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Cyberbullismo, educare al coraggio per battere “il partito dei bystanders”: come fare

I bystander, gli spettatori, sono tutti quelli che, a conoscenza di uno o più episodi di bullismo o cyberbullismo verso uno o più soggetti, rimangono in silenzio, diventando inevitabilmente complici dell’atto vessatorio. Cambiare le cose è compito degli adulti: ecco come

Pubblicato il 08 Set 2020

Alessio Breccia

Consulente Privacy/Dpo

Photo by Timothy Eberly on Unsplash

Quando si tratta l’argomento bullismo/cyberbullismo non ci si può soffermare solo sulla sacrosanta tutela della vittima e sull’altrettanto sacrosanta punizione/redenzione del carnefice. Non basta. E’ necessario porsi un terzo obiettivo che si affianca a questi due: la scossa agli indifferenti, i cosiddetti “bystander”.

Anzi, ritengo fondamentale analizzare proprio i soggetti che, di fronte all’accadimento di un episodio prevaricatore di cui sono testimoni o ne vengono a conoscenza, scelgono di non intervenire.

Chi sono i bystander?

“Il mondo è un posto pericoloso, non a causa di quelli che compiono azioni malvagie, ma per quelli che osservano senza far nulla”, diceva Albert Einstein.

Ognuno di noi si muove all’interno del proprio contesto sociale giocando in più ruoli, anche durante la stessa giornata: come cittadino, come genitore o figlio, come lavoratore o titolare, come amico o avversario e tantissimi altri. Ciò che contraddistingue ogni ruolo è la scelta: si può essere parte attiva e protagonisti oppure scegliere di rimanere passivi e spettatori, rimandando o addirittura delegando al tempo o a qualcun altro le nostre azioni.

Ma chi sono questi spettatori indifferenti che identifichiamo con il nome di bystanders?

Sono tutti quelli che, a conoscenza di uno o più episodi di bullismo o cyberbullismo verso uno o più soggetti, rimangono in silenzio, diventando inevitabilmente complici dell’atto vessatorio.

Per fornire una descrizione generica che proprio perché tale non può fornire una fotografia esaustiva del fenomeno in tutti i suoi peculiari aspetti e variegate sfumature, ho individuato a titolo esemplificativo 5 macrocategorie di bystanders:

  • L’interessato: è il soggetto che venuto a conoscenza di un episodio vessatorio nei confronti di un suo conoscente, non ne prende le difese perché teme di diventare a sua volta vittima del o dei bulli. Molto spesso tende ad allontanarsi dalla vittima per paura del “contagio” dell’essere suo amico e quindi diventare oggetto dello scherno oppure continua ad esserne amico, ma nelle occasioni in cui è necessario che prenda posizione non si schiera mai con la vittima. Questo comportamento, alla lunga, genera nella vittima un senso di smarrimento e solitudine amplificato da una generale sfiducia nel mondo che lo circonda, in particolare verso quella parte di mondo che dovrebbe proteggerlo, acuendone paure e fragilità.
  • Lo spettatore disinteressato: in questo caso la vittima è sconosciuta al bystander, il quale (specie nei social o nel web) lo deride a sua volta, condividendo altri elementi che alimentano il comportamento diffamatorio e prevaricatore nei confronti della vittima (ad esempio condivisione sui social di un’angheria, di una diffamazione, di fake news). E’ il tipico caso del soggetto che si dirige dove si muove il gregge e andare controcorrente scaturirebbe un effetto boomerang sulla sua persona. Oppure, peggio ancora, condividere e contribuire alla presa in giro fa sentire il bystander “inserito nel contesto sociale”. Questo è il tipico comportamento di chi crede che stare con la moltitudine sia sinonimo di compagnia, quando invece è solo una massificazione della propria personalità che sfocia nell’essere come tutti e quindi essere uno dei tanti senza distinguersi. Da un lato questo non gli fa percepire il grado di sofferenza della vittima (acuito dal fatto che neanche la conosce), ma dall’altro non gli assicura alcuna sicurezza: come è accaduto ad uno sconosciuto, potrebbe toccare a lui.
  • L’informatore: è colui il quale non denigra nessuno direttamente, ma è fortemente complice in quanto fornisce ai bulli degli elementi o delle informazioni utili a produrre l’offesa. Quest’ ultime vengono rese per essere accettati dai bulli, quasi fosse una prova di iniziazione (vigliaccheria passiva) oppure perché è lui stesso che vorrebbe bullizzare, ma non ne ha il coraggio per paura delle conseguenze (vigliaccheria attiva).
  • L’omertoso: il classico soggetto che ha paura che prendere le difese del debole scaturisca automaticamente un atto violento nei suoi confronti. A differenza dell’interessato, non viene a conoscenza di episodi continui, ma di un episodio singolo o più episodi riferiti a diversi soggetti. E’ il caso di chi è a conoscenza di un branco di bulli che colpisce indiscriminatamente chiunque.
  • Il sopravvissuto: colui il quale in un passato, più o meno recente, ha subito situazioni analoghe a quelle che stanno affliggendo la vittima e, per evitare di rivivere una cronologia retroattiva di esperienze negative, sceglie di non proteggerla.
  • Il minimizzatore: è il soggetto che per una capacità valutativa immatura o per semplice convenienza considera le prepotenze inflitte alla vittima cose di poco conto, giustificando i comportamenti dei bulli o addirittura additando il malcapitato come permaloso e lui stesso causa di ciò che subisce. Questa figura contribuisce in maniera significativa ad un ulteriore screditamento sociale della vittima, candidandosi egli stesso a divenire a sua volta un bullo, non percependo, volontariamente o meno, la gravità della situazione vissuta dalla persona offesa.

