oltre la produttività

MedTech: dal burnout dei medici alla sanità digitale umanologica



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La corsa alla produttività rischia di trasformare la sanità digitale in un moltiplicatore di stress per i professionisti, svuotando la relazione medico-paziente. Il paradigma umanologico propone di ripartire da etica, empatia, chiarezza, sostenibilità e valore condiviso

Pubblicato il 4 dic 2025

Alex Dell'Era

Co-coordinatore, Gruppo Scienze della vita – FERPI (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) Adjunct Professor – DiTEiM Department, CUIRIF (Centro Universitario Internazionale per la Ricerca sull’Innovazione e la Formazione)



L'Osservatorio Sanità digitale (PoliMi) fa il punto sulla telemedicina in Italia: la trasformazione in cifre grazie al Pnrr; piattaforme telemedicina

L’innovazione tecnologica in sanità continua a inseguire numeri ed efficienza, dimenticando che dall’altra parte ci sono persone. Serve ripensare il MedTech partendo da cinque domande decisive: è etico? È empatico? È chiaro? È sostenibile? Crea valore condiviso?

Sanità digitale tra produttività e benessere di chi cura

Con cloud, blockchain, digital twin, intelligenza artificiale, il MedTech non è più solo “strumento”, ma un ecosistema integrato che cambia il modo di lavorare. Eppure l’innovazione in sanità continua a essere pensata e percepita con la vecchia logica della produttività. Il risultato? Professionisti sanitari sempre più sotto pressione e una relazione medico-paziente svuotata. È tempo di cambiare paradigma.

La protesta dei professionisti: non abbiamo bisogno solo di fare numeri

Di questa contraddizione ho avuto esperienza diretta qualche mese fa. C’è una scena che mi porto dietro da qualche tempo. Ad un laboratorio di design thinking su intelligenza artificiale in radiodiagnostica, che vedeva una partecipazione multidisciplinare di professionisti sanitari, tecnici, ricercatori, manager e non solo, vidi un professionista della salute visibilmente irritato, il quale fece un’affermazione che mi colpì: “Oggigiorno si pensa solo alla produttività! Volete che la tecnologia serva solo a fare numeri, ad aumentare i pazienti processati, a ridurre i tempi. Ma così aumenta solo il carico di lavoro per noi”.

Ce l’aveva con le amministrazioni ma anche con il mondo delle industries, che dal suo punto di vista ammiccherebbero alle stesse, fomentando una logica della produttività fine al profitto.

Per me quella frase non era un semplice j’accuse, ma un grido d’aiuto. In fondo quel professionista sembrava dire “non ho bisogno della tecnologia per fare di più, ma per avere più tempo per la mia salute mentale e per i miei pazienti”.

Burnout, digital divide e limiti della logica produttivistica

Attenzione, non si sta parlando di un caso isolato, di un solo professionista della salute stressato. Una ricerca ISTUD condotta tra dicembre 2023 e gennaio 2024 su 176 professionisti sanitari conferma che il 52% dei medici italiani manifesta sintomi di burnout.

Il fenomeno è ormai riconosciuto come emergenza strutturale del sistema sanitario nazionale, ed è proprio qui che l’evoluzione tecnologica può fare la differenza, non aggiungendo strumenti, ma ripensando come questi strumenti vengono progettati e implementati.

La questione non è se investire o meno in tecnologia, quella è una necessità per ridurre il digital divide democratizzando l’accesso alle cure, ma il punto è come farlo mettendo davvero al centro sia chi quella tecnologia la userà che chi ne beneficerà.

Ed ecco che ci accorgiamo che il MedTech non è neutrale e non si parla più dello “strumento”. Oggigiorno parliamo di soluzioni che si integrano, che sostengono decisioni (giuste e sbagliate per carità) e soprattutto che cambiano il modo stesso di lavorare ma anche di interagire tra le persone.

E allora non basta più chiedersi “Funziona? Risolve un problema?” ma invece quello che dobbiamo domandarci diventa “Chi include? Chi rischia di restare fuori? Quali effetti collaterali stiamo creando?”

