approfondimento

Cyberstalking, perché si odia online: dinamiche e ruolo delle piattaforme



Indirizzo copiato

Una riflessione sulle dinamiche tra logiche delle piattaforme e i circuiti planetari dell’odio, evidenziando alcune significative conseguenze a livello individuale e sociale. In particolare, l’attenzione verrà focalizzata sulla problematica interazione tra esigenze di protezione dei soggetti vulnerabili e le possibilità di attacchi e azioni persecutorie, favorite dalla logica delle piattaforme a livello planetario

Pubblicato il 10 nov 2025

Iva Marino

PhD in Health Promotion and Cognitive Sciences

Francesca Rizzuto

professoressa associata nel Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo



degrado digitale; cyberstalking

La rilevanza dei media nelle pratiche di costruzione di senso attivate individualmente e collettivamente è da decenni uno dei temi centrali delle scienze della comunicazione, che ne hanno proposto letture e analisi differenti, pur riconoscendone la sempre maggiore significatività, soprattutto nell’ambito delle dinamiche contemporanee di circolazione planetaria di messaggi.

Nella società delle piattaforme (Van Dijck, Poell, de Waal, 2018), le tecnologie della comunicazione rendono possibile la creazione di un sovraccarico simbolico inedito, che si diffonde nell’agorà digitale grazie ai social media, diventati un serbatoio vasto e articolato di risorse cognitive e ambiti di relazioni rilevanti per i singoli.

Social e odio online, le dinamiche

Con l’esperienza quotidiana della pluralizzazione dei mondi e del transito generalizzato in ambienti reali e virtuali (Sorice, 2020; Cappello-Rizzuto 2024), i contenuti mediali forniscono frame, delimitano orizzonti di significati condivisi da alcuni soggetti che, chiusi in circuiti caratterizzati dalla tendenza all’omofilia e all’eliminazione della dissonanza, incoraggiano l’esplicitazione di pregiudizi e contribuiscono a confermare stereotipi, usati dagli utenti nel processo di comprensione della realtà.

In altri termini, le dinamiche virali, tipiche della circolazione dei messaggi nei social, rispondono al forte bisogno dei singoli di una conoscenza condivisa, arrivando a orientarne l’azione e l’interpretazione della realtà politica e sociale sulla base di tipizzazioni (Nielsen-Ganter, 2022).

Nelle righe seguenti viene proposta una riflessione sulle dinamiche in atto tra le logiche delle piattaforme e i circuiti planetari dell’odio, sentimento che non si qualifica come effetto collaterale ma come un vero e proprio prodotto sistemico delle architetture di potere algoritmico, che sono oggi in grado di produrre significative conseguenze a livello sociale, politico e individuale.

In particolare, l’attenzione viene focalizzata sulla problematica interazione tra le possibilità concrete di produrre e diffondere attacchi verbali o discorsi di odio e le esigenze di protezione dei soggetti, soprattutto i più vulnerabili: la violenza psicologica subdola e pervasiva, che può essere potenzialmente veicolata da qualsiasi utente attraverso le tecnologie digitali, altera non solo i tradizionali circuiti comunicativi delle democrazie rappresentative, in direzione di una sempre più marcata tendenza alla polarizzazione ma, a livello individuale, condiziona negativamente la percezione della realtà della vittima-bersaglio di attacchi personali, compromettendone profondamente il senso di sicurezza e le relazioni sociali.

Disinformazione e polarizzazione

Nell’ecosistema mediale ibrido, uno dei rischi più significativi è quello  di accettazione acritica da parte degli individui di una rappresentazione della realtà basata su distorsioni ideologiche e pratiche di disinformazione che polarizzano il dibattito pubblico: pertanto, è utile riflettere sulle dinamiche della relazione causale tra i contenuti veicolati nelle piattaforme e lo sdoganamento di comportamenti violenti o incivili, non solo nella sfera pubblica ma anche nelle interazioni private che.

Molti studi hanno evidenziato il processo di affermazione di varie forme di violenza verbale in differenti contesti nazionali: già nel 2021, Bentivegna e Boccia Artieri, rilevavano che “le pratiche comunicative abilitate dalle piattaforme online, congiuntamente ad una contrapposizione militante e diffusa nei confronti delle élite, rappresentano il carburante che alimenta la diffusione dei discorsi aggressivi da parte dei cittadini” (Bentivegna, Boccia Artieri, 2021, 13).

In un contesto sociale che convive con le dimensioni dell’incertezza e dell’insicurezza, tragicamente acuite dai numerosi conflitti in corso e dallo scardinamento degli equilibri geopolitici del Novecento, l’agorà digitale contemporanea è oggi pervasa dalla proliferazione delle minacce on line e dell’hate speech in un cortocircuito comunicativo, in grado di diffondere e moltiplicare esponenzialmente contenuti fortemente negativi e divisivi, che contribuiscono a minare sempre di più la relazione di fiducia tra cittadini ed istituzioni, anche perché le piattaforme permettono la disintermediazione dei flussi informativi, che agevola pratiche di diffusione di notizie parzialmente o totalmente false in grado di attivare dinamiche di opinione prevalentemente emotive (Corner, 2017).

