Nel mondo digitale, ogni clic è un atto politico: decidere cosa leggere, cosa condividere, cosa tacere significa muoversi dentro uno spazio che non è mai neutro.
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Il potere invisibile delle piattaforme digitali
Eppure, a differenza delle vecchie arene della democrazia, questo spazio non appartiene né ai cittadini né agli Stati. Appartiene a società private, che disegnano le regole, gestiscono i dati e, in molti casi, determinano le condizioni stesse della nostra libertà.
Oggi la libertà si gioca in una relazione a tre: agli Stati e ai cittadini, attori politici tradizionali, si aggiungono le piattaforme digitali. Elon Musk che ridisegna le regole del dibattito pubblico su X, governi che chiedono alle piattaforme di rimuovere contenuti in nome della sicurezza, la Cina che trasforma le proprie app in strumenti di sorveglianza di massa, l’Europa che tenta, tra mille difficoltà, di imporre regole comuni a colossi globali. Tutto questo compone la mappa di un nuovo potere, tanto invisibile quanto pervasivo.
Tre scenari per tre alleanze possibili
Ma come si possono relazionare fra loro i cittadini, gli Stati e le big tech? Di seguito presentiamo l’idea centrale presentata nel libro “Il trilemma della libertà. Stati, cittadini, compagnie digitali” (La Nave di Teseo, 2025). Come argomentato in questo libro, ci sono almeno tre possibilità, tre possibili scenari.
- È possibile permettere agli Stati e alle piattaforme, in alleanza fra loro, di avere campo libero, ma così la libertà dei cittadini è in pericolo.
- Possiamo fare in modo che i colossi digitali offrano servizi sempre più avanzati per i cittadini, ma così sacrificheremmo il potere dello Stato e il suo lavoro a favore dell’equità sociale.
- Oppure, gli Stati, sostenuti dai cittadini, possono limitare i margini d’azione delle big tech, attraverso regolamentazioni, leggi e politiche pubbliche (in questo caso, sarebbero i capitalisti digitali ad avere la peggio).
Questa lista rappresenta il “trilemma della libertà digitale“: è molto difficile che cittadini, Stati e piattaforme estendano contemporaneamente i loro margini di azione. Piuttosto, generalmente qualcuno rimane penalizzato, se non addirittura schiacciato. Ma andiamo con ordine.
La libertà soffocata: Stati e compagnie digitali contro i cittadini
Nel primo modello previsto ne “Il trilemma della libertà”, quello in cui gli Stati si alleano con le piattaforme digitali, i cittadini rischiano di essere i veri perdenti. È lo scenario della “libertà soffocata“, tipico dei regimi autoritari: i governi controllano i media, dominano la rete e usano le piattaforme – spesso nazionalizzate – come strumenti di censura e sorveglianza. Privacy, libertà di parola e di associazione vengono annientate in nome del controllo totale. La polizia ha mano libera e Internet è un luogo da temere.
Nelle democrazie i rischi sono ovviamente minori, ma non inesistenti. La sorveglianza di massa, come rivelato da Snowden, e il crescente securitarismo giustificato da emergenze come il terrorismo possono aprire la strada a forme di repressione “morbida”. Governi e piattaforme, collaborando, possono aggirare il controllo giudiziario e limitare i diritti dei cittadini. Anche la lotta alle fake news può trasformarsi in un pretesto per filtrare o cancellare contenuti scomodi, minacciando la libertà di espressione. Il risultato? Una società dove la paura di essere osservati porta all’autocensura, e la partecipazione pubblica si spegne lentamente.
La libertà economicista: compagnie e cittadini contro gli Stati
Nel secondo scenario, le piattaforme digitali diventano le vere vincitrici, alleandosi con i cittadini e lasciando lo Stato ai margini. Le piattaforme non hanno limiti e offrono agli individui “percezioni di libertà” come consumatori. È la cosiddetta “libertà economicista“, dove domina un capitalismo digitale senza responsabilità sociale: le imprese crescono, lo Stato arretra, e le disuguaglianze si ampliano.
In questa configurazione, lo Stato si fa “minimo“: regola poco, privatizza molto e lascia che le grandi aziende tecnologiche plasmino economia e società. Negli Stati autoritari, ciò significa concedere libertà economiche e consumistiche pur mantenendo la repressione politica. Nelle democrazie, invece, la deregolamentazione e il disimpegno pubblico in settori come sanità e istruzione alimentano il divario tra chi può permettersi di stare “dentro” il mondo digitale e chi resta escluso. Le piattaforme promuovono redditizie echo chambers e filter bubbles, mentre i cittadini si percepiscono più come consumatori che come membri di una comunità politica. I cittadini godono formalmente di libertà politica, ma nella sostanza la esercitano in maniera individualista e leggera.
