Il data catalog rappresenta da anni uno degli strumenti fondamentali per organizzare e rendere accessibili le informazioni aziendali. Tuttavia, nelle sue versioni tradizionali mostra limiti strutturali che ne riducono l’efficacia: aggiornamenti manuali, interfacce complesse, ricerche poco intuitive e conseguente scarso utilizzo da parte degli utenti non tecnici.
L’evoluzione recente vede l’ingresso dell’intelligenza artificiale come leva per superare questi ostacoli e aprire nuove prospettive di data governance con l’AI. È quanto emerso nella presentazione di Beatrice Piras e Davide Fassio, AI & Data consultant di Cluster Reply, tenuta durante l’Artificial Intelligence Talk organizzato dal Politecnico di Milano.
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Dal catalogo statico alla ricerca intelligente
Secondo Piras, il problema principale del data catalog tradizionale è la sua staticità: «spesso diventa un contenitore troppo statico, viene aggiornato poco, e l’aggiornamento è manuale, lento ed è prono ad errori». Anche la fase di ricerca risulta complessa, perché richiede parametri tecnici difficili da gestire per un utente business. Questo porta a una riduzione dell’utilizzo, con ripercussioni negative sulla capacità dell’organizzazione di valorizzare i propri asset informativi.
L’introduzione dell’intelligenza artificiale cambia radicalmente l’approccio. Tecnologie come il Natural Language Processing consentono di interrogare i dati in modo più naturale, riducendo le barriere di accesso. La generative AI può generare automaticamente metadati a partire da tabelle e asset, arricchendo le informazioni disponibili. Il machine learning, invece, supporta classificazione e recupero dei dati, migliorando l’efficienza complessiva dei processi.
Funzionalità chiave di un data catalog intelligente
La trasformazione non riguarda solo il livello tecnologico, ma si traduce in funzionalità concrete. Piras ha individuato tre ambiti principali. La data discovery, basata sulla generazione e classificazione dei metadati, permette una mappatura più completa e dinamica degli asset. Il data lineage consente un monitoraggio automatizzato dell’intero percorso dei dati, dalla loro origine fino agli utilizzi successivi, garantendo trasparenza e controllo. Infine, la ricerca avanzata offre interfacce comprensibili anche agli utenti non tecnici, che possono esplorare il catalogo con query in linguaggio naturale.
A queste funzioni si aggiungono elementi come l’individuazione di anomalie e la possibilità di suggerire personalizzazioni del catalogo. In prospettiva, queste caratteristiche contribuiscono non solo a migliorare l’efficienza, ma anche a rafforzare la qualità del dato, elemento cruciale per qualsiasi progetto di intelligenza artificiale.
Impatti sugli utenti e sulla cultura aziendale
Le conseguenze di questo cambio di paradigma si riflettono su più livelli. Per l’utente business significa autonomia e velocità: non è più necessario conoscere la struttura tecnica dei dati per accedervi. Per i data steward si riducono le attività manuali e il rischio di errori, lasciando spazio a un controllo più strategico. Dal punto di vista aziendale, emerge una maggiore efficienza operativa e un rafforzamento della conformità normativa.
Secondo Piras, il vero cambiamento è culturale: democratizzare l’accesso al dato significa favorire una diffusione più ampia della cultura data-driven. «Dando un accesso così semplificato al dato, si democratizza il dato stesso e si va a creare una cultura più data driven nell’azienda».
Architettura e approccio multi-agente
Nella parte dedicata all’architettura, Fassio ha illustrato come la soluzione proposta si basi su un percorso in quattro step: un hub centrale raccoglie i metadati e le policy aziendali; un motore cognitivo interpreta le richieste degli utenti; un’interfaccia interattiva offre una visione aggiornata; infine un sistema di notifiche proattive segnala eventuali anomalie.
La vera innovazione risiede nell’approccio multi-agente. Un agente coordinatore riceve le richieste e le smista agli agenti specializzati, ognuno con un ruolo specifico. Questo consente di gestire processi complessi mantenendo coerenza e possibilità di suggerire azioni aggiuntive, come associare un termine aziendale a un asset. L’interazione avviene tramite interfacce conversazionali, pensate sia per utenti business sia per responsabili tecnici, con gradi diversi di operatività.
Il nodo della qualità del dato
Durante la sessione, il pubblico ha sollevato domande sulla qualità dei dati e sul ruolo propedeutico di questi strumenti rispetto a iniziative di intelligenza artificiale. Un partecipante ha osservato che senza dati di qualità, qualsiasi progetto rischia di fallire. Fassio ha confermato che il data catalog intelligente può rappresentare un primo passo importante: «strumenti di questo tipo sicuramente aiutano il cliente a renderlo un po’ più confidente».
Un altro intervento ha sottolineato il rischio di trascurare i dati originali, a favore dei soli metadati generati. Piras ha chiarito che «i dati originali grezzi rimangono e poi viene fatta la data quality su quelli». La generative AI, in questo contesto, viene utilizzata per creare descrizioni e arricchire gli asset, ma non sostituisce i dati di partenza. Questo aspetto evidenzia come la data governance con l’AI debba integrarsi con pratiche solide di gestione e validazione dei dati, senza dimenticare la base informativa reale.
Verso una governance più efficace
Dall’intervento emerge che l’uso dell’intelligenza artificiale non si limita a ottimizzare processi tecnici, ma incide sul modo in cui le organizzazioni percepiscono e utilizzano i propri dati. I data catalog intelligenti non solo abbattono le barriere di accesso, ma rafforzano sicurezza, trasparenza e conformità. Le esperienze raccontate mostrano come l’adozione di queste tecnologie possa rappresentare un passaggio essenziale per rendere più solida la governance e preparare il terreno a progetti di intelligenza artificiale sempre più complessi.










