia un prodotto della concorrenza, o fornisce caratteristiche tecniche completamente inventate, o sbaglia i prezzi.
Come ho scritto parlando delle nuove truffe con il deepfake, nessuno, nemmeno i produttori di AI, sa esattamente come funzionano questi algoritmi. Si va per tentativi ed esperimenti, che a volte funzionano, a volte no, e spesso ci si azzecca per qualche settimana. Il problema: “quando” l’AI sbaglierà una risposta sul nostro sito, non “se”. E chi si prenderà la responsabilità di una vendita persa, di un cliente deluso, di un’informazione sbagliata che ha generato problemi legali o danni di immagine?
Soluzioni costose e alternative rischiose
Ovviamente ci sono sistemi appositi per avere delle conversazioni artificiali chiuse, con un perimetro ben studiato per cercare di evitare allucinazioni o informazioni al di fuori del knowledge, ma spesso sono costosi o richiedono molto tempo per essere implementati ed allenati. E chi non potrà permetterselo? Finirà per usare una delle tre o quattro AI più famose pur di avere anche lui la sua bella soluzione “single question interface” perché (e spero di no) sarà di moda. E ancora, chi penserà al risparmio credendo che un sito con un singolo campo di ricerca e null’altro gli faccia risparmiare soldi? Stessa risposta, AI famosa e via!
Perdere il controllo anche dentro casa propria
Il controllo, che con la back to home strategy dovevamo riconquistare dalle piattaforme esterne, rischia di sfuggirci completamente anche dentro casa nostra. Perché un conto è decidere cosa pubblicare su una pagina web, cosa mettere in evidenza, come strutturare l’informazione. Un altro conto è delegare a un algoritmo la libertà di interpretare, rielaborare e restituire informazioni sulla nostra attività senza sapere esattamente cosa dirà e come lo dirà.
Dalla cultura dell’esplorazione alla gratificazione immediata
Stiamo assistendo a una trasformazione che va oltre la semplice evoluzione tecnologica e la semplice nuova moda di design delle interfacce: da una cultura che prevedeva la ricerca, la scoperta, l’esplorazione di contenuti, stiamo passando a una cultura dell’immediata gratificazione informativa. Non più esplorare, ma attendere risposte come fossero pacchi Amazon.
La nuova dipendenza: algoritmi che decidono al posto nostro
Questo processo sta creando una nuova forma di dipendenza, diversa da quella che ho sempre criticato nei confronti degli algoritmi dei social. Se prima eravamo dipendenti dalle piattaforme esterne che decidevano chi poteva vederci e quando, ora rischiamo di diventare dipendenti da sistemi di AI che decidono cosa dire e come dirlo al posto nostro, con buona pace di qualsiasi perimetro ci costruiremo attorno. La differenza è che questa volta la dipendenza nasce dentro casa nostra, nel nostro sito, nel nostro spazio digitale che credevamo controllato. La spirale è evidente: gli utenti sono meno disposti a leggere pagine web tradizionali, quindi implementiamo interfacce conversazionali. Più implementiamo interfacce conversazionali, più perdiamo il controllo su come vengono comunicate le nostre informazioni. Più perdiamo questo controllo, più dipenderemo dalla qualità e dall’affidabilità di algoritmi che non comprendiamo fino in fondo. Né noi, né chi li costruisce.
Questa trasformazione è davvero inevitabile?
E a volte mi chiedo se sia davvero inevitabile. Poi mi guardo intorno e vedo persone che chiedono a Siri di fare i calcoli invece di aprire la calcolatrice, vedo persone che preferiscono chiedere a ChatGPT piuttosto che leggere tutorial approfonditi fatti da esseri umani sul campo. E mi rispondo: sì, forse lo è. Almeno per ora. L’AI conversazionale deve essere un potente strumento di miglioramento dell’esperienza utente, ma deve rimanere uno strumento, non diventare il padrone di casa. Stiamo abituando un’intera generazione di utenti a non leggere più, a non esplorare più, a non scoprire più. Li stiamo abituando a ricevere risposte immediate senza mai fare domande approfondite. E parallelamente stiamo allenando noi stessi, come creatori di contenuti e gestori di siti web, a delegare sempre di più la comunicazione a sistemi automatici.
Mantenere il controllo in un’epoca difficile
Come dico spesso, non è un’epoca facile, ma è l’unica che abbiamo. E dobbiamo adeguarci, giorno dopo giorno, senza perdere di vista quello che ci rende umani: la capacità di controllare i nostri strumenti invece di farci controllare da loro.
Spero che il web che tanto amo e ho collaborato a creare rimanga per più tempo possibile un luogo di scoperta, di navigazione, di informazione e di salto da un link all’altro. Ma è sotto gli occhi di tutti che già ora questa visione romantica si sta sbiadendo, fra popup, banner, clickbait e contenuti copia e incolla. Figuriamoci quando scoppierà la moda della “single question interface”. Chi vivrà vedrà.