È la condizione che il sociologo Colin Crouch ha definito “post-democrazia“: le forme democratiche restano, ma il potere reale scivola nelle mani delle élite economiche. Un modello apparentemente più libero di quello autoritario, ma che nasconde gravi rischi: disuguaglianze, depoliticizzazione e instabilità sociale.
La libertà politica: Stati e cittadini contro le compagnie
Nel terzo scenario, Stato e cittadini trovano una collaborazione capace di governare le grandi piattaforme digitali. È la configurazione della “libertà politica“, in cui la tecnologia non domina la società, bensì la serve. A differenza dei modelli precedenti, qui la libertà è piena e consapevole: non repressa come nella “libertà soffocata”, né piegata al profitto come nella “libertà economicista”, ma fondata su valori etici, sociali e civici. Un equilibrio possibile solo in un contesto democratico autentico, dove i cittadini partecipano attivamente alle decisioni e lo Stato agisce come garante dell’interesse collettivo.
In questa visione, lo Stato democratico assume un duplice ruolo: regolatore e innovatore. Da un lato, guida le piattaforme affinché operino nell’interesse pubblico, prevenendo abusi e concentrazioni di potere economico. Dall’altro, promuove lo sviluppo tecnologico in linea con i diritti fondamentali — accesso equo alla rete, tutela dei dati personali, diritto all’oblio, alla crittografia e alla disconnessione — e con obiettivi di inclusione sociale e giustizia redistributiva. Il mercato resta libero, ma entro limiti chiari e condivisi.
Lo Stato, rifiutando l’approccio neoliberista, sostiene la ricerca pubblica, incentiva l’innovazione responsabile e applica politiche di antitrust quando necessario. Allo stesso tempo, garantisce il pluralismo informativo e un sistema di servizi sociali efficiente, capace di ridurre le disuguaglianze generate dal capitalismo digitale. Le piattaforme, di conseguenza, non scompaiono, ma vedono ridimensionato il loro potere. Le imprese continuano a godere della libertà d’impresa e di innovazione, ma devono rispettare regole rigorose su fiscalità, concorrenza e protezione dei dati. Pratiche come l’elusione fiscale, la raccolta massiva di dati o la manipolazione dell’opinione pubblica diventano oggetto di stretta vigilanza. Da un punto di vista ideale, questo è il modello più desiderabile: una società digitale dove la tecnologia è uno strumento di emancipazione.
Idee ingenue per governare il capitalismo digitale
Il capitalismo digitale ha mostrato in questi anni il suo doppio volto: da un lato, un motore straordinario di innovazione e crescita; dall’altro, una forza capace di generare precarietà, disuguaglianze e alienazione. Non si tratta di scegliere tra l’apocalisse o la salvezza tecnologica, ma di governare la complessità. Per farlo, serve riconoscere le tensioni fra cittadini, Stati e grandi compagnie. Come abbiamo visto, la direzione più promettente sembra essere una nuova alleanza tra istituzioni pubbliche e cittadinanza attiva, in grado di orientare il progresso eticamente. Per costruire questa visione di “libertà politica” si possono delineare sei priorità:
- Tutela della libertà mentale Occorre affermare nuovi diritti che proteggano non solo la libertà fisica, ma anche quella cognitiva e psicologica. Diritto all’oblio, tutela dei dati personali, accesso alla rete sono strumenti per resistere alla manipolazione algoritmica.
- Regolamentazione trasparente dell’informazione online Serve un equilibrio tra libertà d’espressione e tutela del discorso pubblico. I contenuti devono essere moderati in modo trasparente, rendendo pubblici i criteri e sottoponendosi a controlli democratici.
- Separazione dei poteri nel mondo digitale Come nelle democrazie tradizionali, anche nell’universo digitale va garantita la divisione del potere. Nessuna piattaforma dovrebbe poter concentrare funzioni economiche, informative e politiche senza contrappesi efficaci.
- Sovranità democratica sulle tecnologie Gli Stati dovrebbero tornare a investire nella ricerca pubblica e nello sviluppo tecnologico, per creare infrastrutture e piattaforme coerenti con i valori democratici. Sovranità digitale significa autonomia strategica.
- Partecipazione e responsabilità civica Bisogna promuovere strumenti che migliorino la qualità deliberativa del dibattito pubblico, rafforzando la capacità dei cittadini di incidere sulle scelte tecnologiche. La tecnologia deve abilitare la partecipazione, non sostituirla.
- Giustizia redistributiva nell’economia digitale I benefici del progresso tecnologico devono essere redistribuiti in modo equo. Ciò richiede politiche fiscali progressive, una tassazione più efficace dei giganti digitali e il reinvestimento delle risorse in welfare, istruzione e servizi pubblici digitali.
Queste proposte sono forse utopiche, rappresentano però una bussola politica per chi crede che il digitale possa essere uno strumento di emancipazione e non di dominio o di sfruttamento.