Come le piattaforme modificano il dibattito pubblico

In altri termini, in una prospettiva meramente deterministica, le peculiarità odierne delle piattaforme sembrano favorire le “profonde trasformazioni del dibattito pubblico, divenuto sempre più spesso occasione di scontro e posizionamento piuttosto che confronto e discussione” (Bentivegna- Boccia Artieri, op.cit., 7): tuttavia, come premessa indispensabile, ci sembra opportuno evitare l’errore di adottare un approccio interpretativo caratterizzato da un banalizzante riduzionismo comunicativo (Barisione 2020), che deresponsabilizza sia gli attori politici che le imprese mediali e spinge a considerare lo sviluppo planetario dei social media come l’unica causa della crisi profonda dei sistemi democratici occidentali, mentre è evidente che vi sono numerosi fattori extra-mediali nella scena globale.

Nelle democrazie occidentali fenomeni come l’aumento dell’astensionismo o l’ascesa di varie forme di populismo devono essere letti e spiegati anche in relazione a tensioni sociali e politiche risalenti ad alcuni decenni fa, vale a dire a contesti comunicativi pre-social; indubbiamente, però, nell’era digitale ci sono elementi inediti rispetto al passato, che hanno modificato i palcoscenici comunicativi e le interazioni sociali (Chadwick, 2013), frammentando i flussi informativi e moltiplicando gli attori in grado di produrre e diffondere news.

Agendo accanto al prevalere di logiche di mercato, tutti questi fattori hanno rafforzato le tendenze alla rappresentazione polarizzata della realtà, anche quella politica, e accelerato le pratiche narrative fondate sull’uso della componente emotiva come lente per “raccontare” la realtà e selezionarne eventi e attori da raccontare (Papacharissi, 2015). La peculiarità più preoccupante dell’ecosistema digitale contemporaneo è quella di diventare troppo spesso una potente “fabbrica dell’odio”, in grado di produrre potenti effetti di realtà (McIntyre, 2018) attraverso pratiche di condivisione di notizie divisive, caratterizzate dal ricorso a scelte lessicali improntate all’odio e alla violenza verbale.

L’esito più preoccupante è la trasformazione tossica del dibattito democratico, realizzata attraverso un continuo appello alla sfera emotiva dei singoli, al fine di suscitare rabbia e odio da canalizzare in precise strategie politiche. Distaccandosi dalla razionalità e dalle pratiche argomentative fondate sul dialogo, si è diffusa una cultura dell’odio che, grazie ai processi di viralizzazione, può annientare individui, leader, perfino intere popolazioni, scardinando le basi stesse del diritto alla protezione della privacy, tradizionalmente riconosciuto come fondamentale in tutti gli ordinamenti democratici (Rizzuto, Sciarrino 2021).

L’impatto della dimensione emotiva

Come già evidenziato da numerosi autori Balzerani (2019), la dimensione emotiva influenza profondamente il vivere sociale in quanto le emozioni sono leve basilari del comportamento individuale e di gruppo, che influenzano sfere apparentemente lontane tra loro come la politica, l’informazione, le relazioni tra etnie o religioni: il problema contemporaneo è che le emozioni, nel contesto digitale, sono usate come strumenti di costruzione dei messaggi a livello politico o per attrarre destinatari delle news, perché in grado di intercettare e rafforzare facilmente audience e consensi, indispensabili nella logica commerciale dominante nel mondo mediale e nel contesto della politica-spettacolo.

La centralità della logica emozionale è rinvenibile anche nell’informazione che, da almeno tre decenni, ha privilegiato la prospettiva spettacolare in un contesto rivoluzionato sul piano tecnologico e stravolto su quello economico dall’affermazione di nuovi attori che producono e diffondono news: con l’emotainment (Santos 2009), già prima dell’avvento dei social, la narrazione giornalistica della realtà si era focalizzata sulla capacità di emozionare i riceventi per catturarne l’attenzione, attraverso il ricorso a criteri di notiziabilità attenti alla componente drammatica e conflittuale degli eventi.

Tuttavia, la teatralizzazione della realtà narrata è diventata il tratto peculiare delle pratiche informative contemporanee, che hanno trovato, nel contesto delle piattaforme, nuova linfa capace di alimentare e rafforzare i processi di patemizzazione e vetrinizzazione del sociale, dando vita a  racconti-resoconti verosimili, opachi, banalizzanti in cui la verità oggettiva dei fatti diventa, coerentemente con la logica della post-verità (Joux, 2023; Cappello-Rizzuto 2024), sempre meno rilevante rispetto alla capacità di suscitare emozioni forti (Marinov 2019).

Sul versante politico, l’appello alle emozioni a cui i leader hanno sempre fatto ricorso, pur con declinazioni differenti, è oggi la leva comunicativa più usata in contesti politici anche molto  lontani, con l’obiettivo di suscitare consensi presso i cittadini-elettori sia durante le fasi elettorali che nel corso delle attività routinarie di governo. Se nella società contemporanea ogni luogo è diventato palcoscenico, grazie ai social e alla pervasività degli schermi, la dimensione dell’intrattenimento è ormai componente fondamentale della cultura dell’esposizione, ma questo continuo appello alle emozioni presenta alcuni rischi.

Infatti, un circuito comunicativo prevalentemente emozionale permette di attrarre, più facilmente e senza intermediazioni, attenzione e consensi nella sfera pubblica piattaformizzata (Sorice, 2023), ma preferire far leva sulla componente emotiva, a scapito di modalità informativo-cognitive che permettono di comprendere temio priorità, rende alcuni attori istituzionali e professionisti dell’informazione corresponsabili non solo nei processi di diffusione dell’odio e della violenza verbale ma anche della normalizzazione di tali pratiche discorsive divisive nelle interazioni quotidiane.

