blind seeding

Marketing alla cieca: quando nascondere il brand paga di più



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Nel blind seeding il prodotto parla da sé, senza marchi o vincoli narrativi. Un approccio che conquista credibilità, ridefinisce la relazione tra brand e creator e apre nuove prospettive per il marketing B2B

Pubblicato il 3 nov 2025

Stefano Gazzella

DPO, giornalista Of counsel di Area Legale s.r.l. Responsabile Comitato Scientifico Assoinfluencer

Lisa Santillo

Membro del Comitato Scientifico di Assoinfluencer, Marketing Specialist wethod



blind seeding

Inviare un prodotto non brandizzato a un pool di creator selezionati può sembrare un azzardo.

Eppure, l’esperimento di Peach & Lily ha dimostrato che ridurre il branding può aumentare la credibilità e l’engagement. È un segnale utile anche per le imprese B2B: in un contesto in cui fiducia e reputazione sono leve strategiche, il blind seeding può essere uno spunto per ripensare la comunicazione digitale, dando più spazio all’autenticità delle relazioni piuttosto che alla spinta promozionale.

Il caso Peach & Lily: un lancio fuori dagli schemi

Il lancio svolto da Peach & Lily, brand beauty ispirato alla K-beauty, è destinato a far parlare di sé ed è già stato oggetto di studio per essere replicato come metodo. Quello che è sembrato se non un azzardo quanto meno insolito nella presentazione del nuovo siero, è invece il preludio di una trasformazione in atto nel marketing. Invece di inviare ai creator il prodotto con il suo packaging, il logo del brand ed eventuale materiale promozionale a supporto, l’azienda ha optato per un “blind seeding”: flaconi anonimi (non brandizzati), nessuna indicazione specifica, nessuna richiesta di pubblicare contenuti. Totale libertà e focus sul messaggio del creator.

Il risultato? All’evento di presentazione a New York, a poche ore dal lancio ufficiale, il brand aveva già generato un milione di impression e un tasso di engagement di cinque volte superiore rispetto alle campagne precedenti.

Un successo che non è frutto del caso, ma l’esito di una strategia ben precisa: lasciare che siano i creator a raccontare il prodotto con la loro voce, senza il filtro della comunicazione aziendale. In pratica la scommessa si poggia sulla scelta di ridurre al minimo il rischio di contaminazione dell’autenticità del creator, considerata l’elevata sensibilità del pubblico a riguardo.

Perché il blind seeding funziona?

Il blind seeding si basa su tre elementi chiave:

  • Curiosità: l’anonimato genera attesa e stimola il desiderio di scoperta, un meccanismo psicologico che cattura l’attenzione in un ecosistema digitale affollato.
  • Autenticità: i creator parlano senza vincoli, recensendo il prodotto in modo sincero o quanto meno percepito come tale dal pubblico.
  • Competenza: la scelta di coinvolgere figure con expertise (nel caso di Peach & Lily dermatologi e make-up artist) garantisce contenuti affidabili e approfonditi, aumentando la fiducia nei confronti del prodotto.

Questi elementi sono replicabili anche al di fuori del settore beauty, perché rispondono a dinamiche universali del marketing contemporaneo: saturazione dei messaggi, necessità di distinguersi, ricerca di fiducia. Tutto ciò ha portato all’esigenza del marketing di evolversi fino a reinventarsi, mettendo in discussione finanche tutto ciò che fino all’altro ieri era un pilastro intoccabile. Come la centralità del brand, ad esempio.

Cosa significa per le imprese (anche B2B)

Se nel settore beauty il blind seeding è stato un esperimento pionieristico, anche altre aziende e finanche quelle che operano nel B2B possono essere in grado di trarne spunti concreti.

Oggi, le imprese si muovono infatti all’interno di un contesto in cui:

  • la fiducia è una risorsa rara: stakeholder, partner e clienti cercano interlocutori credibili piuttosto che semplici slogan;
  • la reputazione è un asset competitivo: un brand che si affida a figure competenti del settore per testare il prodotto e permette loro di raccontarne liberamente l’esperienza senza imporre messaggi “prefabbricati”, dimostra di favorire autenticità e trasparenza.
  • la comunicazione digitale ha bisogno di nuove formule: la logica top-down tradizionale lascia sempre più spazio a forme di co-creazione in cui le persone coinvolte (creator, esperti, community) diventano parte attiva della narrazione di marca.

