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L’AI è il nuovo petrolio dell’Arabia Saudita: una svolta che riguarda anche noi



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L’Arabia Saudita vuole esportare potenza di calcolo oltre al petrolio. Con investimenti su tecnologie e datacenter. Norme pionieristiche e alleanze, Riyad punta a diventare hub globale dell’intelligenza artificiale tra Europa, Asia e Africa

Pubblicato il 12 nov 2025

Antonio Deruda

Docente, analista e consulente



dubai e fintech

Per decenni l’Arabia Saudita ha fornito petrolio alle economie di tutto il mondo. Oggi ambisce a esportare una risorsa altrettanto cruciale: la potenza di calcolo. Per farlo il governo guidato da Mohammed bin Salman si è posto l’obiettivo di posizionarsi come nuovo hub globale dell’intelligenza artificiale, dopo Stati Uniti e Cina, intercettando la crescita degli investimenti in questo settore.

Potendo contare già su abbondanti disponibilità di riserve energetiche, terre e capitali, il Regno ha lanciato politiche pubbliche innovative, massicci investimenti in infrastrutture digitali, partnership internazionali con i giganti del settore tech e normative all’avanguardia che stanno attirando l’attenzione di molti analisti.

Arabia Saudita intelligenza artificiale: la legge sulle “data embassies”

Tra queste spicca la “Global AI Hub Law”, pubblicata ad aprile del 2025 e in fase di approvazione finale, che introduce la fattispecie delle “data embassies”. Si tratta di infrastrutture digitali localizzate in Arabia Saudita, ma sottoposte alla giurisdizione del Paese dei dati ospitati al loro interno. Un modello che supererebbe addirittura quello delle ambasciate fisiche dove, secondo la Convenzione di Vienna del 1961, le leggi dello Stato ospitante rimangono formalmente in vigore, ma è garantita l’inviolabilità dei locali e l’immunità del personale diplomatico.

Al contrario, nelle “data embassies” si mira a conferire una piena giurisdizione estera sui dati ospitati, svincolandoli dalle leggi nazionali, eccetto quelle sulla sicurezza e sull’ordine pubblico. È un ribaltamento dei modelli attuali di data residency: invece di imporre che i dati di un Paese restino nel suo territorio, la soluzione saudita propone che i dati possano risiedere in un territorio estero, ma continuando a ricadere sotto la legge della nazione originaria.

Arabia Saudita intelligenza artificiale: leva geopolitica dei dati

Questo meccanismo può diventare una leva geopolitica dai risvolti interessanti. Consentirebbe a Riyad di proporsi come custode neutrale dei dati di Stati che non dispongono di infrastrutture adeguate o che non vogliono cadere nella dipendenza tecnologica da Stati Uniti e Cina. In Medio Oriente e più in generale nei Paesi del Sud Globale, dove la capacità delle infrastrutture e la loro sicurezza sono ancora scarse, le “data embassies” offrirebbero un rifugio sicuro in cui conservare asset informativi critici senza rinunciare alla sovranità nazionale.

Tra Europa, USA e Cina: il posizionamento saudita

In uno scenario nel quale l’Europa discute di sovranità digitale interna ai propri confini, gli Stati Uniti rifiutano modelli che indeboliscano il loro dominio cloud e la Cina punta a soluzioni autarchiche, l’Arabia Saudita tenta invece la strada intermedia: custodire i dati senza imporre norme, offrendo al contempo spazi, energia, sicurezza e continuità operativa.

Arabia Saudita intelligenza artificiale: i poli di calcolo

Uno dei primi progetti cardine di questa strategia è un data center da 5 miliardi di dollari nel Nord-Ovest del Paese, vicino alla futura città di Neom (i dettagli ancora non sono stati resi noti). Sul lato opposto, sulla costa orientale, è pianificato un altro complesso di analoga scala. Questi due poli riflettono la visione geopolitica di Riyad: sfruttare la posizione a metà tra Europa, Asia e Africa per fungere da snodo di calcolo globale, riducendo la dipendenza di molti Paesi dai data center americani o cinesi.