Quando l’odio è facile da comunicare

La pervasività di modalità comunicative conflittuali e dell’hate speech può essere letta, in tale prospettiva, come l’esito planetario più disastroso di un’attività cumulativa e pianificata di “nutrimento dell’odio nei riguardi dei Nemici”, realizzata e propagandata soprattutto attraverso narrazioni diffuse nei social. Nel mondo digitale le storie proposte nella rete, fatte circolare anche dai media mainstream, offrono sempre più spesso visioni del mondo e modelli di odio facili da comunicare, che attivano un pericoloso contagio emotivo e forniscono ai leader una piattaforma semplificante e facilmente accessibile per dialogare “direttamente” con gli individui.

L’inciviltà contemporanea del dibattito pubblico (Boccia, Bentivegna 2021), dagli interventi di Trump o di Putin fino ai dibattiti sull’antisemitismo, conferma che l’ecosistema mediale ibrido svolge senza dubbio un ruolo chiave per la diffusione di contenuti violenti e di odio, perché nelle piattaforme prevalgono pratiche comunicative caratterizzate da brevità, sinteticità, linguaggio aggressivo e volgare, che ricorrono ad una logica rigidamente binaria (noi/loro): facendo leva sul senso di appartenenza le fonti di messaggi di odio sono favorite dalla possibilità concreta di sfuggire a eventuali fonti di dissonanza cognitive garantita dalle relazioni nelle echo chambers o nei gruppi on line (Riva, 2018) e dall’inconsistenza di sanzioni normative efficaci che caratterizza i sistemi legislativi di molti paesi.

Una delle conseguenze più significative è una problematica ed evidente alterazione della dinamica della discussione pubblica, nella quale viene data forza ad alcuni o, al contrario, si attivano meccanismi di spirale del silenzio per altri individui o gruppi: attraverso i media si può monitorare il contesto e si favorisce una crescente tensione tra posizioni maggioritarie o minoritarie (o ritenute tali), che spingono all’ostilità verso l’altro, erodendo il valore del confronto aperto tra posizioni differenti, con enormi ricadute sul comportamento elettorale e sulla fiducia dei singoli nei confronti della politica.

Il rischio maggiore è che “possa prevalere una cultura del disprezzo capace di aumentare l’odio verso Altri-Nemici” (Balzerani, 2019) e favorire quel processo di escalation emotiva dalla rabbia al disgusto, che nella storia recente dell’Europa, ha portato a catastrofi immani. Ecco perché la diffusione odierna delle varie forme di inciviltà deve preoccuparci come studiosi e come cittadini: non solo l’uso di linguaggi aggressivi e offensivi da parte dei leader, ma anche la normalizzazione di vere e proprie strategie retoriche dell’insulto, usato come arma politica per screditare l’avversario, possono inesorabilmente condurre all’accettazione di un clima generale di intimidazione verso chi dissente, in cui l’Altro viene descritto con il linguaggio dell’odio, ricorrendo a scelte lessicali deformanti, stili espositivi ipersemplificati e narrazioni distorte.

La logica delle piattaforme e gli effetti psicologici individuali

Viviamo un’epoca a conduzione narcisistica, caratterizzata da fluidità, contraddizioni, evidente è una tensione interiore tra un estremo bisogno dell’altro e la realizzazione di un implacabile individualismo. In questo scenario è diffusa una cornice di incertezza e frammentazione, connessa ad un “relativismo valoriale” che sembra aver generato un sempre più frequente ripiegamento narcisistico sul sé. Il mondo moderno, nel quale i bisogni individuali sono considerati di primaria importanza, incoraggia le persone a concentrarsi su di sé, inducendo a un torpore che talvolta genera carnefici e mostruosità.

La nostra società, come la nostra vita, spinta da due forze specifiche (Eros, Dio greco dell’amore che rappresenta l’istinto di vita o la pulsione di conservazione, l’energia, la connessione, Thanatos, Dio greco della morte che rappresenta la pulsione di distruzione), è fortemente Thanatos e poco Eros, rivolta così alla violenza e all’autodistruzione; si avverte, inoltre, una ridotta sensibilità, un impoverimento culturale, che induce precarietà come condizione esistenziale e psicologica. In questo quadro alquanto controverso, in cui i social media hanno trasformato le modalità di comunicazione e creato nuove forme di interazione sociale, la velocità di diffusione dei contenuti, imponendo la logica dell’engagement algoritmico che, grazie all’anonimato, crea un ambiente fertile per la diffusione non solo dell’odio verso gruppi o etnie, ma anche delle molestie rivolte a bersagli specifici.

Nel tessuto sociale contemporaneo, la soggettività di ciascuno di noi, ciò che Wallace (2001) definisce “persona on line”, vive immersa in un continuum di esperienze digitali e reali, che influenzano ogni aspetto dell’identità individuale, come la percezione del Sé, la relazione fra il Sé digitale e il Sé reale, l’affettività così come la sessualità e la socialità, fino ai casi patologicamente rilevanti di vera e propria dipendenza dalle tecnologie o di abusi su altri individui. Del resto, l’ambiente digitale è tutt’altro che neutrale: la sua architettura, orientata a incentivare l’interazione costante, muove, spesso, contro il benessere individuale e contro la coesione sociale: tra le espressioni più gravi e meno visibili vi è lo stalking virtuale, una forma cieca e crudele di violenza psicologica, che colpisce donne, minoranze ed anche figure pubbliche.

