profitto vs umanità

Capitalismo digitale: ecco come i social espropriano conoscenza e libertà



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Il capitalismo digitale sta replicando strategie consumistiche tradizionali, incentivando l’uso dell’intelligenza artificiale per massimizzare il profitto privato. Questa logica ignora i processi decisionali democratici, privilegiando la produttività a scapito della consapevolezza e della libertà cognitiva

Pubblicato il 5 giu 2025

Lelio Demichelis

Sociologo della tecnica e del capitalismo



tecnocapitalismo (1)

Mark Zuckerberg ci aveva provato tempo fa e il gioco aveva funzionato alla grande, generandogli profitti enormi e un suo potere altrettanto enorme (e autocratico, cioè fuori da ogni rispetto della democrazia e della legge), potere sulla società e sugli uomini.

L’origine del tecnocapitalismo digitale tra social e alienazione

Facebook prometteva infatti l’amicizia e il condividere – e davvero sembrava che prima di Zuckerberg l’amicizia e il condividere tra umani non fossero mai esistiti e che tutto nascesse quasi magicamente con il digitale: era ed è falso, ovviamente – amicizia e condivisione esistono da sempre, ma più di un miliardo di persone ci aveva creduto e ci crede ancora,  facendo impallidire al confronto la credulità degli americani davanti all’invasione dei marziani raccontata alla radio da Orson Welles ne La guerra dei mondi, del 1938, credulità che si replica oggi con il successo della propaganda contro l’invasione dei migranti, da respingere con ogni mezzo, legale o illegale, osceno e disumano comunque.

Ovvero, i social si proponevano – si vendevano a noi con una abilissima operazione di marketing/propaganda – come un aiuto alle persone per trovare amici e per non sentirsi sole. Un business facile per il capitale dopo decenni di neoliberismo (che abbiamo ridefinito anche come fascismo economicistico, data la violenza con cui si è imposto sul mondo e sulle società) secondo il quale la società non esiste e quindi neppure la socialità e ciascuno doveva arrangiarsi per sopravvivere alla competizione capitalistica di tutti contro tutti.

Dimostrando la grande l’abilità del capitale di fare profitto prima sfruttando sempre di più le persone isolandole dagli altri e cancellando (questo è il neoliberismo) la solidarietà (vecchio nome, concetto e processo sociale oggi quasi dimenticato), sfruttandole poi di nuovo e di più offrendo allo stesso tempo la (presunta) cura per contrastare l’isolamento (i social, appunto), facendo ulteriori profitti. Detto altrimenti: molti amici, molti profitti e molto potere – per Zuckerberg e altri; messo invece a nudo/spogliato di sé e alienato da sé attraverso la sua profilazione – ciascuno di noi.

Tecnocapitalismo e cattura della vita nell’era dei dati

In verità (la verità oggettiva, non la propaganda) queste retoriche social – insieme alla privacy come cosa del passato e quindi inutile (sempre Zuckerberg, che aveva appunto bisogno di sempre più dati, scopo possibile da realizzare, per lui, solo facendoci convinti dell’idea che la privacy fosse davvero una cosa del passato, quindi superata e non invece qualcosa di sempre più necessario proprio al crescere della pervasività della tecnologia e del capitalismo della sorveglianza) – queste retoriche servivano solo a nascondere l’espropriazione/alienazione (come altrimenti chiamarla?) della nostra vita (cioè i nostri dati) da parte di social che non erano sociali (per la contraddizione che non lo consentiva e non lo consente, ma nessuno vedeva la contraddizione, tale era ed è la potenza della propaganda/marketing e tale era ed è il nostro conformismo anch’esso diventato digitale), essendo imprese private e il cui unico obiettivo era massimizzare i propri profitti e non certo aiutare gli umani.

Con tutti noi ciechi davanti alla crescente cattura capitalistica e tecnica della nostra vita (con una metafora, potremmo dire: il prigioniero/servo collabora con il sorvegliante/padrone, dandogli la borsa cioè la sua vita tradotta in dati e numeri); ciechi davanti a questa realtà/verità oggettiva; e ciechi davanti alla contraddizione tra propaganda e realtà che appunto non vediamo. Semmai i social non escludendo (anzi, pianificandola) l’attivazione della dopamina (ecc.) per renderci sempre più felici (molti like, molta dopamina, molta felicità, molta dipendenza, come una droga), quindi connessi sempre più a lungo per aumentare la nostra produttività. Ciascuno senza vedere che sì, forse aveva/ha molti amici ma che soprattutto era/è diventato la forza-lavoro gratuita dell’industria dei dati e della industrializzazione e valorizzazione capitalistica della vita.

