L’adozione del software open source nella pubblica amministrazione è stata vista, sin dall’inizio del secolo, come una svolta potenziale per la trasparenza, la sovranità tecnologica e il contenimento dei costi. Tuttavia, i primi esperimenti, nati sull’onda dell’entusiasmo per OpenOffice, hanno mostrato luci e ombre fin dai loro esordi.
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I primi esperimenti e il progetto LiMux a Monaco di Baviera
I primi progetti risalgono all’inizio del secolo, sulla scorta dell’entusiasmo per il rilascio del codice sorgente di OpenOffice, che metteva a disposizione degli utenti una suite per ufficio completa e competitiva.
In particolare, in Germania gli utenti di StarOffice – che possiamo definire come il papà “proprietario” di OpenOffice – si sono trovati improvvisamente nella condizione di utilizzare lo stesso software senza doverne pagare il costo. Certo, con la transizione da progetto chiuso a progetto di una comunità qualcosa si era perso in termini di sicurezza e stabilità, ma le prospettive erano sicuramente radiose.
Il primo progetto, infatti, è stato quello della città di Monaco di Baviera, lanciato dall’allora sindaco Christian Ude, socialdemocratico, eletto per la prima volta nel 1993 e rieletto per tre volte con preferenze sempre crescenti e superiori al 60%. La migrazione da Windows a Linux, definita come Progetto LiMux, venne annunciata nel 2003, e venne difesa da Ude durante un’epica riunione con Bill Gates, dove i due non se le mandarono certo a dire, e – secondo le voci di corridoio – Ude, vestito con il tradizionale costume bavarese, aveva risposto paventando l’attacco delle truppe cittadine alla sede Microsoft, che all’epoca si trovava alla periferia di Monaco, alle minacce di ritorsione economica da parte dell’azienda.
Diffusione iniziale dell’open source nella PA europea
Negli anni, quello che era iniziato come un esperimento isolato è diventato un movimento strategico guidato dagli stessi obiettivi di trasparenza, sovranità digitale, efficienza dei costi e innovazione. Dopo Monaco di Baviera, è stato il turno del Governo Francese con la Gendarmeria Nazionale con oltre 200.000 postazioni Linux e diversi Ministeri con il solo OpenOffice, di grandi città come Bologna, sempre con OpenOffice, e di una pletora di piccole città, tutte con OpenOffice. Solo alcuni tra gli esempi disponibili.
Il codice dell’amministrazione digitale in Italia e la sua inefficacia
Nel 2005, il Governo Italiano ha introdotto il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), che rimane uno dei documenti più disattesi nella storia del nostro Paese, in quanto è stato, è, e probabilmente sarà completamente ignorato anche in futuro. Il CAD attribuisce al software open source una precedenza negli appalti pubblici, con poche eccezioni che purtroppo diventano la regola, mentre la regola diventa l’eccezione. Purtroppo, la situazione non cambia con nessuna delle quattro versioni del CAD, l’ultima delle quali mette addirittura fuori legge i formati Microsoft perché non standard, ma fanno tutti finta di non saperlo.
L’espansione globale tra entusiasmo e fallimenti
Nello stesso periodo, il governo brasiliano ha iniziato a promuovere l’open source nelle agenzie pubbliche, collegando la libertà del software allo sviluppo nazionale e all’autonomia. PetroBras, la compagnia petrolifera nazionale brasiliana, ha iniziato un progetto di migrazione molto ambizioso, che riguardava i 100.000 dipendenti dell’azienda, interamente gestito dalla comunità brasiliana di OpenOffice.
Com’era ovvio, questi primi progetti sono stati guardati con interesse ma anche con scetticismo da parte degli altri governi. Ci sono stati anche dei progetti fallimentari, come quello della città di Friburgo in Brisgovia, dove una sommossa del personale ha costretto l’amministrazione comunale a fare marcia indietro.
Ostacoli culturali e percezioni errate del modello open
Il modello proprietario, dominato da grandi fornitori come Microsoft e Oracle, era considerato più sicuro grazie al supporto dei fornitori e alla responsabilità rispetto al prodotto. Il software open source era spesso considerato inaffidabile o nel migliore dei casi amatoriale, nonostante il successo di alcuni progetti come Linux e Apache, e l’assenza di figure manageriali credibili non faceva altro che confermare questa percezione. Un problema che si è ridotto nel corso del tempo, ma che è ancora presente, soprattutto nei progetti basati sulle comunità.
Le motivazioni etiche e funzionali dell’open source
All’epoca, nessuno – a parte le aziende proprietarie, con progetti di fake news antesignane, come gli Halloween Papers diffusi da Microsoft a più riprese, o con progetti di ricerca basati su dati di parte e quindi credibili solo per quelli che hanno bisogno di una conferma delle proprie idee preconcette – contesta le motivazioni per l’adozione del software open source: risparmio sui costi, sovranità digitale, trasparenza e rispetto dell’etica, personalizzazione e innovazione.
