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Welfare aziendale nell’era dell’IA: strategie per creare nuove sinergie



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L’intelligenza artificiale e l’economia della conoscenza stanno ridefinendo il welfare aziendale. Da beneficio accessorio a una strategia integrale per sviluppare talenti, innovazione e sostenibilità in un’era di profondi cambiamenti tecnologici

Pubblicato il 27 gen 2025

Giuseppe Torre

Responsabile scientifico dell’Osservatorio 4.Manager | Professore di Etica, AI e Management alla Pontificia Università Antonianum, Docente di Ecologia integrale, Partner di Moonstone Venture Capital



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Il welfare aziendale, nell’era della conoscenza e dell’intelligenza artificiale, sta subendo una profonda trasformazione, riflettendo un cambiamento iniziato decenni fa con l’avvento di un’economia basata sulla conoscenza piuttosto che sulla forza fisica o sul capitale tangibile.

Questo mutamento ha preso piede grazie a fenomeni come la globalizzazione, la digitalizzazione e la crisi climatica, che hanno accelerato la transizione verso un’economia incentrata su competenze cognitive (hard) e non cognitive (soft), trasformando profondamente i modelli produttivi, sociali e organizzativi.

IA e ruolo umano nel lavoro

Le sempre più numerose organizzazioni knowledge-intensive stanno ridisegnando i rapporti tra capitale umano e azienda, ponendo la conoscenza al centro delle strategie. In questo contesto, l’intelligenza artificiale e l’automazione avanzata amplificano le capacità intellettuali, ridefinendo il ruolo umano nel lavoro: le attività routinarie sono delegate alle macchine, mentre l’uomo si concentra su creatività, strategia e innovazione.

Sfide e necessità di upskilling

Tuttavia, questa transizione comporta sfide importanti, come l’obsolescenza delle competenze tradizionali e la necessità di costante upskilling e reskilling che riguardino sia le competenze cognitive (hard) sia quelle non cognitive (soft).

Il welfare aziendale, in questo panorama, non si limita più a rispondere alle esigenze dei lavoratori, ma diventa un pilastro strategico per attrarre talenti, stimolare l’innovazione e garantire un adattamento continuo ai cambiamenti tecnologici e di mercato.

La pandemia ha accentuato il legame tra benessere lavorativo e qualità della vita, portando le imprese a rivalutare il concetto di welfare in termini più complessi e dinamici, integrando aspetti di salute fisica, mentale ed equilibrio tra lavoro e vita personale.

Un cambiamento culturale e antropologico

La portata di questo cambiamento non è puramente tecnologica ma anche culturale e antropologica, coinvolgendo lavoratori, manager e politica. I lavoratori dovranno abbracciare un apprendimento non solo continuo, ma “Any Time, Any Where, Any Device, Any Content” mentre i manager dovranno ripensare le priorità organizzative, investendo nel capitale umano come fonte principale di vantaggio competitivo. Parallelamente, la politica è chiamata a favorire un sistema inclusivo e sostenibile, in cui la conoscenza diventa un motore condiviso di progresso.

Il welfare aziendale, per rispondere a queste esigenze, evolve in un approccio integrale, proattivo e sistemico, capace di generare benefici non solo all’interno dell’organizzazione, ma anche nella comunità circostante. Le imprese che adotteranno questo modello saranno meglio attrezzate per affrontare sfide come la crisi climatica e l’impatto dell’automazione, promuovendo un ecosistema in cui benessere e innovazione si alimentano reciprocamente.

Questo approccio non rappresenta solo una risposta alle esigenze immediate, ma un investimento strategico per costruire un futuro in cui l’uomo e l’intelligenza artificiale possano coesistere in modo produttivo e sostenibile, trasformando il welfare aziendale in un motore di cambiamento sociale ed economico.

