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Verso un’Europa digitale: ecco gli obiettivi del progetto Digi-Inclusion



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Digi-Inclusion promuove l’inclusione digitale in Europa attraverso azioni locali, formazione, sportelli di facilitazione e progetti intergenerazionali: a Bologna il confronto tra partner per costruire servizi digitali su misura dei bisogni reali dei cittadini

Pubblicato il 13 mag 2025



innovazione partecipata; sex cam

L’inclusione digitale è un concetto che va al di là della trasmissione delle competenze necessarie per utilizzare la tecnologia: è una questione di diritti, fiducia e partecipazione alla vita pubblica. Per l’Europa, colmare il digital divide è un obiettivo programmatico: tra le iniziative per raggiungerlo, c’è il progetto Digi-Inclusion.  

Quest’anno, dal primo al 3 aprile, Bologna ha ospitato il transnational meeting dell’iniziativa, organizzato da Lepida con la partecipazione di numerosi partner internazionali. Tre giornate di confronto, riflessione e condivisione di buone pratiche che hanno posto al centro la necessità di rendere il digitale davvero accessibile a tutti.

Equità digitale in UE: il contesto di Digi-Inclusion

Il progetto Digi-Inclusion nasce all’interno del programma europeo Urbact, che mira a promuovere lo sviluppo urbano sostenibile attraverso reti transnazionali. In questo contesto, l’inclusione digitale viene affrontata come un pilastro per garantire coesione sociale, accesso equo ai servizi e partecipazione attiva alla cittadinanza.

Si evidenzia, in particolare, un punto chiave del dibattito europeo sul digitale: la tecnologia non può essere calata dall’alto, ma deve essere progettata in modo inclusivo, centrato sulle persone, capace di superare le barriere culturali, psicologiche e infrastrutturali che ancora oggi escludono milioni di cittadini.

Digi-Inclusion, le esperienze condivise

Durante l’incontro di Bologna, i partecipanti hanno avuto l’occasione di confrontarsi sui risultati raggiunti nei rispettivi territori grazie alle azioni pilota avviate nell’ambito del progetto Digi-Inclusion. Si tratta di sperimentazioni concrete che hanno coinvolto pubbliche amministrazioni, enti del terzo settore, scuole e cittadini, con l’obiettivo di:

  1. Sviluppare competenze digitali di base, soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione, 
  1. Facilitare l’accesso ai servizi pubblici digitali, rendendoli più semplici e fruibili, 
  1. Rafforzare la fiducia e la motivazione verso le tecnologie, contrastando il senso di esclusione e frustrazione. 

Tra le esperienze più significative emerse nel corso del meeting bolognese, vi è quella dei desk di facilitazione digitale, veri e propri sportelli di prossimità dove i cittadini possono ricevere supporto per svolgere operazioni online, imparare a usare strumenti digitali e risolvere dubbi pratici. Un esempio virtuoso è rappresentato da “Digitale Facile”, progetto del Comune di Bologna che offre servizi di accompagnamento digitale attraverso una rete di sportelli distribuiti sul territorio.

Il ruolo della comunità: generazioni che si aiutano

Uno degli aspetti più innovativi emersi durante l’evento riguarda la valorizzazione delle reti di comunità e il coinvolgimento intergenerazionale. In particolare, è stato presentato il progetto realizzato in collaborazione con Auser, che ha visto lavorare insieme volontari sul tema della disinformazione digitale. L’iniziativa si è integrata con il progetto SUM, volto a contrastare le fake news e migliorare la consapevolezza critica dei cittadini nei confronti delle fonti online.

Un altro esempio emblematico è quello che ha coinvolto gli studenti dell’Istituto Pacinotti, formati per diventare educatori digitali. I ragazzi hanno messo le loro competenze al servizio delle persone meno esperte – in particolare anziani – aiutandoli a orientarsi nel mondo digitale. Un approccio win-win che da un lato potenzia il senso di responsabilità e cittadinanza attiva dei giovani, e dall’altro permette un apprendimento più efficace, informale e basato sulla fiducia.

La fiducia come infrastruttura sociale nel progetto Digi-Inclusion

Il digital divide non si colma solo con le connessioni o i dispositivi. Certo, infrastrutture e accesso sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. L’inclusione digitale richiede un lavoro più profondo sulle motivazioni, sulla percezione del valore del digitale e sul senso di autoefficacia delle persone.

Molte delle azioni pilota presentate durante l’evento si sono infatti concentrate sulla costruzione di relazioni, sulla creazione di contesti accoglienti e rassicuranti, dove i cittadini possano sentirsi ascoltati e accompagnati. L’obiettivo non è solo “insegnare a usare il digitale”, ma trasformare il rapporto con il digitale, passando da una logica di obbligo a una di opportunità.

Le città hanno un ruolo fondamentale in questo. L’esperienza di DIGI-Inclusion mostra come le città possano essere protagoniste del cambiamento, grazie alla capacità di costruire alleanze tra pubblico, privato e società civile. Bologna, con il coordinamento di Lepida, è diventato un laboratorio di innovazione sociale, capace di sperimentare modelli replicabili anche in altri contesti europei. Il progetto si inserisce in un ecosistema più ampio, fatto di reti europee che promuovono lo scambio di buone pratiche e la costruzione di politiche condivise. Urbact, in questo senso, non è solo un contenitore di progetti, ma una vera e propria piattaforma di apprendimento reciproco, dove le esperienze locali si trasformano in strumenti di policy su scala continentale. Certo l’evento bolognese è stato un esempio di un’Europa che cerca di rendere il digitale uno spazio accessibile, umano e partecipato. Per concretizzare questo servono però risorse, ma soprattutto visione politica, ascolto delle comunità e capacità di innovare nelle relazioni prima ancora che nei processi.

Articolo realizzato in partnership con Lepida

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