Negli ultimi anni, gli avatar digitali stanno permeando e arricchendo sempre più le esperienze omnicanale riscrivendo totalmente le customer journey degli individui, ivi incluso nell’accesso e nella fruizione dei servizi sanitari.
Ad esempio l’uso di tool virtuali come gli avatar, a supporto o a sostituzione di interazione con i medici “reali” stanno trasformando la relazione tra pazienti e servizi sanitari digitali.
Progettati per simulare empatia, ascolto e prossimità, questi agenti visivi si stanno diffondendo in app per la telemedicina, assistenti digitali per la gestione terapeutica e ambienti sanitari virtuali. L’obiettivo è nobile: restituire calore umano a un’interazione tecnologica che rischia di risultare fredda o impersonale.
Indice degli argomenti
L’effetto paradosso dell’iper-realismo nelle interfacce mediche
Tuttavia, recenti evidenze empiriche mostrano un paradosso poco considerato: quando l’avatar appare troppo simile a un essere umano, l’effetto può essere controintuitivo, generando disagio, inquietudine e persino sfiducia. Un nostro studio sperimentale, condotto da un gruppo di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, condotto su 206 partecipanti ha analizzato proprio questa dinamica, manipolando il livello di somiglianza umana (formalmente human-like similarity level) degli avatar del medico oggetto di un prototipo concettuale basato su un uno studio simulato, mockup-based experiment. I risultati hanno mostrano un effetto a catena: maggiore somiglianza (vs. minore) conduceva a un’incremento dell’antropomorfismo percepito del virtual tool, ed ancora ad un incremento del senso di inquietudine (formalmente, perceived creepiness), tali da stimolare infine reazioni emotive negative da parte dell’utente.
Uncanny valley in sanità: quando la somiglianza disturba
Questo pattern conferma le ipotesi della cosiddetta Uncanny Valley, secondo cui una somiglianza eccessiva ma imperfetta tra umano e artificiale può suscitare reazioni perturbanti, soprattutto in contesti delicati come quelli legati alla salute.
Quando l’avatar del medico “vuole sembrare reale”, ma il risultato non è pienamente naturale, la comunicazione rischia di diventare ambigua e disturbante.
Il mismatch tra aspetto e comportamento negli avatar medici
La comunicazione medico-paziente è storicamente fondata su prossimità, fiducia e riconoscimento reciproco. Trasporla in forma digitale significa semplificare, ma anche rischiare.
Talvolta, anche grosso! Il nostro esperimento ha mostrato che un medico-avatar molto simile all’umano genera aspettative relazionali che non sempre trovano riscontro nel comportamento dell’intelligenza artificiale sottostante.
Il mismatch tra aspetto e interazione può produrre quella sensazione disturbante che la letteratura descrive come creepiness: un fastidio sottile ma rilevante, che mina la percezione di affidabilità, competenza ed empatia.
Digital literacy come filtro cognitivo ed emotivo
Questa dinamica non è generalizzabile a tutti gli utenti. I dati raccolti evidenziano che la risposta emotiva varia in funzione di una variabile chiave: la digital literacy, ossia il livello di competenza e familiarità dell’utente con gli strumenti digitali.
I risultati dell’esperimento hanno infatti dimostrato che ritiene di possedere un elevato (vs. basso) lievello di digital literacy mostra una maggiore capacità di interpretare correttamente la natura dell’avatar, riconoscendo la finzione tecnologica senza attribuire impropriamente intenzioni o emozioni. In questi soggetti, l’effetto perturbante dell’Uncanny Valley è notevolmente ridotto. La digital literacy agisce come una sorta di “filtro cognitivo” e “regolatore emotivo”: permette di decodificare il segnale visivo, regolare l’aspettativa comunicativa, e quindi proteggersi da reazioni disfunzionali.
Competenze digitali come infrastruttura civica per l’innovazione
Tuttavia, la rilevanza della digital literacy non si limita al singolo utente. In una società sempre più esposta a forme simulate di comunicazione, ead esempio come quella attuale, iperconnessa, iperdigitale con dei confini così “labili” tra reale e virtuale e quindi come come quelle veicolate da avatar, chatbot o interfacce conversazionale, promuovere competenze digitali diffuse è una priorità strategica. Non si tratta solo di saper utilizzare tecnologie, ma di comprenderne il funzionamento, i limiti e le implicazioni etiche.