Relazione medico-paziente e sanità digitale nell’era dell’informazione continua

Le persone al centro davvero, non come slogan.

Quando dico “persone” intendo tutti, sia professionisti che pazienti. Per i medici, ingegneri, infermieri, tecnici la tecnologia dovrebbe essere un alleato silenzioso. Quell’alleato che riduce la burocrazia, accelera le diagnosi, evita errori ma soprattutto che restituisce tempo a quella relazione asimmetrica con il paziente, che si basa sulla fiducia.

Una fiducia pur sempre bidirezionale ma che si manifesta con una logica distinta. Da un lato quella del paziente verso il professionista, dall’altro la responsabilità del professionista nel meritarla e onorarla.

Dalla medicina paternalistica al paziente informato

C’è infatti un passaggio che spesso sottovalutiamo, ovvero che stiamo uscendo velocissimamente dalla medicina paternalistica, quella del “Dottore, faccia lei”. Secondo Eurostat, nel 2021 il 55% dei cittadini europei tra 16 e 74 anni aveva cercato online informazioni sulla salute nei tre mesi precedenti l’indagine.

Se pensiamo inoltre che oltre quattro miliardi di persone utilizzano le piattaforme social, che hanno trasformato radicalmente le nostre modalità di accesso alle informazioni, la situazione è ancora più allarmante vista la pluralità non sottoposta a peer review e troppo spesso nemmeno fondata su solide basi scientifiche.

Social media, disinformazione e uso dell’IA nella salute

Uno studio statunitense (Silver & Johnson, 2023) ha evidenziato che tra utenti che cercano informazioni sanitarie sui social network la probabilità di auto-trattarsi è più alta, in particolare in specifici gruppi etnici e in base al grado di fiducia nelle informazioni ricevute.

In Europa, invece, ci sono ricerche che mostrano come l’uso dei social media per la salute stia crescendo e come la disinformazione tramite queste piattaforme costituisca un rischio concreto (European Parliament 2024).

I pazienti sono più informati, e a causa dello screditamento dell’evidenza scientifica e ad un utilizzo spasmodico e approssimativo dell’IA anche più disinformati, ma comunque curiosi se volessimo trarne uno spunto positivo.

Il paziente vuole capire, partecipare, decidere e questo è anche la conseguenza della trasformazione del rapporto che diventa contrattuale, ovvero quello del consenso informato. La relazione paziente-medico non è più a senso unico, ma un dialogo, e per dialogare serve calma e tempo.

Ecco perché la tecnologia deve facilitare questa relazione, anche per fare prevenzione.

Prevenzione, territorio e MedTech come infrastruttura sociale

Forse la prevenzione è la nuova frontiera.

Screening, comunità locali e responsabilità sociale del MedTech

Curare meglio è importante ma intercettare prima diventa decisivo. Un esempio concreto lato MedTech è il supporto alle campagne di prevenzione ed iniziative di screening gratuiti sul territorio, in collaborazione con associazioni di volontariato, ospedali, istituzioni e comunità locali.

In quelle giornate non si tratta infatti solo di supporto tecnologico ma della sua integrazione con ascolto, consapevolezza e quindi relazioni. Attenzione non è retorica, ma è quello che succede quando la tecnologia si inserisce in un contesto relazionale vero.

Questo è MedTech orientato correttamente non solo alla persona ma al bene comune, al territorio. Quando parliamo di territori, parliamo di reti, ovvero ospedali, università, istituzioni, associazioni pazienti, volontariato.

Ecosistemi che si rafforzano intorno alle tecnologie. E qui entra in gioco la Corporate Social Responsibility e le migliori pratiche ESG, ma non come operazioni di facciata, ma come parte integrante della mission e purpose del MedTech.

Un progetto di screening con un’associazione locale, come un evento di sensibilizzazione, non sono iniziative collaterali ma diventano atti di responsabilità collettiva, che generano valore condiviso per l’intera comunità.