Tecnocapitalismo, intelligenza artificiale e libertà cognitiva

E qualcosa di analogo sta accadendo con l’intelligenza artificiale (e anche su WhatsApp lavoriamo per addestrare l’IA), altro prodotto industriale che deve produrre profitto privato – i suoi usi scientifici o in medicina sono un’altra cosa e di questo qui non ci stiamo occupando, concentrandoci sugli affetti sociali e sull’individuo. Intelligenza artificiale che dobbiamo accettare come un dato di fatto perché così vuole il capitalismo industriale della IA, un dato di fatto che si impone a prescindere da qualsiasi processo di decisione democratica ma che non si può e non si deve rifiutare, né controllare, meno che meno limitare (e luddista diventa chiunque cerchi invece di comprendere il processo e di fare pensiero critico), senza che noi/demos si possa capire a cosa serve, come agisce su di noi e sulla società e soprattutto (quelli che qui appunto ci interessano) sui processi cognitivi e sulla conoscenza/sapere che anche l’i.a. espropria per profitto privato, come Zuckerberg ci espropriava la vita, illudendoci di farcela vivere al meglio.

E così come ogni industriale deve far comprare i prodotti che produce, attivandone il desiderio e quindi l’acquisto – a questo serve il marketing, senza il marketing/propaganda il capitalismo si fermerebbe o comunque rallenterebbe e addio profitti crescenti (il sistema basandosi infatti sul sempre di più) – così chi produce i.a. deve fare in modo che averla e usarla diventi qualcosa che tutti devono desiderare. Replicandosi le medesime tecniche usate negli anni ’50 per favorire il consumismo. Scriveva allora l’economista statunitense Victor Lebow: “La nostra economia incredibilmente produttiva ci chiede di elevare il consumismo a nostro stile di vita, di trasformare l’acquisto e l’uso di merci in autentici rituali, di far sì che la nostra realizzazione personale e spiritualevenga ricercata nel consumismo […]. Abbiamo bisogno che sempre più benivengano consumati, distrutti e rimpiazzati a un ritmo sempre maggiore”.

Lo stesso è accaduto per i social, lo stesso accade per gli smartphone, lo stesso sta accadendo con l’intelligenza artificiale. Figo è averla e usarla e credere di essere creativi, non averla e non usarla è invece da sfigati.

E sono appunto sempre le stesse tecniche di propaganda. Lo ha confermato il Ceo di OpenAI, Sam Altman che dalle pagine di Le Monde del 9 febbraio 2025 in occasione dell’AI Summit promosso da Macron, ripeteva per l’ennesima volta le retoriche propagandistiche del tecno-capitalismo – sempre uguali, sempre credute ma sempre smentite dalla realtà, ma noi sempre a crederci, sempre affascinati da ciò che sembra nuovo, sempre immemori del passato – Altman per cui l’i.a. sarebbe “una tecnologia che sviluppa la produttività [e questo è vero, essendo il profitto e lo sfruttamento di uomini e biosfera l’obiettivo unico e deterministico del capitale e del sistema tecnico], mettendo gli strumenti [cioè appunto, l’i.a.] nelle mani della gente per aiutarla a risolvere problemi difficili” – e questo è invece falso, espropriandola invece (la gente, cioè noi) e ancora di più proprio con l’i.a. di conoscenza e di libertà cognitiva, cioè la libertà di cercare, conoscere, approfondire i fatti e soprattutto i processi e di cercare di risolvere i problemi consapevolmente.

Tecnocapitalismo e standardizzazione della conoscenza

Perché appunto, sostituendosi a noi (togliendocela) nell’esercizio di questa libertà cognitiva – qualcosa che caratterizza i sapiens e ci definisce come sapiens, ma è evidente che se la sapienza/sapere/conoscenza è gestita da macchine a cui deleghiamo la soluzione dei problemi, cessiamo conseguentemente di essere sapiens – l’i.a. non ci aiuta e anzi ci impoverisce e soprattutto ci aliena dalla conoscenza e dal sapere e soprattutto dalla loro ricerca, che è appunto e invece ciò che (sola) permettere di costruire conoscenza e sapienza e di definirci davvero sapiens.

Semplificare uno spartito musicale?