Arabia Saudita intelligenza artificiale: governance e indici

La pioneristica proposta normativa del “Global AI Hub Law” si inserisce all’interno di una strategia nazionale di governance tecnologica molto più ampia. I primi passi sono stati compiuti nel 2020 con l’istituzione della SDAIA (l’Authority saudita per dati e AI), seguita pochi mesi dopo dal lancio della National Strategy for Data & AI, un piano industriale pluriennale che indicava obiettivi concreti in cinque ambiti: formazione, sviluppo dell’AI domestica, attrazione degli investimenti, capacity building governativa e applicazione dell’AI in settori critici quali, ad esempio, difesa, energia e sanità.

Alla luce dei recenti sviluppi, l’approccio di quella strategia risulta ancora più chiaro: consolidare prima la capacità interna e poi proporsi all’esterno come hub digitale. Nel 2024 è arrivato anche un riconoscimento per questi sforzi: il Global AI Index di Tortoise Media ha collocato l’Arabia Saudita al primo posto mondiale per la sua strategia governativa sull’intelligenza artificiale. Il Regno è stato premiato come il Paese con il quadro di governance pubblica più avanzato sull’AI, davanti a nazioni con background tecnologico e meccanismi istituzionali più maturi.

Capitali, partnership e HUMAIN

Come nella migliore tradizione saudita, oltre a definire la strategia, il settore pubblico ha aperto anche il suo grande portafoglio, in particolare quello del Public Investment Fund (PIF), il fondo sovrano da quasi 1.000 miliardi di dollari. Nel maggio del 2025 il PIF ha lanciato HUMAIN, una società interamente dedicata all’AI e presieduta dallo stesso Principe Mohammed bin Salman, a conferma dell’attenzione delle autorità per questo ambito. Sotto il cappello di HUMAIN sono confluiti vari progetti pubblici esistenti con l’obiettivo di razionalizzare le risorse, dare una guida più coerente e accelerare la scalabilità delle iniziative.

È concepita come un operatore su tutti i fronti della catena dell’AI: costruisce data center, sviluppa modelli di intelligenza artificiale avanzati (come l’LLM Allam) e realizza soluzioni applicative personalizzate per diversi settori. È una vera azienda tech integrata, pensata per competere, ma anche per collaborare con le Big Tech globali. Non a caso durante la nona edizione del Future Investment Initiative (FII), l’evento sull’innovazione più importante del Medio Oriente che si è svolto a Riyad a fine ottobre, erano presenti grandi nomi, da OpenAI a Google, da Qualcomm a Intel e Oracle, per sondare possibili partnership con HUMAIN.

La società saudita sta catalizzando anche l’interesse di importanti investitori finanziari. A fine ottobre è stata annunciata una partnership strategica con l’operatore australiano AirTrunk e con Blackstone, attualmente il maggiore investitore mondiale in data center (e che ha acquisito AirTrunk nel 2024). L’accordo prevede la realizzazione in Arabia Saudita di un campus di data center, con investimenti iniziali stimati intorno ai 3 miliardi di dollari. Secondo l’agenzia Bloomberg anche il fondo BlackRock starebbe valutando di investire “miliardi di dollari” nella società. Questo interesse di Wall Street suggerisce che l’AI saudita è vista come un’opportunità di business redditizia, in particolare se il Regno saprà conquistare fette significative del mercato globale dei servizi di calcolo.

Vincoli con Washington e il fattore Cina

A Riyad sanno bene che per chiudere accordi sullo sviluppo dell’AI con società tecnologiche o fondi a stelle e strisce non bastano i buoni rapporti con l’Amministrazione Trump, ma occorre dimostrare in concreto “fedeltà tecnologica” agli Stati Uniti. L’ascesa saudita nell’intelligenza artificiale non può prescindere dall’ombrello tecnologico e geopolitico americano, ma allo stesso tempo sarà interessante vedere se Mohammed bin Salman chiuderà le porte alla Cina, perché Pechino resta un partner commerciale energetico, un attore fondamentale nelle telecomunicazioni 5G e un interlocutore indispensabile in Africa, dove l’Arabia Saudita vuole espandere la propria influenza e costruire corridoi di dati.

Un terzo polo del multipolarismo digitale

È plausibile ipotizzare che Riyad proverà a muoversi come ponte tra mondi antagonisti, mantenendo gli Stati Uniti come asse primario della propria alleanza tecnologica, ma senza stringere troppo l’abbraccio con Washington. Se riuscirà a sostenere questa postura di equilibrio, potrà presentarsi come attore terzo del multipolarismo digitale, offrendo sovranità sui dati, capacità computazionale e infrastrutture AI su scala globale.

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