Il welfare aziendale nell’era della conoscenza e dell’Intelligenza artificiale

Per quasi duecento anni, economia, società e geopolitica si sono basate sulla forza fisica, sull’energia di macchine alimentate da combustibili fossili e sulla capacità di imprenditori e manager di organizzare, gestire e far crescere risorse fisiche, capitali finanziari e tangibili come infrastrutture e materie prime. Tuttavia, da alcuni decenni, le competenze cognitive (hard) e non cognitive (soft) e, più in generale, la conoscenza, hanno progressivamente preso il posto della forza fisica, segnando una svolta epocale per l’economia, la società e, in definitiva, per l’umanità.

D’altra parte, in un sistema nel quale l’occupazione ad alta intensità di conoscenza e il peso dei settori legati all’informazione prevalgono, la scienza, la tecnologia e le competenze hard e soft diventano centrali e innescano un profondo ripensamento dell’intera organizzazione sociale, produttiva, educativa e del welfare.

Questo cambiamento, le cui radici risalgono al secondo dopoguerra, ha accelerato in modo esponenziale dopo la caduta del Muro di Berlino, grazie alla combinazione di tre macro fenomeni:

  • la globalizzazione, che ha esteso su scala planetaria le reti commerciali e digitali, favorendo non solo lo scambio di prodotti e servizi, ma anche di idee, conoscenze e competenze;
  • la digitalizzazione, che ha permesso la creazione, l’archiviazione e la distribuzione rapida e a basso costo delle informazioni, trasformando la conoscenza in una risorsa accessibile e replicabile;
  • la crisi socio-ambientale e climatica che rende sempre più urgente il cambio di paradigma dall’economia lineare, orientata all’efficienza, a un’economia circolare fondata su intelligenza, resilienza, adattabilità e rigenerazione.

La trasformazione guidata dall’IA e dall’automazione di terza generazione

Questi fenomeni evolutivi disegnano in modo sempre più evidente un’economia fondata su organizzazioni knowledge-intensive nelle quali la conoscenza prevale sulle abilità muscolari e il capitale intellettuale supera in valore quello materiale. Il passaggio da un’economia centrata sul capitale a una basata sulla conoscenza trasforma profondamente non solo le dinamiche sociali, economiche e produttive, ma anche i rapporti tra lavoratori e imprese, le strutture organizzative e il concetto stesso di lavoro e di benessere.

Nonostante la portata di queste trasformazioni sia ancora di difficile comprensione e quantificazione, già oggi assistiamo a una nuova e dirompente transizione: quella guidata dall’intelligenza artificiale e dall’automazione di terza generazione. Questi strumenti, amplificando il lavoro intellettuale e la capacità di elaborare idee e soluzioni complesse, delineano un ulteriore capitolo nella storia dell’evoluzione umana. In particolare, le tendenze che già intravediamo con chiarezza sono le seguenti:

  • Obsolescenza accelerata delle competenze tradizionali e crescente esigenza di upskilling, reskilling e apprendimento organizzativo;
  • Centralità delle competenze intellettuali integrali, ossia del mix tra competenze cognitive (hard) e non cognitive (soft);
  • Nuove forme di organizzazione del lavoro e diffusione di modelli organizzativi basati sulle competenze intellettuali integrali;
  • Diseguaglianze crescenti tra lavoratori ad alta competenza intellettuale e quelli meno qualificati.

A queste si aggiungono altre tendenze la cui portata ancora non ci è affatto chiara.

Gli impatti della diffusione di Agenti AI di terza generazione

La diffusione di Agenti AI di terza generazione che rispetto ai bot precedenti sono in grado di cogliere il contesto, interpretare l’intento dell’operatore, applicare il ragionamento per prendere decisioni complesse e adattarsi a nuove attività per le quali non sono stati progettati, andrà a ridisegnare:

  • I rapporti tra intelligenza umana e macchine: l’intelligenza artificiale e l’automazione di terza generazione potrebbero modificare radicalmente la natura delle mansioni lavorative; le attività routinarie, manuali e cognitive standard, potrebbero essere affidate alle macchine, mentre l’uomo potrebbe concentrarsi su attività cognitive evolute (es. creative, strategiche, ecc.) o dedicarsi stabilmente alla ricerca e all’innovazione.
  • Il contratto sociale: in un’economia basata sulla compresenza di intelligenza umana e Intelligenza artificiale, l’investimento sulle persone diventa una necessità non solo economica e sociale, ma addirittura antropologica.