E non è forse vero che la semplificazione della realtà è negli obiettivi anche della i.a.? L’Assistente AI che compare sul nostro pc, non ci propone forse come prima cosa, davanti a un documento, di semplificarlo o di riassumerlo (per aiutarci, ovviamente, in realtà per accrescere la nostra produttività e ridurre i tempi morti) – ed è tanto stupida da farlo anche davanti a uno spartito musicale? Cosa evidentemente impossibile – e che sia impossibile semplificare o riassumere uno spartito, anche uno stupido sapiens o un sapiens stupido lo capirebbe. E invece, chiamiamo l’algoritmo intelligente… In realtà è proprio nell’essenza della tecnica quella di semplificare e di standardizzare e di uniformare. E questo era infatti lo scopo dell’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, espropriando i lavoratori delle loro conoscenze e della loro esperienza per riassumerla, semplificarla e uniformarla in schemi e tabelle per evere la one best way. E non è la stessa espropriazione di conoscenza praticata oggi da algoritmi e i.a. trasferendola in schemi/algoritmi e soprattutto centralizzandola e uniformandola, replicando l’esistente perché su questo si basa l’addestramento, ma offrendolo come sempre diverso (è la differenziazione apparente nella omologazione concreta, come nel consumismo), senza mai fare vera ricerca della conoscenza?

Il tecnocapitalismo e la crisi della società-fabbrica

Profit vs humanity: AI’s corporate governance debate OpenAI’s restructuring controversy highlights conflicting priorities, si chiedeva recentemente il Financial Times, ragionando sulle policy e sulla storia di OpenAI. Domanda in realtà senza senso perché mai – dalla Spinning-Jenny al telaio meccanico e dalla macchina a vapore e dai bambini nelle miniere, dal colonialismo al benessere consumistico, alla caccia delle terre – mai i capitalisti e gli ingegneri e gli esperti e gli economisti hanno pensato a valori e scopi diversi da quelli della massima efficienza delle macchine e del massimo sfruttamento/produttività/pluslavoro dell’uomo/forza-lavoro e del massimo plusvalore/profitto per il capitale – e rinviamo alle riflessioni di Marx su macchine e sistemi di macchine che diventano “un unico grande automa”; dove “si abusa del macchinario per trasformare l’operaio, sin da giovane età in parte della macchina parziale”; riflessioni che possiamo usare per descrivere anche il digitale/i.a. di oggi, dove si abusa del macchinario per trasformare ciascuno in parte della macchina parziale ma sempre più della megamacchina totale e totalitaria; perché, ancora Marx, “la produzione capitalistica esiste e può continuare ad esistere solo finché il valore del capitale venga valorizzato; perché “il modo di produzione capitalistico racchiude una tendenza allo sviluppo assoluto delle forze produttive […] e alla valorizzazione del capitale nella misura estrema”. Ora appunto con la digitalizzazione della vita e la trasformazione della società in una società-fabbrica, come l’abbiamo definita.

E che questa sia la verità oggettiva del tecno-capitalismo è lì a dimostrarlo – e a dimostrare quindi il fatto che il tecno-capitalismo sia strutturalmente incompatibile e in contraddizione assoluta con l’umanità (e la democrazia, la libertà, i diritti umani e con la conoscenza) – proprio la crisi ambientale e climatica. La cui soluzione è considerata un intralcio al potenziamento del capitale, che quindi deve essere rimossa dalla scena pubbblica attraverso una incessante propaganda anti-ecologista o dagli obiettivi di un’Europa che preferisce il ReArm/Safe (fonte di grandi e immediati profitti) al Green Deal. Perché il ReArm è l’industrializzazione capitalistica della guerra – e se la guerra è sempre esistita, il capitalismo è riuscito a industrializzare e a valorizzare per sé anche la guerra attraverso il complesso militare-industriale oggi digitale e quindi resta perfettamente dentro alle logiche del tecno-capitalismo e del profitto; mentre invece la crisi climatica imporrebbe di trasformare radicalmente il sistema economico e tecnico – e sono trascorsi giusto dieci anni dalla Laudato si’ di papa Francesco e questo per il tecno-capitale è intollerabile (e infatti, obbedienti alla propaganda del capitale, abbiamo già dimenticato quell’Enciclica).

Disquisire di Profit vs humanity sembra dunque perfettamente inutile fino a quando non si scioglierà il nodo che lega nichilisticamente l’umanità al capitalismo. Potendo cercare solo così un progresso diverso (ancora Francesco).

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