Il ruolo della violenza

All’interno dei social, la violenza è un diventata modello di comportamento in una società “archetipica dell’aggressività”, nella quale si avverte una frequente scissione fra il “pensare ed il fare”, una mancata risonanza emotiva che diviene veicolo di odio. Nel contesto delle piattaforme due fattori favoriscono la circolazione di odio e violenza: la presenza delle echo chambers, spazi informativi chiusi in cui le opinioni si rafforzano per effetto della omogeneità cognitiva (Sunstein, 2001) e l’uso delle tecnologie per monitorare, intimidire o controllare un individuo. Sebbene apparentemente distinti, entrambi i fenomeni condividono una base comune: l’infrastruttura algoritmica e relazionale delle piattaforme digitali.

In queste pagine viene proposta una riflessione critica ed interdisciplinare sull’interazione fra le logiche algoritmiche delle piattaforme e la proliferazione dell’odio on line, con particolare attenzione al cyberstalking, analizzandone le conseguenze più significative a livello individuale, evidenziando un modello del trauma, i rischi per la salute mentale, tra esigenze di protezione dei soggetti vulnerabili e le possibilità di attacchi ed azioni persecutorie favorite dai media digitali, mettendo in luce implicanze sociologiche, psicologiche.

Come funzionano le echo chambers

Nelle echo chambers gli utenti sono esposti solo a opinioni compatibili alle proprie: viene, quindi, evidenziata una visione univoca su un argomento, in cui le informazioni, le idee o convinzioni dei singoli vengono rafforzate dalla ripetizione all’interno di un sistema definito (Sunstein, 2001) e le   visioni diverse o concorrenti sono censurate o non accolte: ciò determina la creazione di bias cognitivi e la diffusione di tecniche di proliferazione e di marketing, in quanto, una volta che si acquisiscono le informazioni relative ad un utente, ad esempio di ciò che lui sceglie o preferisce, è semplice inviare messaggi persuasivi e cancellare altri interessi. Da quel momento, gli algoritmi dei social network tenderanno a mostrare messaggi, commenti e notizie verso i quali, in precedenza, un individuo ha già mostrato interesse.

Il meccanismo delle camere d’eco alimenta una progressiva radicalizzazione ideologica, in cui l’odio non è più percepito come una semplice deviazione, ma come parte integrante dall’identità collettiva di un gruppo. In questo contesto, il discorso d’odio si trasforma in un contenuto altamente performante, poiché amplificato autonomamente dalle dinamiche algoritmiche che privilegiano l’engagement. Un ambiente digitale così strutturato favorisce la formazione di comunità virtuali “chiuse, polarizzate”, dove questo sentimento non rappresenta un effetto collaterale, ma un prodotto sistemico delle architetture del potere algoritmico.

Le camere d’eco implementano la progressiva normalizzazione di linguaggi aggressivi, dove “l’odio”, per sua natura emozione forte e potente, diviene uno dei prodotti più redditizi. La selezione algoritmica e la tendenza all’omofilia sociale rendono queste camere dell’eco un fenomeno strutturale, che riduce l’apertura al dissenso, inibisce la riflessione critica e accentua la polarizzazione affettiva: in molti casi l’ostilità verso chi ha opinioni diverse non nasce solo da divergenze ideologiche ma da reazioni emotive di repulsione e l’esposizione ripetuta non solo rafforza convinzioni rigide ma indebolisce progressivamente la tolleranza sociale.

La permanenza in echo chambers può generare, quindi, rigidità cognitiva, intolleranza all’ambiguità, una sovraesposizione emotiva ai contenuti confermativi: in generale, le camere dell’eco riducono la complessità del pensiero e generano meccanismi di gruppo che rinforzano l’ansia identitaria ed il bisogno di appartenenza. La logica delle piattaforme digitali non è mai neutra: come già evidenziato, i social media operando all’interno di una “economia dell’attenzione”, in cui ogni interazione digitale viene trasformata in valore economico, diffondono anche i contenuti d’odio, purché non violino formalmente le policy, proprio perché possono essere economicamente vantaggiosi (Citron, 2014): la conseguenza più problematica è una evidente lentezza strutturale delle piattaforme nel rimuovere contenuti violenti o discriminatori, specialmente quando questi generano traffico, vale a dire quando il perseguimento del profitto prevale sulla responsabilità etica (Bush, 2023).

Algoritmi ed engagement

Non manifestando alcun interesse per un problema comportamentale, ma supportando esclusivamente “una visione” di scelte tecnologiche e di “dinamiche” di engagement (Gillespie, 2018) che governano gli algoritmi di raccomandazione, i social si basano, del resto, su un modello di business caratterizzato dalla difficoltà di applicare una moderazione efficace, soprattutto quando questa si scontra con ostacoli tecnici, linguistici, culturali: in altri termini, le intelligenze artificiali, nel filtrare i contenuti, sono spesso incapaci di comprendere il contesto o l’uso strategico di codici linguistici criptici e, a causa di questo, concorrono alla diffusione sistemica dell’odio.

