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Droni navali, flotte ibride: la nuova frontiera della guerra sul mare



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Con l’avvento dei droni e i cambiamenti che hanno interessato il modo di fare guerra, c’è chi pensa che le portaerei cadranno man mano in disuso e chi le sta già riadattando ai giorni nostri

Pubblicato il 29 ott 2025

Marco Santarelli

Chairman of the Research Committee IC2 Lab – Intelligence and Complexity Adjunct Professor Security by Design Expert in Network Analysis and Intelligence Chair Critical Infrastructures Conference



norme sui droni droni navali

Con l’evoluzione del modo di fare guerra e l’avvento delle nuove tecnologie, in primis i droni, le portaerei che per decenni hanno dominato i nostri mari potrebbero andare fuori uso, come sostiene Mark Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff americano dal 2019 al 2023, in quanto “Sono grandi pezzi di acciaio che, mi dispiace dirlo, hanno vissuto il loro momento di gloria a Midway”. Ma c’è anche chi, invece, si sta preparando a progettarne e costruirne di nuove, come America, Cina, Francia e India, per adattarle alle nuove strumentazioni, come i droni, i quali, rispetto agli aerei, possono essere sviluppati in tempi più rapidi, possono essere più aggressivi e arrivano più lontano dei jet a raggio corto.

Le marine del mondo e la corsa ai droni navali

La marina americana lo scorso agosto ha dichiarato di aver assegnato contratti per la progettazione di grandi droni da combattimento, chiamati “loyal wingmen”, ossia gregari fedeli, capaci di accompagnare i jet con equipaggio al largo delle portaerei, a quattro aziende del settore difesa. La Turchia ha in programma di schierare droni armati sulla TCG Anadolu, nave d’assalto anfibia, mentre la Francia punta a droni più piccoli da far volare dalla futura portaerei entro il 2038 e droni armati più grandi entro il 2040. Corea del Sud e Cina hanno, invece, anticipato i tempi: lo scorso novembre la Corea del Sud ha innalzato il Mojave, un grande drone con una capacità di 1.600 kg dalla ROKS Dodko, nave simile a quella turca, mentre la Cina, sempre lo scorso anno, ha varato la Type 076, la più grande classe di navi d’assalto anfibie al mondo, dotata di una catapulta in grado di lanciare grandi droni.

Il progetto britannico per una flotta aerea completamente autonoma

Tuttavia, è della Royal Navy britannica il progetto più ambizioso, che consiste nello schierare entro i prossimi cinque anni una flotta aerea ibrida composta da droni e jet con equipaggio, come ha dichiarato a The Economist il generale Sir Gwyn Jenkins, a capo della marina britannica dallo scorso maggio. A parte due eccezioni, i jet F-35, progettati per durare fino al 2060 e gli elicotteri che trasportano persone, si prospetta che entro il 2040 la flotta aerea sarà completamente senza equipaggio. Ai droni il compito di occuparsi dell’allerta aerea, rifornire in volo, combattere la guerra antisommergibile e svolgere alcune missioni di attacco.

Perché i droni rendono le operazioni navali più efficienti ed economiche

Sviluppare velivoli che non necessitino di equipaggio nasce dalla volontà di snellire il lavoro degli aerei con equipaggio, lasciando a questi ultimi le attività che solo loro possono svolgere e il lavoro pesante ai droni, che hanno le potenzialità, tra l’altro, per svolgerlo in tempi più rapidi.

Inoltre, sostituendo gli aerei con i droni si abbattono le perdite in tempo di guerra: i droni sono “meno costosi da perdere, più facili da sostituire e più facili da mantenere”, secondo il generale Jenkins, quindi, se ne possono acquistare anche in numero maggiore.

Infine, i droni permettono una progettazione diversa, infatti, come sostiene il generale Jenkins, “Un sistema senza pilota non deve essere sottoposto allo stesso livello di controllo in materia di salute e sicurezza”, il software può essere aggiornato frequentemente e l’hardware non ha bisogno di test e certificazioni continue negli anni.