Così il MedTech non porta solo innovazione tecnologica, ma contribuisce a costruire infrastrutture sociali, e soprattutto genera fiducia.

Comunicazione, storytelling e paradigma umanologico nel MedTech

Il ruolo (decisivo) della comunicazione e il Paradigma Umanologico.

Ed ecco qui, che ritrova la sua centralità ciò che fino a qualche tempo fa veniva considerato un atto accessorio, qualcosa che viene dopo, un elemento di contorno, ovvero la comunicazione. Anche storytelling e advocacy hanno un ruolo chiave.

Dalla prevenzione alla cultura della salute: il ruolo della comunicazione

Da un lato dare visibilità alle realtà del terzo settore che operano sul territorio, e dall’altro alimentare la cultura della prevenzione incrementando consapevolezza e adesione.

Per cercare un parallelismo con i nativi digitali, è interessante notare come diversi rapporti internazionali confermano che negli ultimi anni l’accesso alla prevenzione, anche nelle fasce più giovani, sta crescendo.

Il 30 ottobre 2025, tutti i 53 Stati membri della Regione Europea dell’OMS hanno adottato all’unanimità una nuova strategia per la salute di bambini e adolescenti (2026-2030), che chiede ai paesi di rafforzare i sistemi sanitari e le politiche di prevenzione, garantendo servizi accessibili e promuovendo lo sviluppo della prima infanzia e l’assistenza sanitaria preventiva.

Diagnostica per immagini e paradigma umanologico: oltre l’atto tecnico

In questo contesto la diagnostica per immagini smette di essere un atto tecnico isolato, e si riconferma universalmente come abilitatore di percorso di cura, parte di una narrazione più ampia, che parla di salute, comunità, futuro.

Per orientarci in questa direzione, e fare in modo che non si tratti solo di tecnologia e performance, riprendendo il challenge riportato all’inizio e quindi in risposta anche a quel professionista, credo serva un nuovo paradigma.

L’ho chiamato “umanologico“, non perché la lingua italiana necessitasse dell’ennesimo neologismo, ma perché sentivo la necessità di proporre apertamente un framework capace di integrare umano e tecnologico, superando l’inflazionato e generalista umanesimo digitale.

Le cinque domande per una sanità digitale etica e inclusiva

E allora, ogni volta che parliamo di innovazione in sanità, dovremmo porci cinque domande semplici, ma decisive come:

Etica, empatia e trasparenza come criteri dell’innovazione

È etico? Non solo nel senso di rispettare le norme, ma di essere coerente con i valori che guidano la pratica medica e la relazione di cura. Una tecnologia che discrimina inconsapevolmente alcuni gruppi di pazienti non è accettabile, anche se tecnicamente funziona.

È empatico? La tecnologia deve facilitare la relazione paziente-medico e non sostituirla. Uno strumento che non permette al professionista di dedicare più tempo alla persona è un problema, non una soluzione.

È chiaro? Trasparenza non significa soltanto pubblicare un codice sorgente, ma rendere comprensibili le logiche di funzionamento a chi usa lo strumento e a chi ne subisce le conseguenze.

Sostenibilità e valore condiviso tra professionisti, pazienti e comunità

È sostenibile? Non solo economicamente, ma anche dal punto di vista organizzativo e ambientale. Una tecnologia che richiede risorse eccessive o diventa obsoleta in pochi mesi non è una buona scelta.

Crea valore condiviso? I benefici devono arrivare a tutta la comunità: pazienti, professionisti, sistema sanitario e società. Un’innovazione che avvantaggia solo il fornitore tecnologico è miope.

Se una tecnologia riesce a superare queste cinque domande, allora possiamo davvero dire che è innovazione al servizio della vita, delle persone e dei territori.

Oltre la tecnologia: dalla sanità digitale alla fiducia nel futuro

Quello che ci viene chiesto è di andare oltre la tecnologia, per trasformare innovazione in fiducia, la fiducia in cura, e la cura in futuro. Questa è la risposta che dobbiamo dare, e non solo a un professionista un po’ arrabbiato, ma a tutti noi.

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