È molto probabile che a breve le imprese non potranno limitarsi a sfruttare le competenze esistenti, ma dovranno investire nella loro crescita attraverso la formazione continua, programmi di welfare personalizzati e un approccio organizzativo orientato al benessere.

Il ruolo della pandemia e le nuove strategie

La portata rivoluzionaria di questi fenomeni si aggiunge a quelli già in atto e in larga misura innescati dalla pandemia. Nel 2023 quasi il 56% dei manager iscritti a Federmanager[1] era alle prese con la definizione di nuove strategie di welfare aziendale appositamente concepite per elevare il benessere dei lavoratori la cui finalità non era solo quella puramente tayloristica di innalzare la produttività e l’efficienza aziendale, ma è soprattutto quella di attrarre e mantenere talenti/nuove competenze, stimolare la propensione all’innovazione e la qualità del prodotto/servizio e favorire l’adattamento ai mutamenti tecnologici e di mercato di tutta l’organizzazione aziendale.

È chiaro che siamo solo all’inizio di un percorso e che modificare il welfare aziendale per elevare il benessere organizzativo nell’era dell’intelligenza artificiale è tutt’altro che semplice; ciò è vero per diversi motivi. Innanzitutto, il concetto di benessere aziendale, nel corso degli ultimi decenni, ha amplificato notevolmente il suo carattere multiforme, complesso e dinamico; il benessere lavorativo tende a travalicare sempre più il luogo fisico di lavoro e si estende al più ampio concetto di qualità di vita e di equilibrio tra tempo di lavoro, famiglia, tempo “libero”, ecc. Infine, la pandemia ha creato un legame molto stretto tra il benessere lavorativo e benessere individuale (salute fisica e mentale).

Trasformazione culturale e organizzativa

Il passaggio a un’economia aziendale basata su questi paradigmi non è assimilabile a una semplice transizione tecnologica, è un cambiamento culturale e antropologico che investe: i lavoratori, che dovranno abbracciare un percorso di apprendimento continuo e adattarsi a ruoli sempre più dinamici e orientati all’innovazione; manager e imprenditori, che dovranno ridefinire le priorità organizzative, investendo nel capitale umano come principale fonte di vantaggio competitivo; la politica, alla quale si richiede un rinnovato impegno verso la creazione di un sistema inclusivo e sostenibile, in cui la conoscenza sia una risorsa condivisa e un motore di progresso per tutti.

Welfare aziendale come strumento strategico

In questo contesto di trasformazione, il welfare aziendale emerge come uno strumento strategico per mitigare gli effetti negativi della transizione e, al contempo, per valorizzare le opportunità offerte dalla conoscenza. Il welfare non è più una semplice risposta reattiva alle esigenze del lavoratore, ma è una componente proattiva delle strategie aziendali, diventa il mezzo per creare un ecosistema favorevole al benessere lavorativo che non è semplicemente incoraggiato, ma sistematicamente sostenuto.

Il futuro del welfare aziendale

È probabile che le imprese che riconosceranno questa dinamica investiranno in un welfare aziendale “integrale” che produce effetti anche all’esterno delle mura aziendali, andando a produrre benefici anche per la comunità che accoglie quella organizzazione anche per affrontare le tensioni sociali che inevitabilmente emergeranno in un ambiente sociale che dovrà affrontare sfide multiple, dalla crisi climatica alla sempre più pervasiva presenza di “macchine” che emulano l’intelligenza umana.

Note


[1] Studio quali-quantitativo realizzato dal centro studi DataHubs per Federmanager su un campione rappresentativo di 2.935 manager in attività iscritti a Federmanager. La rilevazione è stata effettuata tramite la compilazione online di un questionario strutturato, somministrato a gennaio 2023

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