La sfida dell’attacco: i droni possono sostituire i jet da combattimento

Se i gruppi da battaglia delle portaerei hanno come obiettivo primario quello di attaccare, siamo sicuri che i droni possano sostituirli per farlo? Finora sono stati testati sulla ricognizione, sulla caccia ai sottomarini e la logistica, ma l’attacco è un compito ben più complesso. Secondo Mark Montgomery, contrammiraglio americano in pensione un tempo a capo di un gruppo da battaglia americano in Asia, i droni possono essere sfruttati da combattimento a lungo raggio “penetranti”, invisibili, per lanciare armi a distanze molto maggiori rispetto agli F-35B (questi ultimi arrivano a 1000 km di distanza dalla nave madre prima di dover tornare indietro). Il drone sopracitato Mojave è stato testato, oltre che dalla Corea del Sud, anche dalla Gran Bretagna, per trasportare armi e missili, ma quando è armato, si riduce la sua autonomia a causa anche del peso delle armi a lungo raggio. Affinchè si possa raggiungere lo scopo, alcune forze aeree e navali stanno progettando droni più avanzati, come i cosiddetti CCA in America, Collaborative Combat Aircraft, velivoli da combattimento collaborativi, e gli ACP, Autonomous Collaborative Platforms, piattaforme collaborative autonome, in Gran Bretagna. La differenza rispetto ai droni sfruttati dall’Ucraina nel conflitto con la Russia, sta nella sensoristica e nella complessità generale della tecnologia, ma anche nei costi, infatti, i CCA potranno arrivare a costare tra i 20 e i 30 milioni di dollari ciascuno.

Test e limiti tecnologici dei droni autonomi sulle portaerei

Questi nuovi droni potrebbero finire per scortare gli F-35 in mare, secondo il generale Jenkins, raccogliere informazioni, fare da esche, trasportare armi, riuscendo a spingersi molto oltre rispetto a quanto riescono oggi a fare gli aerei con equipaggio e fare quasi loro da scudo. In America già quest’anno avranno luogo i test di volo dell’MQ-25 Stingray, un grande drone di rifornimento che imbarcherà sulle portaerei dal prossimo anno, andando a sostituire i caccia F/A-18, consentendo loro di dedicarsi a compiti di combattimento più urgenti. Vanno considerati, però, alcuni aspetti ancora da affinare. Ad esempio, in caso di impossibilità da parte del pilota di comunicare con il drone, se ne potrebbe compromettere l’efficacia e la sicurezza, portandolo a interrompere la missione o ad agire autonomamente. Finché si tratta di monitorare un’area o trasportare pezzi di ricambio, siamo di fronte ad un compito semplice, ma nel caso di sferrare un attacco letale, un compito ben più complicato, sarà fondamentale il supporto di tecnologie avanzate a bordo del drone. Da qui dimensioni maggiori per consentire al drone di ospitare i computer e i sensori e costi più elevati.

Intelligenza artificiale e decisioni letali: le questioni etiche irrisolte

Altro aspetto da non sottovalutare è la capacità delle macchine di distinguere una nave da guerra da una civile, come la nave ospedale. In questo caso si dovrebbero riportare i criteri che già gli esseri umani utilizzano per identificare il bersaglio, che prendono in considerazione, ad esempio, la forma di una nave e le emissioni elettroniche, su un algoritmo che possa replicare la stessa attività in autonomia.

Sulla possibilità di lasciare l’utilizzo degli aerei da combattimento senza equipaggio nelle mani dell’intelligenza artificiale nei prossimi dieci o vent’anni ci sono anche alcune riserve, ma il progetto anglo-italiano-giapponese per la costruzione di un jet di sesta generazione e il programma americano equivalente, chiamato F-47, prevedono già un aereo con “equipaggio opzionale” con cabina di pilotaggio tradizionale.

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