Il coraggio della scelta giusta

Evidentemente tale classificazione non completa tutte le sfumature che a volte si mescolano tra loro e che riguardano i comportamenti dei bystanders, ma ci permette di individuare un minimo comun denominatore tra questi: la mancanza del coraggio della scelta giusta.

E’ proprio su quest’ultimo aspetto che tutti noi, a prescindere dai nostri ruoli quotidiani dobbiamo lavorare. Con impegno fattivo.

Se è vero che, come scriveva magnificamente il Manzoni descrivendo il pavido Don Abbondio, il coraggio se uno non l’ha, non glielo si può dare, è altrettanto innegabile che stiamo parlando di giovani, ancora “salvabili e convertibili” e non di soggetti prigionieri delle abitudini e paure incancrenite nell’intercedere degli anni.

Ma sta a noi adulti spronare, educare e infondere coraggio ai giovani. Provando nella vita di tutti i giorni a trasmettergli il valore dell’indignazione e della ribellione a tutto ciò che è violenza e sopruso. Ad ascoltarli e proteggerli, non in un mondo fatato e virtuale, ma dando l’esempio nelle case, nelle scuole, nelle associazioni, nelle chiese, con il rispetto del più debole e la denuncia del vile prepotente.

Se anche noi grandi ci giriamo dall’altra parte e ci facciamo “i fatti nostri”, come possiamo pretendere che dei giovani, fragili e spaventati per natura, si comportino diversamente?

E’ l’ ora del senso comune collettivo, non dell’eroe isolato che denuncia, si ribella e poi viene lasciato solo.

Immaginiamo per un istante come cambierebbero le cose se tutti questi spettatori inermi di fronte ad episodi di bullismo, si schierassero dalla parte giusta, cioè quella del debole. Se fosse la maggioranza che fa da scudo. Se questo potenziale esercito di difensori si schierasse a protezione della vittima.

Bullismo, nessuno è “immune”

Forse non basterebbe ad estirpare una piaga che esiste e esisterà sempre, ma sono fortemente convinto che la ridurrebbe sensibilmente.

Non basta commuoversi perché un ragazzo si lancia contro un treno perché deriso per la sua omosessualità, non basta piangere per una ragazzina che decide di “volare” perché vessata per il suo aspetto fisico.

Serve impegno concreto per far capire che questa disgrazia può capitare a tutti, bystanders compresi. Poiché il vento della derisione può cambiare repentinamente direzione e colpire chiunque.

Serve impegno per far capire che il branco attacca, ma il gruppo invece protegge ed essere un bystander, spettatore silenzioso, alimenta il primo ed azzera il secondo. E loro, proprio i bystanders, possono spostare quest’ asse in un senso o nell’altro.

Educare al coraggio per cambiare le cose

Educhiamo al coraggio perché quel mondo descritto da Einstein sia effettivamente privo di pericolo. E per educare al coraggio serve una politica armonica e convergente tra tutte le componenti sociali: organizzare sempre più incontri nelle scuole aperti anche ai genitori ( basti pensare che da un’indagine condotta da Telefono Azzurro emerge che il 30% dei genitori intervistati ammette di essere impreparato davanti all’uso dei social media dei ragazzi, con la conseguenza che non sono in grado di accorgersi e quindi prevenire forme di cyberbullismo); organizzare incontri nelle associazioni sportive e mostrarsi rigidi nei confronti di genitori e tesserati che non si comportano secondo dei codici etici e sportivi di cui le società dovrebbero dotarsi; creare dei meccanismi premianti nei confronti di quei giovani o di quelle famiglie che aiutano a denunciare episodi …..Provocatoriamente mi sentirei di aggiungere una voce nelle pagelle scolastiche con cui si giudica oltre che la capacità relazionale , intellettiva e comportamentale degli studenti, anche il loro coraggio. Una sorta di medaglia d’oro al valor civile che apparentemente può non aver alcuna importanza, ma che invece credo abbia un peso specifico sia nella gratificazione del ragazzo/a che nella sua carriera scolastica e lavorativa. Oppure istituire una giornata premio a quella classe che si è particolarmente distinta per una propria coesione e armonia interna.

Insomma intervenire per punire o redimere è doveroso, ma a mio personalissimo giudizio, gratificare chi merita serve altrettanto, se non di più.

In conclusione, dobbiamo innanzitutto noi adulti credere di più nella parola coraggio e forse riusciremo ad avere generazioni successive migliori di quelle che le precedono.

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