Il legame fra architetture digitali e violenza simbolica è una questione centrale nel dibattito politico e sociale dell’ultimo decennio: numerose piattaforme digitali come Facebook, Tik Tok, Instagram e YouTube utilizzano “algoritmi predittivi” per proporre contenuti che massimizzino il coinvolgimento emotivo dell’utente e tali algoritmi, servendosi di metriche relative a like, condivisioni e tempo di permanenza, finiscono spesso per privilegiare contenuti estremi, sensazionalisti poiché questi attirano maggiormente attenzione (Tufekci, 2015). In altri casi, si realizza un effetto finestra sul cortile, quando molte piattaforme digitali diventano “finestre virtuali”, attraverso cui spiare o osservare vite altrui così come eventi violenti o drammatici, spesso condivisi in tempo reale, fra un misto di orrore ed attrazione.

Lo stalking virtuale come violenza digitale e psicologica

È ancora controversa la questione relativa al fatto che il cyberstalking rappresenta un’entità autonoma (McFarlane et al., 2003) o piuttosto un’estensione dello stalking tradizionale, per cui la molestia on line è generalmente associata a quella off line (Burgess & Baker, 2002). In base al grado di sovrapposizione tra stalking e cyberstalking, Spence-Diehl (2003) distinguono tre categorie: cyberstalking limitato al cyberspazio, cyberstalking che inizia nel cyberspazio per estendersi successivamente offline e cyberstalking associato ad altre modalità di stalking tradizionale.

È utile distinguere, a proposito della specificità del cyberstalking, l’on line harassment o “molestia occasionale” dal cyberstalking vero e proprio che è delineato da azioni sistematiche di minacce e molestie che si protraggono nel tempo. Harvey (2021), relativamente a ciò, parla di cyberstalking diretto, caratterizzato dall’impiego degli strumenti di comunicazione elettronica come una modalità per stabilire e mantenere il contatto con la vittima, e cyberstalking indiretto nei casi in cui l’’uso degli strumenti di comunicazione mira a diffondere informazioni false o private, sottoscrivere a nome della vittima servizi informatici, assumere la sua identità in discussioni private o pubbliche.

Mentre il cyberstalking diretto si mantiene nei limiti di una dimensione privata della relazione con minacce, molestie rivolte direttamente alla vittima o danni alle sue applicazioni o dispositivi informatici, quello indiretto coinvolge sempre una terza parte, assume una dimensione pubblica, coinvolgendo famiglia, amici, colleghi e datori di lavoro della vittima, con l’intento dello stalker di danneggiarne la reputazione. Con la diffusione rapida di nuovi sistemi di comunicazione e di partecipazione online, è aumentata in maniera significativa la possibilità di perpetuare minacce, rischi di manipolazione dell’identità e delle relazioni, un’enorme quantità di dati disponibili che il cyberstalker non ha difficoltà a reperire.

Non ha difficoltà a conoscere e riconoscere abitudini, relazioni della “potenziale vittima”. L’utilizzo dei nickname, indirizzi e-mail multipli e sistemi di re-mailer proteggono l’identità del cyberstalker, riducendo il controllo sociale e favoriscono l’espressione di comportamenti antisociali.

Categorie di stalking: lo studio

Uno studio condotto su 24 soggetti, rifacendosi alla classificazione delle condotte di stalking proposta da Mullen et al. (2000), Mcfarlane e Boccia (2003) distinguono le seguenti tipologie:

  • vindictive cyberstalker, motivati dal desiderio di vendetta, con una cultura informatica medio alta, con una conoscenza ad ampio spettro di tecnologie informatiche, compresi lo studio degli algoritmi, di sistemi di monitoraggio a distanza, di intrusione nel sistema operativo della vittima;
  • aggressivi, una tipologia spesso con problemi e precedenti psichiatrici e penali;
  • i composed cyberstalker, soggetti che non presentano generalmente precedenti psichiatrici né penali, ma, semplicemente, sono spinti dal piacere di infastidire e recare molestia alle loro vittime, con cui non hanno stabilito precedentemente né cercano di stabilire un contatto offline.
  • gli intimate cyberstalker, ovvero coloro che ricercano attenzione e gratificazione sessuale (in generale sono gli ex partner, che rivolgono alle vittime tentativi disperati di riconciliazione, oppure rivolgono un’intrusiva attenzione a persone appena conosciute, di cui soffrono di una infatuazione estemporanea)
  • i collective cyberstalker, che comprende tutti i casi di molestie perpetrati da un gruppo di soggetti e non da un singolo stalker.

Il profilo dello stalker

Il fenomeno descritto è in continua espansione ma quale è il profilo dello stalker? Quali gli aspetti comportamentali specifici? Lo stalker manifesta sempre, in generale, un’evidente problematica nell’ aerea affettivo- emotiva, relazionale e comunicativa a cui non sempre corrisponde un preciso quadro psicopatologico. Interessante è delineare gli stili di attaccamento nei confronti delle vittime: parliamo di “attaccamento affettivo-amoroso ed attaccamento persecutorio-irato”; un tipico attaccamento insicuro- ambivalente-ansioso (J. Bowlby, 1969), è tipico dei comportamenti di stalking.

