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Data center e nucleare, perché l’Italia rischia di tagliarsi le gambe da sola



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La strategia pubblicata dal Mimit riconosce all’Italia un’unicità per la distribuzione territoriale omogenea dei data center: ma l’autoproduzione di energia elettrica tramite impianti nucleari e la necessità di vicinanza ai district heating possono frenare lo sviluppo

Pubblicato il 21 nov 2025

Martin Horacek

MRICS, Service Director di BCS Consultancy



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Mentre il mondo accelera sui data center, l’Italia rischia di cadere in una trappola legislativa autoimposta. Il dibattito parlamentare sulla proposta di legge-delega per lo sviluppo dei data center, discussa il 12 novembre 2025 in IX Commissione, ha introdotto vincoli che rischiano di bloccare proprio le opportunità che la strategia nazionale per i data center aveva identificato.

La strategia governativa pubblicata dal MIMIT riconosce che l’Italia, a differenza di altri Paesi europei dove i data center si concentrano nelle capitali, ha caratteristiche uniche per una distribuzione territoriale omogenea. Il Mezzogiorno in particolare offre vantaggi competitivi significativi: funge da punto di approdo per numerosi cavi sottomarini internazionali (BlueMed, 2Africa, SeaMed), trasformando il territorio in ponte digitale tra Europa, Africa e Asia. La Puglia e la Sicilia ospitano 26 landing site di cavi sottomarini. La presenza della ZES Unica offre inoltre semplificazione amministrativa attraverso l’autorizzazione unica.

Eppure, la proposta legislativa introduce due vincoli che contraddicono questa visione strategica. Il primo è un emendamento che mira a vietare esplicitamente l’autoproduzione di energia elettrica tramite impianti nucleari, inclusi gli SMR, a servizio dei data center. Questo rimuove l’unica opzione che consentirebbe ai grandi operatori internazionali di alimentare i propri impianti in modo stabile e carbon-free senza gravare sulla rete nazionale. Il secondo vincolo condiziona le aree idonee per i data center alla vicinanza delle reti di teleriscaldamento (District Heating) per lo sfruttamento del calore di scarto.

Una pianificazione che ignora la realtà territoriale

Quest’ultimo vincolo ha conseguenze particolarmente problematiche. Le reti di teleriscaldamento sono sviluppate solo parzialmente in Italia, quasi esclusivamente al Nord, mentre il teleraffreddamento (District Cooling) è quasi inesistente. Condizionare l’ubicazione dei data center alla presenza di queste reti significa di fatto ancorare gli impianti al Nord, dove però la rete elettrica nazionale è già virtualmente satura. Attualmente il 70% della domanda energetica per data center si concentra tra Lombardia e Piemonte, con richieste che raggiungono i 55 GW di potenza.

La proposta ignora inoltre che la transizione dai sistemi di riscaldamento decentralizzati attuali (caldaie a gas, pompe di calore) a sistemi DHC centralizzati è un cambiamento estremamente complesso. L’Italia, dal punto di vista regolamentare, tecnico e finanziario, non è pronta per questa trasformazione. Specialmente al Sud, dove la scarsità di giorni freddi richiederebbe sistemi integrati di District Heating and Cooling per raggiungere una minima sostenibilità economica. I fondi PNRR destinati al teleriscaldamento erano limitati e l’opportunità è ormai superata.

Il punto più grave è che il legislatore non fornisce alcuna prova di fattibilità per questa transizione, né tempistiche realistiche. Si crea così un paradosso: da un lato la strategia nazionale identifica il Sud come area ideale per distribuire i data center e alleggerire la pressione al Nord, dall’altro si introducono vincoli che rendono questa distribuzione impossibile.

