Whisteblowing: parola ad oggi intraducibile, ma istituto certamente utile per prevenire e contrastare corruzione e fenomeni illegali. S’intende il lavoratore del pubblico o del privato che segnala (tramite canali ad hoc interni ed esterni) un pericolo, un episodio opaco o una cattiva gestione amministrativa a cui assiste.
All’assenza del termine corrisponde un vuoto che è sia culturale che normativo. Se è difficile diffondere in Italia una cultura della “non cooperazione” alla corruzione, è anche vero che esiste un’insufficienza normativa: non può bastare un unico insufficiente articolo della Legge anticorruzione 190/12, il quale non garantisce le adeguate tutele ai segnalanti.
In questo quadro d’incertezza e confusione (tra denuncia e segnalazione, tra anonimato e riservatezza, tra i diversi destinatari di segnalazione), a cui si aggiunge una riforma ferma da tempo al Senato, provano a diffondersi alcune prassi di enti pubblici e privati che non riescono a superare la dimensione dell’esperimento pilota, così come sono ancora residuali quelle tecnologie messe a disposizione per la gestione le segnalazioni che arrivano via telematica. Anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che ricopre il ruolo di Authority per il whistleblowing, fatica a proporre linee guida coerenti per tutti gli enti.
Ciò che è certo è che va garantita una riflessione sistemica al fine di porre al centro dell’attenzione il segnalante di corruzione, più che ogni prassi o strumento digitale.
Se si parte dall’idea che il potenziale whistleblower vive il “dilemma etico” di chi ha assistito a qualcosa di illegale, o che già sperimenta gli effetti nefasti di un non volersi adeguare a prassi di malaffare diffuse sul suo luogo di lavoro (pressioni, mobbying, demansionamenti), è evidente come occorra garantire da un lato un accompagnamento e orientamento della persona che può venire solamente dalla società civile, dall’altro le migliori tutele grado di non esporlo a rischi.
È dunque prioriraria una cooperazione tra soggetti civici (che indirizzano i potenziali whistleblower ai canali di segnalazione) e enti pubblici e privati (che si dotano delle migliori policy e tecnologie) finalizzata a garantire l’emersione di prassi di malaffare tramite quest’istituto. Tale sfida è quella che le associazioni aderenti all’Open Government Partnership hanno messo sul tavolo delle proposte.
Non basta: accanto a ciò, per fare un ulteriore scatto in avanti nella cultura dell’integrità, occorre estendere i servizi di segnalazione (pur pensati per i lavoratori) all’intera società civile, al fine di garantire l’emersione di segnali di allarme dall’esterno e non solo dall’interno, diffondendo la pratica dell’ “agente civico”, ossia del cittadino segnalante. Esistono in Italia associazioni che svolgono il ruolo di “watchdog civici” che volentieri si premurerebbero di raccogliere e utilizzare segnalazioni, ma vanno immaginate prassi formali e percorsi di incoraggiamento non solo civico per rendere reale tale pratica anche in Italia.












Un vostro abbonato mi ha informato di questa iniziativa, che arriva con decenni di ritardo!!!A lui ho posto la seguente domanda: come facciamo noi cittadini a sapere che un documento, ricevuto con questo sistema, è vero? Io sono subissato di mail da Equitalia, Banca, ENI etc. etc.; sinora li ho cestinati direttamente; dal 12 Agosto come faccio a distinguere i documenti veri dai falsi? E come “dialogherete con chi non ha un computer? La risposta è stata : “non lo so!!!!” Potreste rispondermi voi? Grazie Franco Barbalonga