Quasi due anni fa, è stato proprio l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nelle produzioni audiovisive uno dei temi più controversi che hanno condotto, prima, gli autori riuniti nella WGA e, poi, gli interpreti sotto lo scudo SAG-AFTRA, a proclamare lo sciopero più lungo della storia di Hollywood.
Parte delle garanzie richieste per tutelare i diritti della personalità degli interpreti e i diritti d’autore degli sceneggiatori, sono state fornite a livello contrattuale nell’accordo con le case di produzione che ha segnato il momento conclusivo dell’agitazione sindacale. La prassi di regolare tali materie a livello contrattuale si è, successivamente, estesa al di fuori del territorio statunitense, anche in altri Paesi con una tradizione cinematografica molto solida, fra cui l’Italia.
Tuttavia, la controversia non è stata sepolta del tutto e riemerge periodicamente, di recente in relazione all’utilizzo di sistemi di IA in alcuni dei film candidati ai premi Oscar. Questo contributo traccia brevemente lo stato dell’arte quale evoluzione della complessa stagione che ha recentemente coinvolto i settori creativi e ha lo scopo di evidenziare i punti di forza e di debolezza di una regolazione basata sull’autonomia privata. Ci si propone, inoltre, di tracciare linee verso le iniziative sia attualmente in essere, sia soltanto allo stadio di proposta normativa, tramite un confronto tra il sistema di tutela dei diritti della personalità nello scenario statunitense e in quello europeo.
Indice degli argomenti
Il diritto all’immagine nelle controversie del cinema contemporaneo
Nelle settimane precedenti la notte dei Premi Oscar, hanno destato scalpore le dichiarazioni[1] rilasciate da Dávid Jancsó, editor del film “The Brutalist”, il quale ha confermato l’utilizzo di sistemi di GenAI in almeno due momenti del film. Dal punto di vista delle immagini, è stato possibile creare una sequenza verso la fine delle tre ore e quaranta di durata per rendere una serie di disegni architettonici ed edifici completati nello stile dell’architetto protagonista. A generare maggiori perplessità, tuttavia, è il fatto che il sistema Respeecher sia stato utilizzato per migliorare i dialoghi in lingua ungherese – in particolare, gli accenti – degli interpreti dei personaggi principali, ossia Adrien Brody e Felicity Jones.
Jancsó ha affermato che la genuinità delle performance è stata mantenuta, mentre soltanto alcune lettere – e, di conseguenza, suoni – sono stati sostituiti. Pare di comprendere che tali modifiche siano state applicate alle voci degli attori usando come base proprio la voce dell’editor.
La prospettiva dell’intervistato pare cristallina quando osserva che occorrerebbe avere una discussione aperta in merito a quanto l’Intelligenza Artificiale possa fornirci: infatti, usare l’IA nei film non porta nulla di nuovo rispetto a quanto accaduto in precedenza. Secondo Jancsó, l’IA rende soltanto il processo molto più veloce poiché il suo utilizzo è circoscritto alla creazione di piccoli dettagli che non si ha il budget o il tempo per filmare. Nonostante la reazione del pubblico alle dichiarazioni citate non sia stata positiva – con alcuni che hanno chiesto la squalifica del film rispetto alle categorie in cui lo stesso era stato nominato – l’Academy Award per il miglior attore protagonista è stato comunque consegnato nelle mani di Brody. Tuttavia, le polemiche non paiono essersi placate, con chi contesta che non sia possibile premiare la performance di un attore che ha risentito dell’ausilio dell’IA. Peraltro, la controversia relativa a “The Brutalist” non è stata l’unica a coinvolgere l’uso dell’IA per un film candidato: infatti, pare che anche nella pellicola che ha ricevuto il maggior numero di candidature, “Emilia Perez”, l’IA abbia integrato le capacità degli attori. Infatti, in un’intervista rilasciata durante l’ultimo Festival di Cannes, l’addetto al mixaggio del suono Cyril Holtz ha spiegato che, sempre tramite lo stesso software Respeecher, la voce della protagonista Karla Sofia Gascon è stata unita a quella della cantante francese Camille, co-autrice delle musiche del film, al fine di ampliarne il range vocale[2].
Peraltro, il tema del voice-cloning è stato il primo, con il fenomeno del “fake Drake” nell’aprile del 2023, a sensibilizzare sui rischi derivanti dal sempre maggiore uso dell’IA anche nei settori creativi. Il tema si è successivamente ampliato, nel novembre dello stesso anno, con una delle prime proposte di utilizzo dell’IA con il consenso di artisti di calibro (e, nel caso di specie, degli eredi degli artisti)[3]: “Now and then” dei Beatles, fresca vincitrice di un Grammy per Best Rock Performance. Il premio è stato ritirato, in nome dei Beatles, da Sean Lennon, figlio di John, del quale è stato possibile recuperare la voce da una vecchia incisione proprio grazie all’IA.
Dunque, l’atteggiamento non soltanto degli studios, ma altresì nelle opinioni dei tecnici citati, pare rispecchiare la mentalità secondo la quale il settore creativo non può permettersi di rimanere estraneo all’avvento dell’IA, mentre deve accuratamente verificarne le modalità di utilizzo.
La tutela contrattuale del diritto all’immagine nell’accordo SAG-AFTRA
La prima disciplina per l’utilizzo dell’IA nel settore dell’audiovisivo è stata ricompresa, come accennato, nell’accordo intitolato SAG-AFTRA Tv/Theatrical Contract[4] del novembre 2023, ratificato dai membri del sindacato il 5 dicembre dello stesso anno. Il concetto chiave è costituito dalla locuzione “digital replica”, descritta come “replica della voce e/o delle sembianze creata con l’ausilio di tecnologie digitali, come l’IA”. Peraltro, tale concetto è espresso, con un maggior grado di dettaglio, nel primo report[5] formulato dall’Ufficio Copyright statunitense e pubblicato nel luglio 2024, come “Un video, un’immagine o una registrazione audio creata o manipolata digitalmente per rappresentare realisticamente ma falsamente un individuo. Può essere autorizzata o non autorizzata e può essere prodotta da qualsiasi tipo di tecnologia digitale, non solo dall’IA”.
È di particolare interesse che, nella seconda pagina del report, viene indicato esplicitamente che, nel contesto del report stesso, i termini “digital replica” e “deepfake” sono utilizzati in maniera interscambiabile. Nella nota 10, l’Ufficio spiega che, nonostante il sostantivo “deepfake” sia spesso associato a usi non autorizzati o ingannevoli, la relativa definizione in numerosi vocabolari pare, invece, essere molto più ampia.
Quanto sottolineato dall’Ufficio Copyright sembra quantomeno peculiare: infatti, per svariati anni il termine “deepfake” è stato proposto al pubblico come inclusivo di connotati ben più che negativi. A titolo di esempio, nel 2019 è stato scelto come titolo dell’episodio[6] di una serie tv relativa alla diffusione di un video che apparentemente ritraeva il Presidente degli Stati Uniti prendersi gioco di un dignitario straniero, con le conseguenti complicazioni del caso, data la totale non rispondenza del contenuto alla verità. Ciò può rendere manifesto quanto la percezione dell’IA e, in particolare, la sua presenza nelle vite quotidiane sia molto più assidua al momento attuale, rispetto soltanto a qualche anno fa, quando la prospettiva era quella del suo utilizzo soltanto in settori molto lontani dalle persone comuni. La direzione di un cambiamento, del resto, non è mai stata così evidente quanto la consapevolezza che l’esplosione dei sistemi di LLM (Large Language Models), a partire dal 2023, è stata dovuta proprio all’apertura gratuita delle API (Application Programming Interface) della versione base: gli utenti hanno fornito al sistema di una enorme quantità di dati – anch’essi a titolo gratuito – grazie alle conversazioni impostate con ChatGPT.
L’utilizzo delle repliche digitali degli interpreti è stato delineato tramite l’accordo citato, il cui contenuto è chiarito dal Memorandum of Understanding finalizzato il 6 dicembre fra SAG-AFTRA e AMPTP[7]. L’articolo 29 è dedicato proprio all’Intelligenza Artificiale, con la codificazione di due tipologie di repliche digitali: una basata su un contratto di impiego e l’altra creata in maniera indipendente. La prima si riferisce ad una replica creata nel contesto del rapporto di lavoro in una produzione cinematografica, usando tecnologie digitali, con la partecipazione fisica del performer, con lo scopo di rappresentarlo in un contesto nel quale la persona fisica non si venga a trovare. La seconda, invece, ha lo scopo di creare, e crea, la chiara impressione che il contenuto sia un performer persona fisica, la cui voce e/o le cui sembianze sono riconoscibili come la voce e/o le sembianze di un performer identificabile; essa riguarda la performance dello stesso come personaggio e non è disciplinata da alcun contratto di lavoro.
In entrambi i casi, l’elemento fondamentale per l’utilizzo delle stesse è il consenso. Con riferimento alla replica digitale che trova la propria ragione d’essere nel contratto di impiego dell’interprete, tale contratto prevede che l’artista debba ricevere notifica della necessità di partecipare alle attività necessarie per ottenere la replica almeno quarantotto ore prima dell’inizio di tali attività. Oltre a ciò, deve fornire un consenso informato, ossia che non possa essere “sepolto” in un più generale accordo con previsioni standard, ma necessita di una firma specifica. Infine, vi deve essere ovviamente un corrispettivo per il coinvolgimento nel processo di creazione della replica e, nel caso le attività necessarie siano rese in un giorno in cui il performer non è impegnato sul set, tale circostanza dovrà essere calcolata ai fini della quantificazione dell’ammontare. Con riferimento alla replica digitale creata in maniera indipendente, invece, sarà necessario ottenere il consenso all’uso e negoziare i termini dello stesso.
Controversie precedenti all’IA: Tyburn Film Production v. Disney
La questione posta non è di poco conto e, addirittura, non si limita al solo utilizzo dell’Intelligenza Artificiale.
Un caso eclatante, utile a meglio comprendere i rapporti fra le categorie, è nato ancor prima dell’inizio dell’era dello sviluppo dell’IA nel settore creativo. Nnel 2019 la casa di produzione britannica Tyburn Film Production ha convenuto in giudizio Disney, Lunak Heavy Industries (UK) Limited e Lucasfilm per il presunto utilizzo illecito dell’immagine dell’attore britannico Peter Cushing in “Star Wars: Rogue One” del 2016. Infatti, lo spin-off include in alcuni frame il personaggio di Moff Tarkin, interpretato dall’attore britannico scomparso negli anni ’90 nella trilogia originale di “Guerre Stellari”. Da notare è che l’immagine di Cushing era stata creata tramite semplice CGI (computer-generated image), con risultati insoddisfacenti, dato che molti spettatori avevano notato le discrepanze derivanti dalla sovrapposizione del viso di Cushing alle fattezze corporee del suo body-double.
Tyburn Film Production è la società di produzione fondata da Kevin Francis, amico di Cushing, il quale sostiene di avere a disposizione un documento, finalizzato dallo stesso Cushing prima della morte, il quale impedisce qualsiasi uso della propria immagine senza il previo consenso dello stesso Francis. I convenuti, invece, replicano che l’utilizzo sia lecito, in particolare derivante, da un lato, dal contratto di lavoro firmato da Cushing in relazione alla propria partecipazione al film intitolato “Una nuova speranza” e datato 1977. Inoltre, gli stessi convenuti avevano, altresì, finalizzato un accordo con gli eredi di Cushing, proprio in relazione all’utilizzo dell’immagine dello stesso previo corrispettivo. Sebbene paia che gli elementi presentati da Francis non siano sufficienti per il successo dell’azione, il giudice dell’High Court britannica dinanzi alla quale il procedimento è stato instaurato ha rigettato la richiesta di giudizio sommario presentata dai convenuti, ritenendo che il tempo e le modalità necessarie per fornire una soluzione alla vicenda siano quelli del procedimento ordinario.
La questione è del tutto singolare poiché, nella maggior parte dei casi, sono gli artisti stessi, o i loro eredi, a promuovere controversie aventi al centro l’utilizzo indebito dell’immagine del proprio congiunto. Nel caso di specie, invece, gli utilizzatori dell’immagine si trovano dalla stessa parte rispetto a coloro che hanno dato il consenso. È il consenso stesso, tuttavia, secondo l’attore, a risultare indebito.
Si può dire quindi che non è l’Intelligenza Artificiale ad aver posto nuovi problemi al diritto, ma anzi che la stessa abbia semplicemente fornito lenti nuove con le quali analizzare tematiche senza tempo, proprio come quella del consenso.
Il diritto all’immagine fra Italia e USA
Pare utile affrontare, ora, il tema del diritto all’immagine e alla sua sfumatura nel mondo di lingua inglese e in quello del Vecchio Continente.
A tale scopo, occorre approfondire il testo del contratto collettivo nazionale per interpreti, attrici e attori del comparto di produzione del cineaudiovisivo italiano[8], che segue temporalmente il contratto SAG-AFTRA e ne riflette i contenuti. L’articolo 20, intitolato “intelligenza artificiale e cessione di diritti”, prevede, al secondo paragrafo, un regime transitorio, secondo il quale, in assenza di espliciti accordi, la cessione dei diritti inerenti l’utilizzo e la relativa registrazione e riproduzione dell’immagine e della voce di ciascun Interprete/Attore/Attrice sono considerati leciti e validi solamente se riferiti al prodotto audiovisivo per cui sono stati realizzati e al suo conseguente sfruttamento e promozione in ogni forma, mezzo, canale e modalità per qualsiasi finalità. Al contrario, risulta illegittima sia l’estrazione di parti della recitazione, sia ogni attività di campionamento e riproduzione. In particolare, si legge il divieto di utilizzare in qualsiasi forma l’immagine e/o la voce degli interpreti per il training di sistemi di IA. Al contrario, paiono possibili tutte le attività di post-produzione – in cui certamente rientrano quelle citate al paragrafo 2 del presente testo – alla condizione che esse siano fondate su ragioni tecniche e/o artistiche e che non modifichino in maniera significativa l’immagine dell’Interprete/Attrice/Attore attraverso l’utilizzo di IA.
Tuttavia, il paragrafo 1 risulta ancor più pregnante, poiché comprende un impegno delle parti a giungere quanto prima ad una specifica pattuizione atta a regolamentare le cessioni dei diritti anche relative alle performance artistiche di cui al contratto stesso. Tuttavia, viene esplicitato che siano da tenere in considerazione, da un lato, la libertà negoziale delle parti e, dall’altro, le normative emanate a livello europeo e il loro recepimento nella legislazione nazionale.
Gli interpreti italiani hanno un livello di tutela maggiore rispetto ai colleghi statunitensi con riferimento al diritto all’immagine, anche senza tenere in considerazione la copiosa produzione normativa a livello di Unione Europea. Infatti, ancor prima della nascita della Comunità, l’Italia ha ratificato la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. È stata la stessa Corte di Strasburgo, riunita nella Grande Camera, a stabilire il percorso argomentativo divenuto pilastro dei discorsi sul legame fra diritto all’immagine e diritto alla privacy. I paragrafi 95 e 96 sentenza del 7 febbraio 2012 nel caso Von Hannover v. Germany (No. 2)[9] costituiscono una sintesi perfetta del rapporto che la Corte stessa stabilisce. Nel primo paragrafo si ricorda che il concetto di vita privata si estende ad aspetti relativi all’identità personale, come il nome, la fotografia o l’integrità fisica e morale di una persona, ma anche che la garanzia offerta dall’articolo 8 della Convenzione ha come scopo principale quello di assicurare lo sviluppo della personalità di ciascun individuo nelle sue relazioni con gli altri esseri umani, senza alcuna interferenza esterna. La Corte riconosce l’esistenza di una zona di interazione della persona con gli altri, anche in un contesto pubblico, e stabilisce che tale interazione possa rientrare nell’ambito della vita privata. Nel paragrafo successivo, la Corte dichiara che, con riferimento alle fotografie, l’immagine di una persona costituisce uno degli attributi principali della sua personalità, in quanto rivela le sue uniche caratteristiche atte a distinguerla dai suoi simili. La Corte conclude, dunque, affermando che il diritto alla protezione della propria immagine è una delle componenti essenziali dello sviluppo personale. Il presupposto di tale circostanza è il diritto di controllare l’uso di tale immagine, compreso altresì il diritto di rifiutarne la pubblicazione.
Tale principio può senza dubbio essere applicato al caso analizzato in questo scritto: sulla base di ciò, è possibile ritenere che l’utilizzo dell’immagine di un interprete proveniente da un frame del suo film, modificata tramite l’intervento di un sistema di IA e riproposta in un contesto estraneo costituisca violazione del diritto fondamentale all’immagine dell’individuo.
Ciò non in quanto interprete e parte del contratto finalizzato per l’uso dell’immagine, bensì in quanto persona umana della quale è violato il diritto fondamentale all’immagine. Tale opinione pare essere condivisa dalla Corte di Cassazione italiana che, con la sentenza ormai risalente n. 1748 del 2016, ha stabilito l’illeceità dell’utilizzazione a fini pubblicitari dell’immagine di un soggetto che, dopo averne inizialmente autorizzato l’uso senza alcun limite temporale e dietro pagamento di un corrispettivo, abbia successivamente revocato la propria autorizzazione. Citando il precedente giurisprudenziale stabilito dalla stessa Corte con la sentenza n. 3014 del 2004, la Cassazione ricorda che “il consenso alla pubblicazione della propria immagine costituisce un negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, all’immagine, che in quanto tale non può costituire oggetto di negoziazione, ma soltanto l’esercizio di tale diritto. Il consenso in parola, pertanto, sebbene possa essere occasionalmente inserito in un contratto, resta tuttavia distinto ed autonomo dalla pattuizione che Io contiene, con la conseguenza che esso è sempre revocabile, quale che sia il termine eventualmente indicato per la pubblicazione consentita, ed a prescindere dalla pattuizione del compenso, che non costituisce un elemento del negozio autorizzativo in questione, stante la natura di diritto inalienabile e, quindi, non suscettibile di valutazione in termini economici rivestita dal diritto in discussione”[10]. Nei paragrafi precedenti a quello citato, peraltro, la Corte fornisce un’ottima sintesi della disciplina stratificata che incide sulla tutela del diritto all’immagine. Infatti, vengono citati sia l’articolo 10 del codice civile italiano, sia gli articoli 96 e 97 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore: la corte ricorda che tali disposizioni disciplinano il fatto che la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato è lecita soltanto se ed in quanto risponda ad esigenze di pubblica informazione e non, invece, a fini pubblicitari. Di conseguenza, almeno tre domini di diritto differenti governano il tema dell’immagine: il diritto alla privacy, il diritto privato e il diritto d’autore. Tutti tali domini, peraltro, trovano la propria disciplina in fonti totalmente o parzialmente armonizzate a livello eurounitario tramite, rispettivamente, regolamenti e direttive.
Il panorama è diverso negli Stati Uniti, dove la visione liberistica ha condotto alla suddivisione fra diritto alla privacy e diritto alla publicity, ossia, ancora una volta secondo quanto espresso dall’Ufficio Copyright statunitense nel report del luglio 2024, il diritto che riguarda l’uso della personalità individuale in un contesto commerciale, allo scopo di evitare che terzi possano ottenere guadagni quando tale uso non è autorizzato. Tale diritto, coniato per la prima volta dal Secondo Circuito nel caso Haelan Laboratories, Inc. v. Topps Chewing Gum, Inc. del 1953, è stato, nel corso dei decenni stabilito, nei vari Stati tramite la legislazione e/o tramite il sistema di common law basato sui precedenti giurisprudenziali. Mentre in alcuni Stati i confini dei due diritti sono rimasti netti, in altri la situazione è divenuta maggiormente nebulosa. Infatti, anche il solo diritto alla publicity considerato in sé e per sé rimanda a visioni differenti da Stato a Stato. Per tale ragione, si è cercato di invocare un intervento federale atto a normare il contenuto di tale diritto in maniera che tutti gli individui ottengano le medesime tutele rispetto allo sfruttamento commerciale della propria immagine (o di altre proprie caratteristiche uniche) qualsiasi sia lo stato di cittadinanza.
L’esigenza è sentita da tempo, ma la questione ha guadagnato ancora più urgenza proprio a seguito dello sviluppo massiccio dei sistemi di IA e delle violazioni al diritto alla publicity derivanti dall’utilizzo degli stessi.
Infatti, a prescindere dall’impatto che i risultati delle nuove elezioni statunitensi avranno non soltanto sull’approccio governativo all’IA – si ricordi che uno dei primi atti firmati dal Presidente Trump è stato quello di rescindere l’Executive Order del Presidente Biden in tema di regolazione dell’IA – ma anche sul funzionamento del Parlamento, occorre prendere nota di iniziative che quantomeno puntano a porre la basi di una proposta normativa armonizzata a livello federale. Sulla scia di una rinnovata sensibilità sul tema è stato introdotto nel luglio 2024 alla Camera dei Rappresentanti e nel settembre dello stesso anno davanti al Senato il disegno di legge dal titolo “Nurture Originals, Foster Art, Keep Entertainment Safe (NO FAKES) Act” allo scopo di affermare la responsabilità non soltanto degli individui o delle aziende che producono una replica digitale non autorizzata di un individuo in una performance, bensì anche delle piattaforme che ospitano tali repliche digitali non autorizzate pur essendo a conoscenza della violazione. Con riferimento alle formalità in ambito normativo, si ritiene altresì necessario, da un lato, escludere alcune repliche digitali dalla copertura del divieto, sulla base delle tutele riconosciute dal Primo Emendamento, nonché creare uno standard nazionale praticabile, procedendo all’abrogazione di leggi attualmente in essere in venticinque stati, affinché, come anticipato, la tutela possa avere la garanzia della coerenza.
Bilanciare innovazione e diritto all’immagine: prospettive future
Penso di avere mostrato come il settore dell’intrattenimento costituisca un banco di prova fondamentale rispetto alle scelte dei legislatori e all’atteggiamento che si intenderà tenere allo scopo di individuare il delicato equilibrio fra sviluppo tecnologico e tutela dei diritti delle persone. Ho scelto la locuzione dei diritti delle persone, anziché dei diritti della personalità, proprio sulla base della concezione principalmente utilitaristica del diritto alla publicity in ambito statunitense. Tuttavia, è anche possibile immaginare una direzione diversa, che, proprio basandosi su un auspicabile maggiore livello di comprensione e di consapevolezza del pubblico sulle potenzialità, ma anche sui rischi posti dall’IA, porti il diritto all’immagine a ottenere lo status di diritto fondamentale anche in quei sistemi giuridici nei quali, fino a questo momento, ha avuto maggior rilievo la sua connotazione economica.
Inoltre, le problematiche sino ad ora investigate in relazione alla presenza e all’uso delle repliche digitali nel settore dell’intrattenimento non sono che una minima parte delle questioni dubbie che si pongono nei confronti degli stessi temi dal punto di vista della sicurezza sociale, in particolare con riferimento all’identificazione biometrica che è stata indicata nell’AI Act tra i settori ad alto rischio. Mi pare quindi che sia necessario porre attenzione sui temi trattati ed essere coinvolti nelle modalità di sviluppo sia sulla frontiera tecnica, sia su quella normativa. Soltanto con un’azione incrociata dei professionisti di entrambi i settori, infatti, si potrà garantire il procedere del progresso tecnologico di pari passo con la tutela dei diritti fondamentali.
Note
[1] https://www.redsharknews.com/why-epic-period-drama-movie-the-brutalist-was-shot-on-vistavision
[2] https://www.forbes.com/sites/timlammers/2025/01/21/emilia-prez-and-the-brutalist-ai-controversies-explained/
[3] Per approfondire, è possibile visionare B. Marone, La simbiosi fra uomo e IA può far bene all’arte, ma con le giuste regole, in Agenda Digitale, 15 dicembre 2023.
[4] https://www.sagaftra.org/sites/default/files/sa_documents/TV-Theatrical_23_Summary_Agreement_Final.pdf
[5] https://www.copyright.gov/ai/Copyright-and-Artificial-Intelligence-Part-1-Digital-Replicas-Report.pdf
[6] https://www.imdb.com/it/title/tt10338190/
[7] https://www.sagaftra.org/sites/default/files/2023_Theatrical_Television_MOA.pdf
[8] https://www.anica.it/allegati/CCNL%20ATTORI%20firmato%2020122023.pdf
[9] https://hudoc.echr.coe.int/fre#{%22itemid%22:[%22001-109029%22]}
[10] Cass. Civile, Sez. I, 29/01/2016, n. 1748, in Sistema Proprietà Intellettuale.