Il rischio di perdere il treno europeo

Il quadro normativo proposto rappresenta un ostacolo concreto alla competitività italiana. Ancorare gli impianti in aree sature invece di valorizzare le regioni del Mezzogiorno, e limitare preventivamente l’adozione di tecnologie efficaci come gli SMR, ci rende meno attrattivi dei nostri partner europei. Mentre Romania, Polonia e Norvegia si posizionano come pionieri in Europa degli SMR per data center, l’Italia rischia di autoescludersi da un mercato che secondo il Politecnico di Milano potrebbe raddoppiare entro il 2025.

La contraddizione è stridente: il Governo ha pubblicato una strategia articolata che riconosce il valore strategico dei data center come “motori dello sviluppo economico” e ha semplificato le procedure autorizzative per investimenti sopra i 25 milioni di euro. Ma contemporaneamente il Parlamento introduce vincoli che bloccano proprio quegli investimenti che la strategia vuole attrarre.

Data center ed energia, lo scenario

I data center stanno diventando uno dei principali consumatori di energia elettrica a livello globale. La crescita esponenziale del cloud computing e soprattutto dell’Intelligenza Artificiale sta creando una domanda energetica senza precedenti. Secondo il World Energy Outlook 2025 dell’International Energy Agency, i numeri sono eloquenti: negli Stati Uniti, l’elettricità necessaria per alimentare i data center è destinata a più che triplicare entro il 2035, passando da circa 200 TWh a 640 TWh. Questo significa che i data center rappresenteranno circa la metà dell’intero aumento della domanda elettrica statunitense fino al 2030.

Per rispondere a questa sfida e garantirsi forniture energetiche dedicate e autonome, svincolandosi dalle limitazioni delle reti elettriche pubbliche tradizionali, i grandi operatori tecnologici globali stanno cercando nuove soluzioni. E i Reattori Modulari di Piccola Potenza (SMR – Small Modular Reactors) stanno emergendo come risposta ideale: forniscono energia scalabile, sono disponibili 24 ore su 24 indipendentemente dalle condizioni meteo, e non producono emissioni di carbonio. Caratteristiche perfette per alimentare il carico di base costante e intensivo dei data center.

La corsa dalle big tech americane all’Europa

La tendenza all’auto-generazione tramite SMR è guidata principalmente da iniziative del settore privato. Gli Stati Uniti si confermano leader assoluti: Google ha concordato l’acquisto di 500 MW di energia da SMR avanzati di Kairos Power, con la prima unità prevista entro il 2030. Amazon Web Services ha annunciato la costruzione di quattro reattori avanzati con Energy Northwest e un progetto da almeno 300 MW con Dominion Energy. Microsoft sta sviluppando un team nucleare interno per una strategia SMR dedicata all’intera flotta globale di data center.

Il Regno Unito sostiene attivamente questa tecnologia attraverso Rolls-Royce SMR, particolarmente indicata per clienti industriali ad alta domanda. In Europa, l’Unione Europea supporta gli SMR tramite l’Alleanza Industriale e il Net-Zero Industry Act. La Norvegia ha annunciato piani per installare SMR ad Halden destinati ad alimentare futuri data center, riconoscendo che le sole rinnovabili non bastano. Polonia e Romania si posizionano come pionieri: la Romania ospiterà il primo reattore NuScale in Europa, modello per future applicazioni. Operatori privati come Data4 stanno valutando l’SMR AP300 di Westinghouse per i propri campus europei. Asia, Cina e Russia dispongono già di SMR operativi, mentre Corea del Sud e Giappone investono massicciamente.

Il paradosso italiano: potenziale strategico e vincoli normativi

Insomma, in Italia dobbiamo superare le contraddizioni autoimposte. L’Italia ha un’opportunità unica per diventare l’hub digitale del Mediterraneo, valorizzando territori oggi sottoutilizzati e distribuendo sviluppo economico e occupazione qualificata. Ma serve coerenza tra strategia industriale e normativa. Perché mentre discutiamo di vincoli, il resto del mondo costruisce il futuro digitale. E lo alimenta con energia nucleare modulare.

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