Gli individui che presentano questi pattern si caratterizzano per l’ansia nelle relazioni mettendo in atto comportamenti associati a gelosia, rabbia e rivendicazione verso il partner; comportamenti intrusivi, molesti e persecutori. Mullen e Purcell (2000) hanno creato un campione significativo di valutazioni cliniche in cui si riscontra, secondo un approccio multidimensionale, una relazione significativa fra comportamenti di stalking e disturbi della personalità. Nella classificazione effettuata, il “risentito rappresenta, di solito, un ex-partner che desidera vendicarsi per la rottura della relazione sentimentale causata, a suo avviso, da motivi ingiusti: agisce ledendo direttamente la persona, la sua immagine o le sue proprietà (casa, macchina, ecc).

È il tipo di stalker che “pubblica sul web foto o immagini private(cyberstalking), aspetta fuori casa o segue la vittima, danneggia la sua macchina, ecc: questo è il tipico esempio di soggetto con disturbo narcisistico di personalità, che muove nella specificità fra il “bisognoso d’affetto ed il molestatore assillante, dove ogni segnale di vicinanza o di confidenzialità espressa dalla vittima viene interpretato come una naturale espressione del desiderio di contatto. Specificatamente, un narcisista vulnerabile, di tipo “covert” che si manifesta nella figura del “corteggiatore impacciato”, inadeguato ad entrare in relazione con la vittima, che esperirebbe grandemente oppressione e violenza psicologica on line, per destare attenzione e controllo sul bersaglio.

Le cause del cyberstalking

Ma quali le cause dello stalking? Oltre agli stili di attaccamento, come si è detto, determinante è la disregolazione affettiva, la mancata capacità di mentalizzare, l’ansia da separazione, la vergogna, condizionata dalla svalutazione della vittima e, soprattutto, la “dipendenza relazionale”. E se “il legame desiderato” si trasforma in un’ossessione che domina la mente, una questione pertinente alle emozioni, a pensieri intrusivi, allora si manifesta una ricerca compulsiva dell’oggetto d’amore a cui si lega una vasta gamma di elementi disfunzionali, una condizione senza la quale l’esistenza appare perdere significato.

Un vissuto emotivo caratterizzato dall’incertezza, dal disorientamento, dalla fragilità e dall’angoscia di far svanire: uno stato patologico allorché la relazione è vissuta come condizione unica, indispensabile, connessa ad un giusto equilibrio fra vicinanza e separazione poco assimilato nel tempo magari e ad una mancata la presenza di un genitore supportivo, rassicurante, sensibile. La vittima perseguitata manifesta sensazioni ed emozioni intense, che vanno da uno stato di allerta e di stress psicologico a stati di preoccupazione, di paura, di disprezzo per il molestatore.

Violata la dimensione personale e privata, intenso è il disturbo post traumatico da stress, le vittime esperiscono un tormento devastante e subiscono conseguenze anche molto gravi: nel caso dello stalking virtuale, infatti, i danni psicologici possono essere comparabili, oltre a quelli del disturbo post traumatico da stress PTSD, allo sviluppo di sintomi di iper-vigilanza, paranoia, isolamento, angoscia e calo dell’autostima (DSM 5th ed., 2013).

I gruppi più vulnerabili

Più a rischio sono alcuni gruppi vulnerabili: ad esempio, i minori per la loro scarsa consapevolezza, le persone LGBTQIA+ per il loro orientamento sessuale, a rischio di outing forzato, le donne giovani fino a 35 anni con scarso senso di agency, coping, resilienza che sviluppano maggiormente un PTSD; ovviamente, tra le vittime più frequenti vi sono anche personaggi pubblici o influencer per frame relativi all’invidia narcisistica o all’ossessione o delirio di relazione del persecutore.

Per descrivere la narrativa della vittima che subisce molestie dobbiamo introdurre il concetto di condizione traumatica, ovvero un significativo stato di compromissione della salute mentale. Numerose le definizioni, nella storia della psicopatologia, del termine trauma che rappresenta un evento spartiacque, una frattura emotiva che mina il senso di stabilità, di sicurezza e di identità, di continuità fisica e psichica.  Sebbene il senso di sicurezza sia a molti cosa nota, risulta difficile definirlo ma scientificamente bisogna focalizzarsi soprattutto sul concetto di accoglienza.

L’accoglienza è il contenuto portante per giungere alla definizione di sicurezza. Il sentirsi “accolti” specificamente “riconosciuti” procura nel tempo uno stato affettivo di benessere; all’opposto uno stato di rischio e di paura perdurante, per una costellazione di comportamenti intrusivi, assillanti, di azioni che si ripetono nel tempo, con frequenza ed intensità diverse, rappresenta una forma di violenza psicologica subdola e pervasiva che sfrutta la tecnologia per alterare la percezione della realtà della vittima, compromettendone profondamente il senso di sicurezza personale.

Il trauma

Questo tipo di trauma può lasciare segni profondi, non solo a livello cognitivo (memorie traumatiche) ma anche affettivo, neurobiologico e corporeo, una dimensione del trauma che invade lo spazio del tempo, della coscienza, del pensiero e delle emozioni (Saphiro, 2016). Comprendere il PTSD, in relazione al cyberstalking, richiede dunque un approccio approfondito che consideri il funzionamento delle memorie traumatiche compromesse (Arcipelago M- Molestia), la mente affettiva descritta da Panksepp (1998) ed i principi della teoria polivagale di Porges (2011). Un passato che non passa: le vittime di cyberstalking spesso riportano esperienze intrusive e ricorrenti che non si limitano al periodo della persecuzione, ma continuano a vivere nella mente e nel corpo.