Combinare questi tre fattori critici di successo è fondamentale, ma è una vera e propria opera di alchimia digitale. Per alcuni, persino un azzardo. Eppure è un’azione in grado di creare valore proprio laddove si percepiva invece l’effetto di una dispersione dello stesso.

Pensiamo ad un’azienda energetica che lancia un nuovo servizio digitale o a un’impresa agroalimentare che presenta un prodotto innovativo: lasciare che alcune figure di spicco e con competenze specifiche in quel settore possano sperimentare liberamente, godendo del più ampio campo di creatività nel modo in cui scegliere di raccontarlo è ciò che genera quella maggiore fiducia rispetto a una campagna tradizionale. Inoltre, previene gran parte dei problemi di pubblicità ingannevole semplicemente evitando alla base alcune delle componenti che potrebbero cagionare effetti distorsivi nella comunicazione ben oltre i margini non solo dell’accettabile per i consumatori, bensì del lecito per le autorità di vigilanza e regolamentazione.

Prospettive per il futuro della comunicazione digitale

Il blind seeding costituirà uno dei catalizzatori per un cambio di paradigma nel futuro della comunicazione d’impresa. Ecco alcune riflessioni che possono aiutare a rendere questo approccio non solo originale, ma anche sostenibile e rilevante per un pubblico B2B esperto.

  • Metriche qualitative da integrare: oltre a reach, impression e vendite, diventa essenziale monitorare metriche come sentiment, interazioni autentiche nei commenti, numero di domande tecniche ricevute, richieste di approfondimento, coinvolgimento della community.
  • Selezione rigorosa delle figure coinvolte: non basta scegliere “esperti generici”, ma professionisti che il target riconosce come credibili (per esempio ricercatori, tecnici di settore, opinion leader accademici), così da evitare endorsement superficiali e rafforzare l’autorità.
  • Strutture ibride: combinare il seeding anonimo o semi-anonimo con il reveal successivo, o con campagne che integrano UGC (user-generated content) può creare curve narrative interessanti, passando dal mistero alla scoperta fino al coinvolgimento attivo.
  • Gestione del rischio reputazionale: la libertà narrativa non deve prescindere da una supervisione attenta. È utile predisporre briefing “soft” (non messaggi precostituiti, ma linee guida sui valori, sui messaggi chiave e su eventuali aspetti tecnici da evidenziare), effettuare controlli prima del lancio pubblico e monitorare attivamente le reazioni.
  • Adattamento al settore e al contesto normativo: per le aziende che operano in settori fortemente regolamentati (come salute, finanza e agroalimentare), o altrimenti in cui esistono degli standard condivisi, è essenziale assicurarsi che i messaggi tecnici e le esperienze riportate siano conformi alle normative e non possano dare adito ad ambiguità.

Questi elementi devono andare a comporre un pensiero complesso che troverà espressione all’interno di una strategia altrettanto accorta e puntuale nella progettazione, messa in opera e negli adattamenti tramite correttivi.

La rivoluzione silenziosa della credibilità

Il caso Peach & Lily è nato nel beauty, ma il valore di questo esperimento si colloca ben oltre. Il blind seeding è una dimostrazione del fatto che, nel marketing digitale, ridurre il logo non significa ridurre l’efficacia dell’azione. Anzi, può essere l’occasione per conquistare attenzione, costruire fiducia e stimolare conversazioni autentiche, approfondite, durature.

Per le imprese italiane e internazionali, anche nel B2B, questo deve fungere come un importante promemoria: in un’epoca in cui tutti comunicano, chi saprà lasciare che siano altri (esperti riconosciuti, community, creator autentici) a parlare, con libertà creativa e credibilità, potrà emergere non solo in termini di visibilità, ma anche di valore reale. Ecco come inizia la rivoluzione silenziosa della credibilità che, lentamente, si eleva a tratto distintivo del marketing futuro. Nulla di particolarmente sorprendente per chi ricorda quel “content is king” che ha tracciato le coordinate fondamentali della creator economy. Insomma: il contenuto è destinato a rimanere sovrano, nonostante temporanei interregni dominati dal brand del momento.

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