Come giudicare il Digital Omnibus da un punto di vista dell’impatto su aziende ed economia europea? Come noto, è un pacchetto di modifiche normative presentato dalla Commissione europea e volto a razionalizzare e aggiornare l’ecosistema regolatorio digitale dell’Unione. Non si tratta di una nuova grande legge, bensì di un intervento di manutenzione straordinaria: armonizzazioni, chiarimenti, semplificazioni e adattamenti necessari dopo l’ondata di regolazioni degli ultimi cinque anni – dal GDPR all’AI Act. L’obiettivo dichiarato è ridurre la frammentazione e creare un contesto più favorevole alla crescita economica, all’innovazione e all’attrazione di capitali.
L’iniziativa arriva in un momento in cui l’Europa sta ripensando la propria politica industriale digitale, anche alla luce del rapporto Draghi sul futuro della competitività europea. Il Digital Omnibus può essere letto come il primo tentativo operativo di rispondere ad alcune delle criticità evidenziate da quel documento: eccesso di complessità normativa, costi di compliance troppo elevati e mancanza di scala per le imprese europee.
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Il costo economico della complessità regolatoria
Il contesto è ben noto: imprese e cittadini europei affrontano un sistema regolatorio che è una stratificazione di norme sovrapposte, con contraddizioni tra livelli locali, nazionali e comunitari. I costi non sono trascurabili: circa 150 miliardi di euro l’anno in procedure amministrative, secondo le stime citate dall’Economist.
Un regolamento recente impone a molte grandi aziende di fornire più di mille indicatori sulle catene di fornitura globali: una macchina di compliance che richiede specialisti dedicati, senza evidenti benefici economici diretti.
Il rapporto Draghi aveva indicato con forza un punto: l’Europa non può prosperare in un ambiente iper-regolato, caratterizzato da norme proliferanti e spesso incoerenti. Più che allentare la protezione dei cittadini, la richiesta era di rendere le regole più chiare, prevedibili e omogenee.
Digital Omnibus e semplificazione del quadro normativo
Da questo punto di vista, il Digital Omnibus rappresenta un passo nella direzione giusta. La Commissione riconosce che l’accumulo normativo digitale ha generato oneri amministrativi che pesano in modo sproporzionato sulle imprese medio-piccole, proprio quelle che dovrebbero essere il tessuto dell’innovazione europea. Il pacchetto interviene su ambiguità interpretative, sovrapposizioni procedurali e ridondanze, riducendo il rischio che una start-up debba destinare una quota eccessiva di risorse a consulenze legali anziché allo sviluppo del prodotto.
Tuttavia, rispetto allo spirito del rapporto Draghi, l’intervento rimane incrementale. Non c’è un vero “big bang” regolatorio: nessuna riforma strutturale del GDPR, nessun ridisegno radicale dell’architettura normativa. Il Digital Omnibus ottimizza, ma non semplifica in profondità. Si limita a rendere l’ecosistema delle norme più navigabile, senza modificarne il perimetro.
Dal punto di vista dell’impatto economico, questo significa che la misura potrà ridurre i costi marginali di compliance, ma difficilmente produrrà quell’effetto di “liberazione di energia imprenditoriale” che Draghi ha evocato nel suo rapporto.
Il trade-off tra tutela dei dati e crescita digitale
Uno degli aspetti più delicati del Digital Omnibus riguarda la gestione del trade-off tra protezione dei dati personali e semplificazione delle attività economiche. Negli ultimi anni, la regolazione europea si è posizionata come standard setter mondiale in materia di privacy, creando un valore politico evidente ma anche un costo economico implicito. Quando si stabiliscono diritti come valori assoluti che però richiedono risorse scarse per essere gestiti, si genera comunque una tensione tra obiettivi differenti. Il pacchetto Omnibus cerca di ricomporre queste tensioni.
Privacy come bene pubblico e costo della compliance
L’economia dei dati insegna che la privacy funziona come un bene pubblico: un livello elevato di protezione aumenta la fiducia dei consumatori, e dunque la loro disponibilità a partecipare all’economia digitale. Ma questo approccio ha un costo. Quando ogni sito web genera un pop-up di consenso, che spesso gli utenti accettano meccanicamente, la protezione diventa più teatrale che sostanziale. E quando un’impresa deve assumere specialisti della compliance anziché sviluppatori, la privacy si trasforma in una tassa sull’innovazione.
Il Digital Omnibus opera soprattutto su questo secondo lato: non riduce la protezione, ma ne riduce il costo di applicazione. Ad esempio, chiarendo procedure e standard, limitando duplicazioni e rendendo più prevedibili le aspettative dei regolatori nazionali.
Il tentativo sembra quello di ridurre gli oneri poco efficaci, ma cercare di non tagliare la protezione, eliminando solo gli adempimenti che non portano valore nella tutela dei diritti. Il secondo effetto può essere quello di spingere a una maggiore integrazione del mercato unico. Se la compliance diventa più uniforme, le imprese possono scalare più facilmente oltre i confini nazionali, migliorando la produttività e aumentando la base di utenti raggiungibile.
PMI digitali e impatto macroeconomico dei costi di conformità
Il trade-off tra semplificazione e protezione ha diverse dimensioni economiche. Oggi, per molte PMI digitali europee, i costi legali e amministrativi rappresentano una quota che può superare il 5–10% del budget operativo nei primi anni di attività. Se il Digital Omnibus riuscirà a ridurre questa percentuale, l’effetto macro sarà un aumento della sopravvivenza delle start-up e degli investimenti privati early stage.
Digital Omnibus e mercato unico europeo
Inoltre le norme uniformi permettono alle imprese di scalare rapidamente. L’esperienza statunitense dimostra che un mercato digitale uniforme contribuisce alla nascita di grandi player globali. L’Europa, finora, ha sofferto di un mosaico regolatorio che il Digital Omnibus prova a ricomporre.
D’altra parte però ridurre la protezione percepita potrebbe diminuire l’uso dei servizi digitali: la fiducia è un asset economico. Il pacchetto Omnibus non sembra toccare i principi sostanziali del GDPR, e dunque non dovrebbe compromettere la credibilità dell’Europa come custode dei diritti digitali.
Bilancio economico del Digital Omnibus per la competitività europea
Il Digital Omnibus è, nella sostanza, un intervento di manutenzione economica del quadro regolatorio europeo. Non rivoluziona la filosofia europea della privacy, non riscrive l’architettura normativa, e non realizza quell’“atto politico fondativo” auspicato dal rapporto Draghi. Ma rappresenta un tentativo serio e pragmatico di rendere più proporzionato e funzionale il sistema.
Dal punto di vista economico, è un’operazione con benefici probabilmente concreti ma limitati: potrà ridurre i costi inutili, migliorare la prevedibilità, facilitare l’espansione delle imprese e rendere l’Unione un ambiente leggermente più competitivo. Non è la risposta definitiva al ritardo europeo nel digitale, ma può essere un primo segnale del fatto che Bruxelles sta iniziando a considerare la competitività come un obiettivo regolatorio esplicito.
Digital Omnibus, le reazioni di aziende e associazioni di imprese
Le reazioni di aziende e associazioni al Digital Omnibus convergono su un punto: la semplificazione è benvenuta, ma il pacchetto della Commissione non risolve davvero la “giungla digitale” e spesso è percepito come troppo timido rispetto alle attese.
Grandi associazioni imprenditoriali europee
BusinessEurope (che rappresenta le Confindustrie nazionali) accoglie il Digital Omnibus come “un importante traguardo per la competitività Ue”. Il direttore generale Markus Beyrer parla di “segnale importante” perché la Commissione riconosce che la sovraregolazione è stata un fardello persistente per le imprese europee. Allo stesso tempo, BusinessEurope chiede ai colegislatori di sfruttare fino in fondo il potenziale di semplificazione in fase di negoziato, senza indebolire la prevedibilità del quadro normativo.
Nel processo di consultazione, varie associazioni imprenditoriali hanno inoltre contestato in particolare il concetto troppo vago di “eccezionale necessità” nel Data Act (art. richieste di accesso ai dati da parte delle PA), chiedendo una cornice più precisa per evitare richieste arbitrarie o sproporzionate.
Associazioni dell’industria digitale e big tech
Sul fronte delle imprese ICT e piattaforme, il giudizio è in genere: passo nella giusta direzione, ma troppo limitato.
La CCIA Europe (che rappresenta molte grandi aziende digitali globali) definisce il Digital Omnibus “un primo passo promettente” per semplificare le regole tech dell’Ue, apprezza la maggiore chiarezza sull’interazione tra AI Act, GDPR e cybersecurity e il rinvio fino a 16 mesi di alcune obbligazioni sull’AI. Ma critica il perimetro troppo stretto: la Commissione, secondo CCIA, non coglie l’occasione per correggere aspetti strutturali come la soglia di calcolo per i modelli “a rischio sistemico” nell’AI Act o alcune ambiguità sul copyright. Inoltre, il portale unico per la notifica di incidenti cyber rischia di “centralizzare la frammentazione” se non vengono allineate davvero definizioni e soglie nei vari atti.
DIGITALEUROPE, che rappresenta l’industria digitale europea, vede nel Digital Omnibus la possibilità di far funzionare la normativa “come un puzzle coerente”. Nei commenti pubblici sottolinea in positivo: lo slittamento delle scadenze per l’AI Act e l’idea di un European Business Wallet come strumenti chiave per la competitività, ma lega il successo del pacchetto a un disegno più ampio di riforma del mercato unico e politiche industriali (unione del risparmio, innovazione, uso della domanda pubblica, ecc.).
Associazioni industriali e pmi
In Germania, alcune grandi associazioni industriali offrono un termometro interessante:
La BDI (Federazione dell’Industria Tedesca) usa una metafora efficace: il Digital Omnibus “non è il pullman della squadra che speravamo, ma neanche la city car che temevamo”. Riconosce come positivo il rinvio fino a 16 mesi dell’entrata in vigore delle regole sull’AI ad alto rischio, ma chiede in realtà una proroga più ampia (due anni) per dare alle imprese certezza giuridica e tempo per adeguarsi. Critica inoltre la scarsità di misure concrete di riduzione della burocrazia su infrastrutture digitali e cybersecurity.
La VDMA (macchinari e impiantistica) considera il pacchetto “un primo passo nella giusta direzione” perché tocca insieme AI Act, Data Act e GDPR, ma giudica insufficiente lo sforzo complessivo: chiede una revisione più profonda di AI Act e Data Act, sostenendo che così come sono mettono a rischio i segreti commerciali e non riducono abbastanza gli oneri di rendicontazione.
Il Mittelstandsverbund (cooperative del Mittelstand) parla di “segnale di partenza, non di svolta”: apprezza l’armonizzazione su data protection e cookie (integrazione dell’ePrivacy nel GDPR) e alcune esenzioni per PMI, ma osserva che nella pratica il pacchetto non cambia ancora la vita quotidiana delle imprese medie e cooperative, e lascia irrisolte ambiguità chiave (come il perimetro effettivo dell’AI Act).
SMEunited chiede esplicitamente che il Digital Omnibus “trovi l’equilibrio” fra semplificazione, snellimento degli obblighi e tutela della competitività. Nei documenti di posizione insiste che il Data Act non va indebolito: la semplificazione deve concentrarsi su chiarezza e proporzionalità, non sull’indebolimento dei diritti di accesso ai dati e delle garanzie. Domanda poi linee guida pratiche, modelli e template per aiutare le piccole imprese ad adeguarsi a Data Act e GDPR senza dover ricorrere ogni volta a consulenze costose.
La European DIGITAL SME Alliance definisce il Digital Omnibus “un passo avanti” ma sottolinea che non affronta il problema strutturale: l’Europa resta dipendente per circa l’80% da servizi digitali importati. Semplificare AI Act, Data Act e regole cyber è necessario per ridurre gli oneri, ma senza una vera strategia industriale e un “tech stack europeo” il rischio è che la semplificazione finisca per avvantaggiare soprattutto i fornitori extra-Ue.
A livello più “territoriale”, documenti di soggetti come Confartigianato (es. Confartigianato Bologna) leggono il pacchetto come una “svolta attesa da tempo”, perché l’Ue riconosce l’urgenza di passare da un mosaico di obblighi digitali frammentati a un quadro più coerente e gestibile per le piccole imprese
Redazione