Le memorie traumatiche non vengono integrate correttamente nella narrazione autobiografica della persona, invece di essere archiviate come ricordi del passato rimangono attive, frammentate, dissociate. Questo compromette la capacità dell’individuo di distinguere tra “allora” e “adesso”, innescando risposte di allerta cronica, ipervigilanza, flashback anche in contesti sicuri. Nel cyberstalking la natura persistente, spesso anonima, dell’aggressione amplifica il senso di impotenza: il cervello registra questa esperienza come minacce esistenziali e le memorie associate non seguono i normali processi di consolidamento, rendendo difficile l’elaborazione ed il superamento del trauma.

Jaak Panksepp, psicologo e neuroscienziato affettivo, che ha descritto il cervello come strutturato in sistemi emotivi primari, presenti anche negli animali, che mediano la nostra esperienza affettiva di base, offre un valido contributo per comprendere la natura dei sintomi del PTSD. Interessante sottolineare che questi sistemi di cui parla includono, tra gli altri, la paura, la ricerca, il panico/separazione e la rabbia. Nelle vittime di cyberstalking il sistema della paura è cronicamente iperattivato: ogni notifica, messaggio o suono digitale può riattivare una risposta emotiva sproporzionata perché la mente affettiva registra questi segnali quale “pericolo”, anche in assenza di una minaccia oggettiva.

Il sistema panico/separazione, legato appunto alla separazione e all’abbandono, potrebbe anche essere coinvolto, specie se lo stalker è una persona con la quale si aveva un legame. Le esperienze vissute non sono solo cognitive ma vissute come “visceralmente emotive” e si imprimono profondamente nella psiche ed il trauma colpisce il cervello emotivo. Stephen Porges, con i suoi studi, ha trasformato la nostra comprensione della risposta “allo stress e al trauma”: secondo questo autore, il sistema nervoso autonomo si regola su tre modalità principali: il sistema ventro-vagale, che esprime connessione, sicurezza, attivo in condizioni di calma e relazione; il sistema simpatico che esprime le azioni di attacco o fuga e si attiva in condizioni di pericolo ed il sistema dorso-vagale, che esprime collasso o congelamento ed entra in funzione quando la minaccia è percepita come ineluttabile.

Nel PTSD la persona può restare bloccata in uno stato di iperattivazione (sistema simpatico) o di spegnimento (sistema dorso-vagale): questo spiega i sintomi delle vittime di cyberstalking apparentemente opposti come l’ansia intensa e la dissociazione, l’irritabilità e la sensazione di intorpidimento emotivo.

La teoria polivagale sottolinea il ruolo cruciale del “nervo vago” nella regolazione emozionale, nella sensazione di sicurezza.  Quando questa regolazione viene meno a causa di un trauma, l’individuo può sentirsi perennemente in uno stato di allarme o di isolamento interiore. Il PTSD non è, quindi, soltanto un insieme di pensieri negativi ma produce sintomi reali, invisibili e dolorosi come la  difficoltà nella regolazione emotiva, alcune sensazioni corporee anomale (tensioni, vuoti, blocchi) o una sensazione cronica di insicurezza anche in ambienti sicuri, fino a conseguenze devastanti sul piano relazionale e sociale come il vero e proprio ritiro sociale, la fatica a costruire legami di fiducia o alcune alterazioni dell’identità e dell’autostima.

Tutti questi sintomi sono il risultato di una mente che cerca di “sopravvivere a un’esperienza disturbante”, dove il corpo non mente e l’anima, perseguitata dall’ombra, si ritira e smette di respirare. L’ombra come un vicolo angusto, una porta stretta, diventa dolorosa costrizione che non lascia passare nulla che non sia superfluo (C. Jung, 1951).

Odio online e responsabilità

Nell’era delle guerre mondiali a pezzi così come dinanzi alle sfide imposte da alcuni leader ai tradizionali equilibri geopolitici, la cultura dell’odio ha trovato linfa nei circuiti relazionali dei social media, nei quali già la pandemia e, ancora prima, gli attentati terroristici in Occidente avevano reso problematica la definizione stessa e la percezione del sentirsi sicuri.

Nella platform society nuovi attori, nuovi gruppi, nuove possibilità tecnologiche hanno contribuito a favorire lo stile comunicativo dell’attacco, vale a dire l’annullamento dell’accezione tradizionale del dialogo come confronto razionale e rispettoso tra opinioni e visioni del mondo. Il panorama contemporaneo dell’ecosistema digitale rende, pertanto, ormai inevitabile la comprensione delle dinamiche comunicative della rete, nella quale il sentimento dell’odio non rappresenta soltanto un effetto collaterale, ma un prodotto sistemico delle architetture di potere algoritmico.

Con l’affermazione di dinamiche comunicative conflittuali che si attivano tra i soggetti, i discorsi d’odio sono diventati un frame comunicativo diffuso sia per i singoli connessi attraverso i social, che per gli attori politici e sociali. Sul piano politico, confinando i cittadini dentro bolle e camere d’eco, in cui è sempre più difficile entrare in contatto con punti di vista alternativi, i processi di polarizzazione politica e comunicativa sono diventati fattori centrali nei processi di costruzione del consenso, sempre più problematici e volatili nell’ambito dei precari equilibri geopolitici internazionali. Sul piano psicologico individuale, la violenza subdola e pervasiva che sfrutta la tecnologia per alterare la percezione della realtà della vittima, produce danni molto gravi su migliaia di soggetti, compromettendone profondamente il senso di sicurezza personale e la qualità della vita.