Grazie all’accesso al codice sorgente, le amministrazioni pubbliche possono adattare le soluzioni alle loro esigenze, invece di dover adeguare i propri processi a quelli dei software proprietari. Gli ecosistemi aperti consentono inoltre alle agenzie di collaborare con gli sviluppatori locali, le università e le startup, promuovendo l’innovazione e la creazione di posti di lavoro.
La transizione da OpenOffice a LibreOffice e le sue conseguenze
Nel 2011 LibreOffice sostituisce OpenOffice nel momento della maggiore popolarità e diffusione di quest’ultimo, che purtroppo è coinciso con l’acquisizione di Sun da parte di Oracle, e ha costretto la comunità al fork. Questo avvenimento ha un impatto negativo su alcuni progetti di migrazione, perché c’è incertezza sul futuro del software, alimentata dalla nascita del progetto Apache OpenOffice con la complicità di Oracle e IBM, che vuol far fallire a ogni costo il progetto LibreOffice. Il dualismo non è ancora scomparso dopo 15 anni, nonostante la continua evoluzione di LibreOffice e l’abbandono di Apache OpenOffice nel 2014, quando IBM esce dal progetto dopo aver capito che la comunità del software open source ha scelto l’altro progetto.
Strategie silenziose e realismo nei progetti moderni
Fortunatamente, nel momento in cui i maggiori progetti di migrazione al software open source falliscono – Monaco di Baviera inizia la contro-migrazione a Windows nel 2015 – inizia un’evoluzione “silente” verso il software open source a livello di infrastruttura. Probabilmente, i responsabili ICT dei governi hanno capito che non conviene pubblicizzare troppo i progetti di migrazione, per evitare ritorsioni da parte dei politici, che hanno rapporti molto più frequenti con le aziende del software proprietario che con quelle del software open source.
Adozioni di successo a livello internazionale
Negli Stati Uniti, il Dipartimento della Difesa – il Pentagono – e la NASA hanno adottato il software open source in contesti mission-critical, citando sia l’efficacia in termini di costi che la maggiore sicurezza. In America Latina, l’Uruguay usa Linux nelle scuole pubbliche grazie al progetto Ceibal, e anche Cile, Argentina e Messico perseguono strategie open source.
In India, il governo ha lanciato la politica di adozione del software open source nel 2015, sollecitando l’uso in tutti i sistemi di e-governance. Corea del Sud, Indonesia e Malesia hanno favorito l’adozione dell’open source per sviluppare il panorama tecnologico locale. La piattaforma vTaiwan utilizza strumenti open source per consentire la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali.
L’agenzia delle entrate francese (DGFIP) utilizza le tecnologie open source per i servizi digitali da oltre dieci anni, e sia lo strumento Mieux Gérer Ma Fiscalité che le iniziative API aperte per i dati fiscali sfruttano backend e standard open source, per garantire l’interoperabilità e il controllo pubblico.
Il Government Digital Service (GDS) del Regno Unito ha sviluppato molte delle sue piattaforme su stack open source, tra cui il sito web GOV.UK (https://www.gov.uk/), che pubblica il codice in modo aperto su GitHub. Il GDS ha contribuito ad affermare lo sviluppo aperto come approccio predefinito nella fornitura dei servizi pubblici.
Ecosistemi europei e partecipazione pubblica open source
La piattaforma tedesca Open CoDE consente agli sviluppatori del settore pubblico di collaborare su servizi condivisi. Il Sovereign Tech Fund, lanciato nel 2022, finanzia progetti strategici di infrastrutture basati su software open source per migliorare la resilienza e ridurre la dipendenza dai fornitori stranieri.
L’Italia ha creato Developers Italia come hub centralizzato per la collaborazione basata sul software open source. Tra i progetti di punta figurano App IO, PagoPA e SPID, che utilizzano architetture aperte per garantire scalabilità e indipendenza.
L’Unione Europea ha creato un Open Source Observatory (OSOR) che raccoglie e condivide le buone pratiche e cerca di sostenere i progetti di migrazione e l’utilizzo degli standard aperti, con maggiore successo tra i lettori che tra i parlamentari. La Free Software Foundation Europe ha lanciato il progetto Public Money Public Code per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che il software sviluppato dai governi e pagato con i proventi delle tasse dovrebbe essere rilasciato con licenza open source, ma anche in questo caso il successo è stato maggiore tra i cittadini che tra i parlamentari.
Mancanza di visione strategica nell’adozione dell’open source
Quindi, nonostante la crescente adozione del software open source, soprattutto a livello di infrastruttura, c’è ancora molto da fare prima che l’adozione si trasformi in un disegno strategico. Fino a oggi, il software open source è stato adottato per pura convenienza, per ridurre i costi a livello di desktop o perché non c’era nessuna vera alternativa a livello di infrastruttura, ma il mondo politico rimane tutto a favore del software proprietario, con pochissime eccezioni.