La digital literacy diventa allora non solo un criterio di “segementazione” per proporre poi il miglior avatar tailor-based, ma altresì condizione abilitante per la reale interiorizzazione sociale delle innovazioni: solo una cittadinanza digitalmente competente può riconoscere valore, sviluppare fiducia e adottare consapevolmente strumenti ad alto contenuto relazionale come gli avatar del medico.
Senza questa base culturale, anche le soluzioni più promettenti rischiano di generare rifiuto, ambiguità o dipendenza non critica.
Ripensare il design degli avatar sanitari tra trasparenza ed etica
I risultati dello studio sollevano interrogativi importanti per chi progetta interfacce e interazioni nel contesto sanitario. L’umanizzazione degli avatar non può essere perseguita come fine in sé.
Non sempre “più umano” significa “più efficace”. Il rischio è quello di produrre entità che sembrano empatiche ma non lo sono davvero, generando frustrazione invece di fiducia. È dunque necessario progettare avatar che siano coerenti non solo sul piano visivo, ma anche su quello comunicativo, etico e simbolico.
Andrebbe favorita una maggiore trasparenza: chiarire all’utente che si sta interagendo con una rappresentazione artificiale, permettere scelte personalizzate sul tipo di interfaccia, e soprattutto calibrare la rappresentazione in base al livello di competenza dell’utente. Laddove possibile, si dovrebbero adottare soluzioni adattive o multicanale, in cui il medico-avatar sia integrato ma non sostitutivo.
Digital responsibility: progettare tecnologie come mediatrici di valori
Quanto emerso richiama a una responsabilità più ampia: quella che potremmo in quache maniera definire omni-comprensivamente “Digital Responsibility”. Se il medico-avatar influenza emozioni, decisioni e percezioni, allora il suo design non è mai neutro. Progettare per la fiducia, la comprensione e l’equilibrio relazionale significa riconoscere che le tecnologie non sono meri strumenti, ma “mediatrici” di senso e di valori.
In ambito sanitario, ciò implica un surplus di cautela e consapevolezza: si opera in territori di vulnerabilità emotiva, e ogni scelta di design può rafforzare o minare la relazione terapeutica. Le imprese che sviluppano avatar per l’healthcare, così come le istituzioni che li adottano, devono dotarsi di competenze interdisciplinari che integrino psicologia, comunicazione, design etico e policy digitale.
Oltre la simulazione: verso avatar coerenti e trasparenti
L’obiettivo non è umanizzare le tecnologie fino a renderle indistinguibili dall’essere umano, ma progettare interazioni che rispettino la complessità dell’utente, ne riconoscano le differenze individuali, e facilitino l’incontro tra umano e artificiale senza ambiguità.
L’avatar del medico non deve essere una copia imperfetta del medico reale, ma un compagno digitale ben progettato, chiaro nella sua identità, utile nella sua funzione e trasparente nel suo ruolo. Solo così l’innovazione può davvero entrare nella cultura sociale e diventare patrimonio condiviso.
E la digital literacy, da variabile individuale, può trasformarsi in infrastruttura civica per una società capace di comprendere, scegliere, e fidarsi delle tecnologie che la accompagnano.
Digital literacy come imperativo collettivo per l’accesso cognitivo
Per questa ragione, la digital literacy – e il ruolo delle competenze digitali – è ancora oggi un imperativo collettivo alla base della rinnovata Digital Responsibility. Oggi più che mai, è necessario investire in programmi diffusi di alfabetizzazione digitale non solo per formare cittadini consapevoli, ma anche per garantire che la società nel suo complesso possa accedere, comprendere e apprezzare il valore delle innovazioni tecnologiche nei servizi, come nel caso degli avatar del medico.
Senza tale base culturale, si rischia non solo l’esclusione di ampie fasce della popolazione, ma anche una compromissione dell’intero processo innovativo: emozioni negative, diffidenza e rifiuto possono vanificare gli sforzi delle imprese, così come quelli delle istituzioni pubbliche e delle società scientifiche coinvolte nello sviluppo di soluzioni digitali. Promuovere digital literacy significa quindi favorire l’adozione consapevole delle tecnologie, ridurre le disuguaglianze cognitive e abilitare una piena cittadinanza digitale.