Da qui l’obbligo per studiosi e attori istituzionali (non solo politici ma anche professionisti dell’informazione) di cogliere, limitare e sanzionare tutti i segnali di odio, non solo per rilevare potenziali pericoli, ma anche per favorire l’instaurarsi di una solida relazione di fiducia nella vita sociale. In un contesto in cui le tecnologie rendono possibile, in una misura planetaria e pervasiva a cui nessuno può sottrarsi,  la circolazione (per ragioni diverse e su scala differente) di attacchi a individui, gruppi o etnie per ridicolizzarli o perfino distruggerli, occorre ribadire le responsabilità dei produttori di contenuti on line e definire nuove regolamentazioni condivise a livello internazionale poiché i tradizionali confini dello stato-nazione novecentesco risultano assolutamente inadeguati per elaborare misure di contenimento di fenomeni come l’hate speech o il cyberstalking.

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental
disorders (5th ed.). American Psychiatric Publishing

Balzerani A., Il codice dell’odio. Segnali non verbali di aggressività e odio nelle relazioni tra gruppi, Roma, Armando ed., 2019.

Barisione M. (2020), “Contro il comunicazionismo. Per una critica del riduzionismo comunicativo”, in Comunicazione Politica, 3, pp.347-370.

Bentivegna S., Boccia Artieri G. (2021), Voci della democrazia. Il futuro del dibattito pubblico, Il Mulino, Bologna.

Bowlby, J. (1969), Attachment and loss. Vol. 1. Attachment, Basic Books, New York.

Bush, M. (2023), Etica della responsabilità e piattaforme digitali, Laterza, Roma.

Cappello G., Rizzuto F. (2024), Giornalismo, post-verità e media education, Mimesis, Milano.

Chadwick A. (2013), The hybrid media system. Politics and power, Oxford University Press, Oxford-New York.

Citron, D. K. (2014), Hate crimes in cyberspace, Harvard University Press, Cambridge (Ma).

Corner J. (2017), “Fake news, post-truth and media–political change”, Media, Culture & Society, 39 (7), 1100–1107.

Gillespie, T. (2018), Custodians of the Internet: Platforms, content moderation, and the hidden decisions that shape social media, Yale University Press, New Have, Connecticut.

Harvey, D. (2021), Cyberstalking: Diretto e indiretto. Franco Angeli, Milano.

Joux, A. (ed.) (2023). Journalisme et post-vérité. Les Essentiels d’Hermès, Paris

Jung, C. G. (1951), Aion. Ricerche sul simbolismo del Sé, Bollati Boringhieri, Milano. (ed. orig. 1951).

Marinov R. (2019), Mapping the infotainment literature: current trajectories and suggestions for future research, The Communication Review, vol, 23, 1-28.

McFarlane, L., & Boccia, A. (2003), Studio sulle categorie di stalking, analisi su 24 soggetti, Franco Angeli, Milano

McIntyre L. (2018), Post-truth, The Mit Press, Cambridge, (Ma).

Mullen, P. E., Pathé, M., & Purcell, R. (2000), Stalkers and their victims, Cambridge University Press, Cambridge.

Nielsen R. K., Ganter S.A., (2022), The Power of Platforms: Shaping Media and Society, Oxford University Press, New York.

Panksepp, J. (1998), Affective neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions, Oxford University Press, Oxford.

Papacharissi, Z. (2015). Affective publics and structures of storytelling: senti­ment, events and mediality, Information, Communication & Society, 19(3), 307-324Riva G. (2018), Fake news, il Mulino, Bologna.

Porges, S. W. (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, Self-Regulation. W. W. Norton & Company, New York.

Rizzuto F. (2019), Reality versus Emotions in Italian Journalism, in «SOFT POWER, Revista Euroamericana de teoria, historia de la politica y del derecho», vol. 6, pp. 229-245.

Rizzuto F., Sciarrino V. (2021), “Le fake news ed il diritto all’oblio nell’era della rete.Sulla nuova relazione tra pubblico e privato” in Sociologia del diritto, n. 1, pp. 93-118.

Santos, J. (2009), Daring to feel. Violence, the Newsmedia and their Emotions, Lexington Books, Lanham.

Schudson M. (2003), The Sociology of News, W. W. Norton & Company, New York.

Sorice M. (2020), Sociologia dei mass media, Carocci, Roma.

Sorice M. (2023), Piattaformizzazione della sfera pubblica, Comunicazione Politica 3/2020, pp. 371-388, Il Mulino, Bologna.

Spence-Diehl, E. (2003), Cyberstalking and the law: Definition and types, Nova Science Publishers, Hauppauge (NY).

Sunstein, C. R. (2001), Echo chambers: Bush v. Gore, Impeachment, and Beyond. Princeton
University Press, Princeton, NJ.

Thussu D.K. (2007), News as Entertainment: The Rise of Global Infotainment, Sage, New York.

Tufekci, Z. (2015) “Algorithmic Harms beyond Facebook and Google: Emergent Challenges of
Computational Agency” in Colorado Technology Law Journal, 13(1), 203-218.

Van Dijck J., Poell T., de Waal M. (2018), The Platform Society: Public Values in a Connective World, Oxford University Press, Oxford.

Wallace, P. (2001). The Psychology of the Internet. Cambridge University Press.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati